Ho intinto la penna nel sangue del mio cuore quando ho ricordato la tua infedeltà
settembre 24, 2022 in Persia, Recensioni da Mario Baldoli
Gli iraniani sono protagonisti di una storia millenaria che richiede di venir interpretata con la pazienza dei tempi lunghi. Ormai la storia volta pagina in Iran spezzando l’anomalo binomio tra Islam e rivoluzione. Quarant’anni dopo l’imposizione dell’obbligo di indossare il hijab è la rivolta delle donne ad annunciare un futuro migliore. Gli articoli della sezione “Persia” cercano di comprendere questa complessità.
È primavera e per festeggiarla c’è una grande festa alla reggia di Mobad, il re dei re: vi partecipano le più belle regine di Persia, e su tutte brilla Sharu. E’ sposata e con un figlio già grandicello, ma Mobad subito le chiede di diventare su moglie: Nel mondo deliziarsi di te è cosa buona
Tu devi essere nelle mie braccia amica e compagna.
Nelle tue mani lascerò il mio regno intero
Nel desiderio di te vivrò tutti i mei anni.
Sharu resiste e Mobad stringe con lei un patto: gli cederà la prima figlia che le nasce. Inaspettata, nasce proprio una figlia “bella come il volto della luna”, e la madre la sposa all’altro suo figlio Viru. Incesto? No, usanza zoroastriana.
Come altri poeti persiani Fahk al-Din Gorgani ambienta la sua opera (1054-1055 d.C) in età preislamica così da avere più libertà di espressione, ma il libro fu poco diffuso perché propone un’idea dell’amore e del rapporto tra i sessi troppo confliggente con la morale del tempo. È merito di Nahid Norozi, docente di Lingua e Letteratura persiana all’Università di Bologna, pubblicare con Carocci, editore appassionato di testi persiani, un’opera poco conosciuta, aspra e avventurosa, chiamandola con le parole di un suo verso “Lettere sulla crudelta”. Il titolo è infatti Dieci lettere di Vis a Ràmin sulla crudeltà (prefazione di Mario Mancini). Nella traduzione Norozi mantiene l’afflato poetico dei suoi ca. 1500 distici ricchi e melodiosi lungo avvenimenti, dialoghi, monologhi che scavano a fondo la psicologia dei personaggi, espressi con una tecnica narrativa che mescola tra continui colpi di scena la metrica dei versi tradizionali e il commento lirico all’azione.
Il libro è diviso in due parti: nella prima Norozi ha scelto alcuni brani salienti che spiega e commenta (lavoro necessario per approfondire l’opera), nella seconda riporta il testo per intero: le dieci lettere di Vis con la risposta, una sola, di Ràmin.
L’opera è stata paragonata, per alcune coincidenze, alla leggenda europea di Tristano e Isotta (sul confronto la stessa Nahid Norozi ha pubblicato recentemente un saggio: Esordi del romanzo persiano. Dal Vis e Ràmin di Gorgani (XI sec.) al ciclo di Tristano, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2021, 2° ed. 2022), ma a me pare che tra le due ci sia un abisso: la modernità di Vis e Ràmin è estranea al moralismo pedagogico del Tristano. Con Gorgani appare nella letteratura persiana il genere del romanzo in versi già in piena maturità narrativa e si diffonde la forma delle Dieci lettere d’amore.
La passione di Vis, l’amore con Ràmin, la spontaneità, il tradimento, il dolore, i dinieghi, gli incontri, le lettere svelano una profondità d’analisi psicologica che fa pensare piuttosto alle commedie del nostro Rinascimento.
Celebrate le nozze tra i fratelli, dal mare si levò una nube color fumo,
Nel giorno terso d’improvviso venne la notte.
È il fratellastro del re, viola in volto, arrivato ad esigere il prezzo della promessa.
Scoppia la guerra tra i due re (già con Erodoto le guerre si combattevano per le donne). La vittoria di Mobad che uccide anche il padre di Vis e invia ricchi doni alla vedova, la convincono a lasciargli Vis, la figlia dal corpo di luna, ancora vergine per un motivo che squalifica il fratello-marito:
Tante difficoltà apparvero allo sposo
Che lo sposalizio presto se lo dimenticò.
Invano Ràmin che aveva conosciuto Vis da ragazzo cerca di dissuadere il fratello maggiore, il re Mobad dal matrimonio: è vecchio, ha ucciso il padre di lei, sarà per lui una serpe, il re non ascolta e manda Ràmin a scortare la lettiga di Vis fino al palazzo di Mobad, ed è questa l’analogia con Tristano.
