Solo Giulietta

gennaio 10, 2015 in Grammatica studentesca della fantasia, Racconti e poesie da Chiara Adami

TIPOLOGIA NARRATIVA
Romeo e Giulietta, due rampolli di due note famiglie italiane dell’upper class contemporanea, si incontrano durante un ricevimento e si innamorano follemente.
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Leonid Fremov, “Rain princess”

La ragazza sospirò, gli occhi azzurri che evitavano il proprio riflesso nel grande specchio davanti al quale era seduta. Sapeva cosa avrebbe trovato se avesse sollevato lo sguardo: un viso fin troppo conosciuto, velato di una tristezza che da anni non cambiava. «Giulietta!!». Un altro sospiro, quasi impercettibile, nel tempo in cui la porta si spalancava, facendo sussultare la parrucchiera impegnata in un‘elaborata acconciatura. Giulietta – così si chiamava la ragazza dagli occhi tristi – sorrise alla donna che si era precipitata nella sua camera, ma non ebbe il tempo di rispondere. «Tesoro, sei meravigliosa!» – esclamò sua madre, sprizzando orgoglio da tutti i pori – «Stasera nessuno potrà smettere di guardare la festeggiata». 

Questa non è una buona notizia, commentò una voce irritata nella mente della ragazza, che però la mise a tacere, limitandosi a un altro sorriso. Diciott’anni. Era solo un altro compleanno, perché era necessario organizzare una festa piena di perfetti sconosciuti intenti a gareggiare in lusso e ricchezza? E Giulietta sarebbe stata la protagonista indiscussa della serata. Chiuse gli occhi per un momento, tentando di accumulare tutte le briciole di pazienza sparpagliate dentro di sé. Sua madre parlava, eccitata, ma erano anni che Giulietta aveva imparato il modo migliore per reagire alla frenesia che invadeva casa Capuleti prima di una festa: sorridere, annuire e lasciare che altri decidessero quale fosse il suo posto. Se solo potessi sceglierlo io per una volta…

***

Il ragazzo sorrise alla propria immagine riflessa nello specchio. I capelli scuri ricadevano sulla sua fronte, disordinati alla perfezione. Indossò la giacca nera e lasciò la sua camera, sperando di riuscire a svignarsela senza essere notato. «Romeo!». Il giovane imprecò sottovoce, fermandosi a metà della lunga scalinata che l’avrebbe portato alla libertà. «Cosa c’è, mamma?» domandò, voltandosi e cercando di costruire l’espressione più innocente che gli consentisse il suo sguardo perennemente beffardo. La donna lo raggiunse, squadrandolo da capo a piedi: conosceva suo figlio da vent’anni, era inutile che si atteggiasse ad angioletto. «Dove stai andando?» – chiese, sospettosa, – «Esco con gli altri». Uno sguardo severo si fermò davanti a lui, insieme a due braccia che si incrociavano. «E dove andate?» – «Mamma, ho vent’anni. Con tutto il rispetto, potrò uscire con i miei amici il sabato sera, no?» – «Perché sei così elegante?» Romeo imprecò mentalmente e decise che l’unica tattica che gli rimaneva era quella di evitare lo scontro diretto. «Non preoccuparti, tornerò sano e salvo, ti voglio bene, ciao!» disse tutto d’un fiato, lasciò un bacio sulla guancia della donna e corse via. «Romeo, se scopro che hai fatto qualche sciocchezza…» – «Te la vedrai con tuo padre», concluse il ragazzo sottovoce, mentre la porta sbatteva alle sue spalle. Ridacchiò e salì in auto.

***

Se non altro questo vestito è una favola, pensò Giulietta, ammirando il tessuto color ottanio che scivolava lungo il suo corpo fino a terra. Si guardò allo specchio e si lasciò sfuggire una smorfia di fronte all’acconciatura in cui erano legati i suoi capelli. «Giulietta, è ora!» – «Arrivo! mamma!». Indossò un sorriso e abbandonò la sua camera.

***

Erano settimane che Romeo e i suoi amici si organizzavano per eludere la sorveglianza e infiltrarsi a quella festa. Non avevano dubbi sulla riuscita del loro piano, ma nonostante questo si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo una volta raggiunto l’immenso parco illuminato. Il giovane dai capelli scuri sorrise, soddisfatto, lasciando vagare lo sguardo nella notte. «Niente male i Capuleti, eh?» – commentò uno dei suoi amici – «Già, peccato siano degli sporchi bugiardi!».

Ricordava quella notte. Era una notte di fine estate, così simile a quella che si ritrovava a vivere quella sera da solo, senza suo fratello. Tornavano dall’ennesima discoteca quando tra una risata e l’altra tutto era diventato buio, molto più buio della notte. Lui c’era. Sapeva che Paolo non era ubriaco, sapeva che l’unico colpevole di quell’incidente era il figlio maggiore dei Capuleti, che guidava l’altra auto. Ma Paolo non c’era più. Non poteva difendersi dalle accuse di quel bugiardo e a nulla serviva la testimonianza di un ragazzo di sedici anni, famoso per essere un ribelle. Se solo avesse potuto…

«Oh, mi stai ascoltando?» Romeo si riscosse e il solito sorriso beffardo comparve sul suo volto. Davide lo scrutò per un momento, valutando quanto fidarsi di quell’espressione che era abituato a vedere in ogni occasione. «Stasera ci divertiremo». Il sorriso del giovane dai capelli scuri si allargò. «Puoi contarci».

