Giorgio Maria Griffa. Acquarelli di viaggio e suggestioni visive
aprile 28, 2013 in Arte e mostre da Laura Giuffredi
Nella “tempesta perfetta”, come molti economisti hanno battezzato la crisi globale ancora in corso, c’è un risvolto positivo nel mondo dell’arte contemporanea: le schizofreniche quotazioni di certi “pseudo-artisti-mercanti” si sono sgonfiate e, per contro, si è registrata una rinnovata attenzione per le espressioni artistiche “vere”, frutto della creatività di uomini e donne che studiano, sperimentano, viaggiano e faticano per cercare nuove strade.
In questo senso l’arte di Giorgio Maria Griffa rivela la dedizione, l’impegno e la fatica dell’artista: egli ottiene, con la tecnica dell’acquarello, per sua natura fatta di velature, che non ammettono ripensamenti, opere di un realismo epidermico e lenticolare.
Si tratta prevalentemente di acquarelli “di viaggio”, frutto di vere e proprie “spedizioni esplorative” che hanno condotto l’artista dall’estremo Nord al Sud del globo, forse alla ricerca di se stesso.
Sono istantanee dal taglio visivo variabile, a seconda che l’enfasi sia posta su un particolare o su una veduta dilatata, sempre sottilmente legate ai modi dei maestri del passato: da Dürer a Claude Lorrain, passando poi alle minuzie scientifiche proprie dei fiamminghi come Jan van der Heyden, per giungere fino alla pittura americana del XX secolo di Edward Hopper e di Andrew Wyeth, col loro realismo magico, sospeso.
Un substrato culturale, dunque, quello di Griffa, assai variegato ed eclettico. Nelle opere esposte nella mostra di Orzinuovi del 2009 curata da Davide Dotti, ad esempio, si snoda un racconto visivo appena velato di tristezza, pervaso di solitudine e di cose “che non sono più”. Proprio quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza per comprendere la poetica dell’artista: i suoi acquarelli non illustrano scorci da cartolina, ma frammenti di una realtà remota cercata e vissuta ai confini della vita, “pezzi di paesaggi o paesaggi a pezzi”, come lui li definisce.
“Non luoghi” si potrebbe chiamarli: spazi aperti, isolati, lontani, privi volutamente della presenza umana. Su tutto lavora l’azione del tempo, che sgretola intonaci, consuma rovine millenarie, arrugginisce gli scafi di navi perdute, divenute, tuttavia, nell’opera, redivive isole di verità.
La società contemporanea ci obbliga a “vedere”: gli acquarelli di Giorgio Maria Griffa ci invitano invece ad “osservare”, per capire di più del mondo e di noi stessi.