Eppure la verità è un errore totale
novembre 2, 2023 in Approfondimenti, Recensioni da Viola Allegri
Raggiunta la pubertà a 102 anni., Edgar Morin, “il sociologo del presente” come si definisce, racconta la sua vita e il suo pensiero in un saggio che è forse il suo lascito prezioso, L’avventura del metodo, ed. Cortina.
I problemi nati con la morte della madre quando aveva 8 anni (il che ci fa pensare a Stendhal): il rifugio nei sogni che il cinema gli offriva – e da allora sarà un costante cinefilo- l’inevitabile nichilismo dei giovani, la salvezza nella letteratura, l’avvicinamento alla filosofia, alla politica, di nuovo alla filosofia e alla sociologia.
Tutto via via stemperato da furibonde letture che ne provocano la crescita: Anatole France, Tolstoj, Dostoevskij, infine il partito comunista cui si iscrive nel fuoco dei nazisti che invadono la Francia; ma su tutto le lezioni di Georges Lefebvre che gli aprono la via più ampia e indistruttibile alla conoscenza, alla comprensione, al bisogno di un fondamento.
Dopo la guerra Morin inizia la sua speculazione più matura che culmina nella ricerca del metodo, che non è quello di Cartesio, mai citato nel saggio, perché occorre la ragione non il razionalismo.
La Guerra mondiale gli insegna che ogni guerra, anche la più giusta, ha in sé il bene e il male. Non c’era ragione che gli Alleati, dopo aver bombardato costantemente i civili, a guerra pressoché finita, distruggessero la città gioiello di Dresda.
Le idee più ovvie sono fuochi accecanti. Con Hegel e Adorno, Morin chiarisce il suo pensiero: la verità è un errore totale, l’inganno ad intraprenderlo è un sanguinoso percorso laterale.
Osserva che solo Albert Camus ha compreso l’orribile importanza storica del gigantesco massacro della bomba atomica.
Al processo di Norimberga, gestito da un giudice che aveva fatto condannare con false prove gli ex amici, che Stalin voleva eliminare, segue la vergogna della Francia che opprime per cinque anni l’Algeria facendo 45.000 morti.
Compito dell’umanità è perseguire il dubbio ed esercitare una vigilanza intellettuale permanente.
Nel 1950 Morin abbandona il partito comunista che ormai gli appare come una dittatura senza socialismo.
Il Sessantotto (Morin ha cinquant’anni) è per lui un periodo di entusiasmanti scoperte: dobbiamo vivere, conoscere, essere felici. Con Monod e Hubble definisce la conoscenza come un composto, conferma che il complesso non è riducibile alla semplicità di un codice binario.
La complessità della conoscenza è insieme la conoscenza della complessità, la necessità di collegare l’uomo biologico a quello culturale sapendo ogni semplificazione è sempre ingannevole.
Oramai si avvia alla scoperta del metodo: una creatività che comprende anche la soggettività del pensiero in cui l’io finisce nel noi che siamo una penisola nell’universo e tutto converge ad un umanesimo rigenerato, di cui Montaigne è stato il precursore (a questo punto ricorderei il capitolo finale dell’Uomo in rivolta di Camus).
Ora per Morin l’uomo è un essere individuale, biologico, sociale: l’individuo completa la società, la quale completa l’individuo. I nostri atomi si sono formati all’inizio dell’universo e ne portano inconsapevolmente la storia. Il presente è un momento del divenire, non esiste la stabilità, (inevitabile, credo, il trionfo di Eraclito).
Quel periodo, come tutta la sua vita, sono trasformati in molti saggi che chiariscono a lui prima di tutti, l’evoluzione del dubbio, la ricerca spasmodica di un metodo.
Cortina che ha pubblicato i suoi libri, ne pubblica contemporaneamente un altro libro, Di guerra in guerra, dal 1940 all’Ucraina invasa. L’edizione italiana del libro ha aggiunto al titolo francese, il participio “invasa” che oltre a stonare e a schierarsi per una parte politica, stride col saggio molto equilibrato dell’autore che passa attraverso le guerre della seconda metà del Novecento, individuando cause di errori ed orrori e limitando al minimo i propri giudizi, complessi anche sulla guerra Russia-Ucraina.
di Viola Allegri