***

Complimenti, auguri, complimenti, auguri, ancora complimenti… Giulietta e i suoi occhi tristi accoglievano un invitato dopo l’altro, quasi senza accorgersene. Stringeva mani sudate e ricche di anelli; sfiorava guance ispide o cosparse di fard. Quando sarebbe finita quella tortura? «Tesoro, buon compleanno!» esclamò una ragazza decisamente appariscente, lasciandole due baci sulle guance. «Grazie, Elena», rispose piano Giulietta, chiedendosi quando erano diventate amiche. Elena parlava, ma l’attenzione degli occhi tristi era stata catturata da un giovane che si aggirava solitario, un bicchiere di champagne in mano e un mezzo sorriso sul volto. Era certa di averlo visto da qualche parte ed era altrettanto certa che fosse l’unico invitato a non essersi sottoposto al rito del saluto alla festeggiata. «Allora ci vediamo più tardi, eh?» la riscosse la voce squillante della sua compagna di classe – «Certo, a più tardi» mormorò distrattamente Giulietta, continuando a seguire con lo sguardo quel giovane misterioso. Senza preavviso due occhi scuri incrociarono i suoi, azzurri e tristi, e lei capì. Un testimone al processo di suo fratello. Romeo Montecchi.

***

Forse non avrebbe dovuto starle così vicino, forse non avrebbe dovuto guardarla, forse non avrebbe dovuto andare a quella festa. Eppure era lì. Immobile in un tintinnio di bicchieri e musica soffusa. Era lì e la guardava, nonostante lei avesse distolto lo sguardo, non appena l’aveva riconosciuto. Era bella. Non la ricordava: al processo era troppo sconvolto per far caso a una ragazzina preoccupata per le sorti del fratello maggiore. Ma era bella. Era bella. Era bella nonostante gli occhi tristi e l’acconciatura stravagante. Era bella come può esserlo una rosa in un mucchio di sterpaglie, unica e inaspettata. Così Romeo la guardò, dimentico all’improvviso del motivo che l’aveva spinto fin lì.

***

Era scappata. Non poteva credere di averlo fatto, eppure stava correndo via, lontano dalla zona del ricevimento, stanca delle chiacchiere, dei balli e della falsità. Si fermò sul bordo della piscina in cui da piccola aveva imparato a nuotare nell’acqua, ma non nel mare della vita. Si lasciò andare a un altro sospiro, sedendosi e liberandosi dei tacchi alti che da ore la facevano soffrire. «Come mai Cenerentola scappa dalla festa prima di mezzanotte?» Giulietta si voltò di scatto, sorpresa da quella voce sconosciuta, e ciò che vide la riempì di paura. «Tu non dovresti essere qui» riuscì a dire, terrorizzata da quello che Romeo avrebbe potuto farle. Ricordava i giorni di inferno del processo, la furia di suo padre per difendere il proprio figlio, al punto di interrompere ogni contatto con il signor Montecchi, suo amico d’infanzia. La risata del giovane la riscosse dai ricordi. «Nemmeno tu, se è per questo – commentò, sedendosi al suo fianco – È la tua festa, no?» E tu non sei invitato, pensò la ragazza, ma rimase in silenzio, ad ascoltare le voci soffocate che l’aria leggera portava verso di loro. Lui non poteva capire.

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Leonid Afremov, “Dance under the rain”

«Non ho mai visto degli occhi come i tuoi» disse piano Romeo, all’improvviso. «Così azzurri?» commentò lei, ironica, ricordando gli infiniti complimenti ricevuti e mai voluti. «Così tristi» ribatté il ragazzo. Giulietta sollevò lo sguardo e i suoi occhi improvvisamente lucidi ne incontrarono altri due, scuri e sinceri. Era la prima volta che trovava tutta quella sincerità sul volto di qualcuno, la prima volta che si sentiva capita, nonostante non conoscesse quel ragazzo. Si ritrovò a piangere, stupidamente e senza motivo, liberando tutte le lacrime trattenute in quegli anni, tutte le delusioni, gli obblighi, la stanchezza, tra parole balbettate e sospiri. «Sono stanca di essere una Capuleti, sono stanca di essere ricca, sono stanca del lusso, dei gioielli, delle feste… Voglio essere solo  Giulietta». Romeo sorrise e si alzò in piedi, tendendole la mano. Lei lo guardò e per la prima volta nella sua vita scelse di seguire il proprio cuore. La mano di Romeo era calda, accogliente e il ragazzo la sollevò senza sforzo.

«Bene, solo Giulietta» iniziò, asciugandole il volto con un dito, diede un’occhiata all’orologio e sorrise di nuovo. «Sei pronta a vedere distrutta questa festa?» – «Che cosa vuoi dire?» – «Voglio dire che i miei amici si stanno dando da fare per…» Non poté concludere la frase perché l’impianto di irrigazione si attivò, scatenando urla tra gli invitati e lasciando sconvolta Giulietta. Dopo un attimo di smarrimento, però, scoppiò a ridere e a ballare sotto quella pioggia improvvisata, come non aveva mai fatto. Romeo la guardò e quasi senza rendersene conto si ritrovò a correre con lei, mano nella mano, fino a quando non inciamparono e caddero sull’erba bagnata, il fiato corto per le risate. Giulietta si sollevò su un gomito e guardò quel volto fino a poco prima sconosciuto, regalandogli un sorriso, vero per una volta. Romeo si stupì, «I tuoi occhi non sono più….», ma due labbra lo interruppero, posandosi sulle sue. La ragazza dagli occhi azzurri baciò il ragazzo dagli occhi scuri, senza pensare al futuro, al domani, alla sua famiglia. Per la prima volta Giulietta scelse il posto in cui voleva stare. 

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