Greta, Vanessa e lo squadrismo 2.0

gennaio 19, 2015 in Approfondimenti, Crisi da Sonia Trovato

syria1Mai come in questi giorni viene da rimpiangere i tempi in cui l’opinionista da bar discuteva con i propri e degni compari tracannando grappini a ripetizione al bancone di una bettola di paese, o quelli in cui un politico, per fare una dichiarazione, doveva aspettare che il giornale andasse in stampa o che una troupe televisiva gli piazzasse sotto le labbra farneticanti un microfono. Oggi, con Facebook e Twitter, gli uni e gli altri si sentono legittimati a battere sulla tastiera qualsiasi castroneria attraversi la loro desertica e fluttuante materia grigia, riportando, a supporto delle loro profondissime considerazioni, articoli sgrammaticati e scritti da persone che non hanno la minima idea di cosa sia la verifica di una notizia

I commenti alla liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo – commenti degni del bagno di una stazione di servizio o di un motel – hanno messo in luce, ancora una volta, i limiti di un megafono aperto alle più basse e violente reazioni umorali. La vicenda delle due cooperanti rapite avrebbe potuto aprire un seria riflessione sulla Siria, Paese in guerra civile da quasi quattro anni e che in quattro anni ha seppellito più di 200 mila persone.

Sorta in contemporanea alle altre primavere arabe, la rivolta in Siria ha assunto presto un volto più feroce, diventando una truculenta lotta armata contro il regime di Bashar al-Assad, lotta aiutata dai paesi del Golfo, dalla Turchia, dagli USA e dai suoi alleati. Ma la situazione è molto più complessa di così, dato che all’interno dell’opposizione ad Assad ci sono gruppi politicamente e religiosamente eterogenei, gruppi più o meno disposti al dialogo con il presidente, e dato che il territorio siriano è diventato più recentemente obiettivo dell’ISIS, eroicamente combattuto dai curdi, minoranza priva di uno Stato e storicamente osteggiata e perseguitata dagli Stati in cui vive (su tutti, Turchia, Iran e Iraq). Aggrava il quadro la presenza di una decina di campi profughi palestinesi, sorti nel 1948 in seguito alla fondazione dello Stato d’Israele. Quello di Yarmouk, nella periferia di Damasco, è stato bombardato nel dicembre 2013 dalle truppe governative e ha visto morire di fame quasi duecento persone, poiché i funzionari dell’Unrwa faticano ad accedere al campo per portare gli aiuti alimentari.

Questo dovrebbero fare i giornalisti nostrani, spiegare una situazione che noi, che non abbiamo agenzie di stampa a disposizione né esperti di geopolitica, siamo solo in grado abbozzare. E invece, il dibattito di questi giorni pare tutto concentrato su due fronti, entrambi termometro della svilente disumanità ai tempi della democrazia 2.0: il costo del riscatto e gli appetiti sessuali – per definire eufemisticamente le ingiurie maschiliste che si sono scatenate sul web – delle due volontarie.

Improvvisamente, privati cittadini che non si sono mai curati della spesa pubblica, o argutissimi commentatori politici come Salvini (il quale, lo ricordiamo, è segretario di un partito che usava i fondi regionali per allettare il figlio del Senatur con la Playstation e con le Red Bull) si trasformano in finissimi analisti economici e in indignados per lo sperpero di soldi statali. Il fatto che poi gli stessi coincidano con chi sbraita per riportare a casa i nostri marò, accusati dell’omicidio di due pescatori indiani, o con chi, se ci fosse stato Facebook nel 2004 (e benediciamo che ancora non esistesse), avrebbe dato fondo alla più melensa retorica patriottica per rimproverare all’Italia di non aver salvato Fabrizio Quattrocchi, soldato di una milizia privata in Iraq, non pare provocare grosse crisi di identità o di coscienza.

Food distribution in Damascus

La fila per i viveri al campo profughi di Yarmouk

Alla questione economica si è affiancata presto la gretta e squadrista irrisione sessista, in alcuni casi travestita da critica (legittima) all’adesione incondizionata, da parte delle due volontarie, a una causa che ha assunto connotati così ambigui e articolati. Troiette, odalische, starlette, amanti del pisello islamico, samaritane innamorate del kalashnikov sono un ristretto campionario degli epiteti nei quali ci siamo disgraziatamente imbattuti (e che riportiamo nella loro integrità perché ci si renda conto del miserrimo livello di gran parte delle discussioni sui social network e su alcuni quotidiani, come “Il Giornale”). Continua a sfuggirci il motivo per il quale, quando i bersagli delle critiche sono donne, si scivoli sempre nei bassi fondi degli insulti di genere e nel turpiloquio da caserma militare.

Anche Gasparri ha voluto dare il proprio imperdibile contributo su Twitter, cinguettando un Vanessa e Greta, sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo! e riportando, come fonte, l’autorevolissimo “Piovegovernoladro.info”. Spiegargli che noi paghiamo il suo posto in Senato e che lo considereremmo meglio occupato da un qualsiasi organismo unicellulare è fiato sprecato.

Tra questi due filoni, si sono inserite altre considerazioni di elevato spessore, per esempio sul fatto che il riscatto dovessero pagarlo i genitori, che le hannogirl-stands-by-building-damaged-by-syrian-forces-data lasciate partire (come se due persone maggiorenni fossero, nel 2014, obbligate a presentarsi al cospetto del padre per chiedere il permesso di allontanarsi da casa, tipo Leopardi nell’Ottocento con il conte Monaldo). O ancora, illazioni sui visi paffuti di Greta e Vanessa, che autorizzerebbero a pensare a una messinscena per portare milioni nelle tasche dei terroristi. Prevedibilmente immancabile lo slogan, riciclato per qualsiasi storia di attivismo finita bene o male, del se fossero rimaste a casa non sarebbe successo nulla.

Il perché la vicenda non abbia avviato un approfondimento sulla complicatissima situazione in Siria l’hanno chiarito i giornalisti televisivi, presentandosi, come sciacalli, fuori dalla casa di Greta Ramelli, visibilmente emozionata e stretta nell’abbraccio del fratello. La sua frase smorzata sul difficile quadro siriano è stata prontamente subissata di flash e di richieste come “Cosa ci dici del riscatto?” o “Qual è stato il momento più difficile?”, segno di un’informazione sempre più emotivocentrica, che non ha tempo per l’inchiesta e per l’approfondimento e che preferisce assecondare le reazioni di pancia dei discettatori della rete, che twittano Je suis Charlie o vispeterese liberate con i nostri soldi con la stessa cinica e modaiola indifferenza.

P.S. Abbiamo appositamente evitato di pubblicare le ormai abusatissime immagini di Greta e Vanessa e scelto di inserire soltanto fotografie che registrano la catastrofe in Siria, per provare  a dare conto, seppur minimamente, delle dimensioni della tragedia.

Se a qualcuno venisse, nel frattempo, il desiderio di approfondire la questione siriana, consigliamo alcuni contributi:
19.07.12 – Intervista a Michele Giorgio sulla Siria
http://nena-news.it/isis-e-hamas-uguali-assad-amico-isis-ci-riprovano-ancora/
http://ilmanifesto.info/erdogan-non-fa-retromarcia-vuole-zona-cuscinetto-e-rovesciare-assad/
http://nena-news.it/iraq-siria-kobane-allo-stremo-scaricata/
http://www.ilfarosulmondo.it/usa-400-soldati-per-addestrare-le-forze-dellopposizione-siriana/
La guerra in Siria spiegata alla signora Pina. – Paolo Barnard
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