Ma soffiò un forte vento primaverile
Sollevando via la tenda dalla portantina
Il volto di Vis apparve da dietro la tenda
Il cuore di Ràmin a tale vista fu schiavo all’istante.
Crolla da cavallo, il fuoco d’amore gli brucia il cervello, ma non agisce, ormai siamo alla corte di Mobad. Vis non guarda quello che sarà suo marito.
Era come un giardino il volto di Vis
Ma la porta del giardino era ben serrata.
Interviene la balia, un personaggio dall’ambiguo comportamento. Prima interviene a favore di Mobad:
Non sono ancora cresciute le melagrane dei tuoi seni (…)
Ora sei nelle mani di un felice re
A cui sei consorte e anima e mondo.
Al rifiuto di Vis, la balia le suggerisce di trovarsi, come tutte, un amante, rendendola ancor più furiosa; poi la balia, sedotta da Ràmin, ne diventa la mezzana:
A che serve essere bella come il sole
Se da questa bellezza non trai piacere? (…)
Se Dio ti ha voluto concedere un bel volto
Giuro per la mia anima che te l’ha dato per lui.
Intanto con una magìa rende impotente il gran re.
Vis è ancora vergine quando accetta di vedere Ràmin e subito le esplode dentro l’amore:
Ora che sono separata dalla madre e dal fratello
perché mai devo ancora io bruciare sul fuoco?
perché così a lungo dovrei restare in solitudine?
Fino a quando dovrò soffrire? Non sono di ferro!
Ma resta lacerata tra la passione, la ragione, il pudore, la religione.
Fruga dentro se stessa, cerca la sua strada, ma
Il terribile demone dell’amore le diede battaglia
Le mise nel cuore i suoi velenosi artigli
Con tali artigli la carpì e le portò via
Dall’anima il senno, dal cuore la pazienza e dal volto il colore.
L’artiglio dell’amore: i due si uniscono e si giurano eterna fedeltà, Vis offre a Ràmin un mazzo di violette:
Dove vedrai spuntare fresche violette
Ricordati di questo patto e giuramento.
Dormono insieme:
Avevano le labbra sulle labbra e volto sul volto
Dalla gioia avevano gettato in campo la palla da polo (antico gioco centroasiatico)
Stretti si erano abbracciati
Due corpi nel letto erano come uno
Se la pioggia su quei due volti di gelsomino
Fosse piovuta, i loro petti non si sarebbero bagnati.
Il re sa di questo amore e s’infuria, ma Vis lo rivendica:
Per me il suo volto è la luna, è il sole
Per me la sua vista è piacere e speranza.
Il re la caccia dal palazzo, Vis se ne va felice, viene raggiunta da Ràmin, il re ora ne soffre e la cerca ovunque, dall’Iran all’India:
Quando ricordo col cuore le sue crudeltà e tirannie
Ecco si accresce in me l’amore per lei e la mia fedeltà
Peggio ancora se conto i suoi difetti
Diresti proprio che io amo i suoi difetti.
Infine il re manda Ràmin a governare un Paese lontano. Vis diventa aspra con Ràmin, intuisce che il loro amore non ha scampo.
La storia continua con nuovi colpi di scena che non racconto, altrimenti perché si dovrebbe leggere un libro? Anticipo solo che incontreremo persino un colpo di stato e nuove onde di dinieghi e d’amore.
Cito il prologo alle lettere di Vis per la commozione di rimprovero e orgoglio: Io ero pura come una goccia di rugiada
In bellezza ero come un petalo di tulipano.
Tranne te nessun uomo mi aveva mai avuta
Da quando il tempo prese a spargere la polvere su di me (da quando nacqui)
Tu sei stato il mio allevatore e il mio falciatore
Perché tu mi hai messo sulla via la rete e la falce.
E l’orgoglio per la sua bellezza:
Io sono quella Vis il cui viso è sole irradiante
Io sono quella Vis la cui chioma è muschio puro
Io sono quella Vis il cui volto è primavera
Io sono quella Vis il cui amore è costante
Io sono quella Vis che ha per volto la luna
Io sono quella Vis che ha nettare in bocca.
Infine Vis invia la decima lettera:
Vis la prese dalle mani di Moskin (lo scriba di massimo talento)
L’accarezzò con le due trecce muschiate
Per una parasanga (antica misura, circa 6.000 m) il profumo della lettera
Si diffuse così come il profumo della veste di Vis,
per far giungere qualcosa di sé, della sua fisicità all’olfatto dell’amato.
È la modernità di Gorgani, nessun personaggio resta se stesso, ed è vittima delle nostre stesse contraddizioni, dell’instabilità dei nostri sentimenti, questo è il nostro destino.
di Mario Baldoli