Egidia Beretta Arrigoni racconta il suo Vik
aprile 12, 2013 in Recensioni da Sonia Trovato
Disponibile in traduzione inglese di Anna Zorzi
Dovessi un giorno morire, tra cent’anni, vorrei che sulla mia lapide fosse scritto quello che diceva Nelson Mandela: “Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare. Vittorio Arrigoni: un vincitore”.
Io non ho le zanne perché non sono un lupo, scriveva Vittorio Arrigoni in un tema di seconda elementare. E guardando alla sua straordinaria biografia, raccontata dalla madre Egidia Beretta nel volume Il viaggio di Vittorio (Dalai Editore, 2012, pp. 185), si comprende come in queste parole ci fosse già l’essenza dell’adulto che consacrò la propria vita a battersi contro i “lupi” e in difesa degli oppressi.
Balzato alle cronache per la sua esperienza di volontario a Gaza, in Palestina, il viaggio del giovane Arrigoni inizia in un piccolo comune lecchese, nel 1975, quando viene al mondo “col pugnetto chiuso alzato”, quasi a presagire il suo futuro da rivoluzionario. Cresce in una famiglia di piccoli imprenditori, che hanno fatto della solidarietà e dell’antifascismo il proprio marchio di fabbrica. All’indomani della maturità, anziché scegliere, come gran parte dei suoi coetanei, vacanze marittime e discotecare a Rimini o a Ibiza, parte per il Perù, per quello che sarà il primo di una lunga serie di campi di lavoro, svolti tra l’Europa e l’Africa.
Nel 2002 arriva in Palestina e se ne innamora: Il mio amore per la Palestina ha radici profonde. Ho una sfrenata passione per i diritti umani e penso non ci siano angoli del mondo dove i diritti umani sono calpestati come qui in Palestina da parte di Israele. Nonostante non smetta di fare altri viaggi (Congo, Libano), si sente indissolubilmente legato a quel popolo mediterraneo, isolato da una colpevole indifferenza alimentata da un’altrettanto colpevole disinformazione, cui Vittorio tenterà di rimediare nel 2004, fondando il blog Guerrilla Radio.
Nel 2008 la Freedom Flotilla, imbarcazione dell’International Solidarity Movement sulla quale viaggia anche Arrigoni, sfida Israele e attracca a Gaza, rompendo l’assedio marittimo. Da allora, con la kefiah intorno al collo e Handala tatuato sul braccio – personaggio nato dalla matita del fumettista Naji al-Ali e diventato un simbolo della resistenza palestinese – l’attivista brianzolo si trasforma in uno scudo umano per i pescatori, sperando che la presenza di un internazionale funga da deterrente agli attacchi israeliani contro le imbarcazioni.
Durante l’Operazione Piombo Fuso, che Vittorio ribattezza strage, il trentenne è uno dei pochi volontari a rimanere sulla Striscia e a scortare le ambulanze della Mezzaluna Rossa fino all’ospedale Al Quds. In quelle terribili settimane il suo blog diventa il punto di riferimento per comprendere, attraverso lo sguardo “privilegiato” di un testimone, gli orrori perpetrati dalla macchina da guerra israeliana ai danni dei palestinesi. Mi chiedo come Israele possa definirsi civile e democratico, se per stanare e uccidere un suo nemico nascosto in un edificio abitato il suo esercito non esita un attimo ad abbatterlo seppellendoci sotto decine di innocenti. Rifletteteci un attimo, sarebbe come se l’esercito italiano, per catturare un pericoloso boss mafioso, iniziasse a bombardare pesantemente il centro di Palermo, scrive Arrigoni il 10 gennaio 2009, in uno dei reportage che vengono pubblicati anche dal Manifesto e che poi confluiranno nel libro Gaza. Restiamo umani (Manifestolibri, 2009, pp. 144).
La necessità trasforma Vik in un brillante e arguto scrittore, in grado di mettere in crisi la monumentale operazione di disinformatia che dipinge la Palestina come un covo di lanciarazzi terroristi e Israele come l’unico baluardo della democrazia in Medio Oriente, operazione alla quale contribuisce anche Roberto Saviano, partecipando, nell’ottobre 2010, a una manifestazione sionista organizzata a Roma, durante la quale pontifica l’ospitalità dello Stato ebraico. L’accoglienza di Tel Aviv per me è un ricordo indelebile, caro Saviano, perché ne porto le cicatrici sulla carne, perché per il mio impegno per i diritti umani per due volte sono stato imprigionato nelle galere di Tel Aviv e per due volte mi hanno torturato, dichiara l’attivista in un videomessaggio, non comprendendo che differenza passi tra Brusca che brucia un bambino nell’acido e il tuo amico Peres che di bambini nell’acido, o per meglio dire nel fosforo bianco, ne ha bruciati più di trecentocinquanta. La giustizia e i diritti umani non possono essere selettivi.
Sgradito a Israele e sgradito ai sionisti integralisti statunitensi, che emettono una taglia sulla sua testa alla quale Vittorio risponde con noncuranza e sfida (Non è necessario che i miei detrattori e chi mi vorrebbe morto compongano quel numero, l’esercito israeliano sa benissimo dove trovarmi anche questa notte, sto sulle ambulanze dell’ospedale Al Quds di Gaza City), alla fine ad assassinarlo è, inspiegabilmente e per moventi mai del tutto chiariti, una cellula jihadista salafita.
Il viaggio di Vittorio è dunque l’appassionato racconto di una vita speciale in difesa dei diritti umani, non riportata con la penna fredda e annotatrice del biografo, ma con quella calda e affettuosa, mai retorica, della madre, che ha sempre avuto con il figlio un rapporto privilegiato, come si evince dalla fitta corrispondenza riportata nel volume. La famiglia ha saputo capire come il secondogenito avesse trovato, a Gaza, la certezza di essere al posto giusto al momento giusto, nonostante l’evidente carico di sofferenza che Vik si portò dietro durante il suo momentaneo ritorno a casa all’indomani di Piombo Fuso, quando le sue urla notturne e i sobbalzi del suo cuore cardiopatico tennero svegli e in apprensione i genitori.
Le memorie di Egidia nascono dalla consapevolezza che il dovere della testimonianza è più forte del riparo del silenzio e dal desiderio di ricomporre i tasselli del figlio prematuratamente scomparso, la cui morte è stata accolta da un poteva stare a casa sua e non gli sarebbe successo niente e, al contempo, da un imbarazzante silenzio delle istituzioni, che, pur manifestando un obbligato cordoglio, hanno disertato i funerali. Ai primi lasciamo rispondere Vittorio: Non so se mi sto guadagnando un posto in paradiso, certo è che lenire l’inferno di questi innocenti è una vita che vale la pena di essere vissuta. Al disinteresse politico possiamo contrapporre, noi cittadini e cittadine, la partecipazione, domenica 14 aprile, alla seconda commemorazione di Vik, che si terrà a Bulciago a partire dalle ore 16 e durante la quale verranno raccolti anche beni di prima necessità da spedire a Gaza (riso, farina, miele, tonno, legumi, pasta, biscotti; materiale scolastico; antibiotici, antinfiammatori, antidolorifici, antipiretici).
Restiamo umani