Donne dell’anima
marzo 20, 2018 in Approfondimenti, Recensioni da Roberta Basche
Il libro di Isabelle Mons, Donne dell’anima. Le pioniere della psicoanalisi, Viella 2017 (traduzione di Monica Miniati), delinea il ritratto di quattordici donne che, in vario modo, sono appartenute al mondo della psicoanalisi.
Margarethe Hilferding fu la prima laureata della Facoltà di Medicina di Vienna e la prima donna eletta all’interno della Società psicoanalitica della stessa città. Il suo percorso di studi è tortuoso perché a quell’epoca la medicina era preclusa alle donne. Margarethe diventa maestra e nel tempo libero scrive poesie e romanzi, ma non le basta.
All’università, come libera auditrice, segue i corsi di matematica e scienze naturali, di anatomia e di chimica che potrà convalidare al momento dell’ammissione delle donne alla facoltà di medicina.
Lavora a Vienna come medico e successivamente a Berlino, ma le leggi antisemite colpiscono la sua attività. Non potendo esercitare, ritorna nella città austriaca, dove inizia ad interessarsi di psicoanalisi e di pedagogia. Passa all’insegnamento di igiene e scrive testi sulla salute sessuale e riproduttiva delle donne quali Il controllo delle nascite. Si prodiga per introdurre misure per legalizzare l’aborto e per una maternità consapevole; scrive Il lavoro femminile e la salute delle donne, nel quale evidenzia le differenze di salario rispetto agli uomini.
Giunge l’anno 1938. Il giorno in cui il nome Sara viene aggiunto ai suoi documenti di identità inizia il conto alla rovescia. Lei e i due figli sono deportati nei campi di concentramento. Solo il secondogenito riesce a fuggire dopo anni di persecuzione.
Lou Andreas Salomè è una viaggiatrice instancabile. Nata a San Pietroburgo viaggia in Europa: Zurigo, Roma, Vienna, Berlino, Parigi, Monaco.
A Zurigo frequenta l’università e comincia a pubblicare i suoi primi scritti su riviste. Le interessa la filosofia, ha sete di conoscenza e tale sete troverà soddisfazione negli incontri con Nietsche, Paul Rée, Rilke e con personalità illustri dell’epoca come Stefan Zweig, Arthur Schnitzler, Gustav Klimt, Richard e Cosima Wagner.
Nel 1887 sposa l’orientalista Friedrich Carl Andreas con cui va a vivere nei pressi di Berlino. Lou lavora come critica teatrale e scrive un’analisi delle figure femminili nelle opere di Ibsen.
Nel 1895, già affermata scrittrice giunge, a Vienna per incontrare Freud. E’ curiosa, vuole conoscere questo nuovo metodo di indagine dell’anima umana. Negli anni successivi partecipa agli incontri degli psicoanalisti ma alla psicoanalisi preferirà la scrittura. Da adolescente sognava una vita priva di legami e dagli irriducibili slanci di libertà. Non dubiterà mai del proprio talento. E’ certamente una donna ammirevole, libera scrittrice prima che filosofa e analista, determinata a portare avanti le proprie scelte in maniera indipendente.
Due figure che spiccano tra le altre sono quelle di Sophie Morgenstern e Francoise Dolto.
Sophie Morgenstern è un’ebrea polacca, nata nel 1875, che agli inizi del ‘900 si reca in Svizzera per diventare medico. Inizialmente esercita la professione in un ospedale psichiatrico; si trasferisce successivamente a Parigi dove incontra Eugene Minkowski, con il quale entra in analisi. Sophie si dedica ai bambini: senza dogmi, né ricette predefinite, con un ascolto attento e partecipe cerca di condurli fuori dal disagio psichico attraverso il disegno, talvolta con il gioco. Insegna presso la società analitica di Parigi e scrive saggi sulla psicoanalisi infantile.
Nel 1940 i nazisti entrano nella città: Sophie non aspetterà di essere umiliata e il 16 giugno decide di porre fine ai suoi giorni.
Francoise Dolto nasce in Francia nel 1908. Studia medicina insieme al fratello. Una volta laureata lavora sia con adulti che con bambini nell’ambito psichiatrico.
Nella clinica neuropsichiatrica a Parigi incontra Sophie Morgenstern dalla quale apprende l’analisi infantile.
Lavora come analista, collabora con Lacan con il quale fonda la Società francese di psicoanalisi. Dà molta importanza all’ascolto del bambino e al dialogo tra genitori e figli.
Le donne qui citate, insieme alle altre descritte nel testo (Sabina Spielrein, Tatiana Rosenthal, Marie Bonaparte, Eugenie Sokolnicka, Helene Deutsch, Emma Eckstein, Emma Jung, Anna Freud, Hermine von Hug-Hellmuth, Melanie Klein) si introducono in questo nuovo campo di indagine con curiosità e coraggio. La psicoanalisi era un ambito maschile, fortemente limitato alle donne. Nonostante la diffidenza degli uomini imparano la psicoanalisi leggendo e partecipando agli incontri con Freud, Jung, Ferenczi, Abraham.
Nel testo di Isabelle Mons la figura di Carl Jung emerge per ambizione e prepotenza a discapito di alcune donne: Emma Rauschenbach (che diverrà sua moglie), Sabina Spielrein, Toni Wolff.
Emma, sposandolo, aveva accettato di regredire socialmente; moglie e madre, asseconda ogni richiesta del marito e diventa sua collaboratrice per diffondere lo “junghismo”.
Alla morte del padre di Emma, Carl diventa a pieno titolo il tutore che gestisce la sua eredità e segna più che mai la vita della moglie con un’impronta autoritaria a cui lei non si opporrà. Inoltre, per mezzo secolo di vita comune Jung imporrà alla moglie una seconda compagna nonostante il dolore che le arrecava.
Emma riuscirà comunque ad uscire dall’esilio interiore e pubblicherà Animus e anima; nel 1960, cinque anni dopo la sua morte, uscirà Psicologia del Graal, lavoro a cui Emma si era dedicata per tutta la vita, completato e curato da Marie Louise von Franz.
La maggior parte di queste donne ha vissuto con intraprendenza e impegno per scoprire percorsi non convenzionali, anche se rimane poco chiaro nel libro il contributo dato dalla psicoanalisi al disagio psichico. Il sottotitolo Pioniere della psicoanalisi lasciava presupporre un’indagine più approfondita del loro pensiero, mentre il libro indugia più sulla cronaca delle loro vite, procedendo in maniera non sempre scorrevole
Anche Nadia Neri, nel libro Oltre l’ombra,ed. Borla, ha cercato di far emergere il contributo delle psicoanaliste che hanno collaborato con Jung. Sebbene gli siano state necessarie nell’elaborazione di molti concetti psicoanalitici, Nadia Neri ne smaschera anche la dipendenza nei confronti della figura maschile e l’impossibilità ad emanciparsi almeno sul piano intellettuale dal pensiero di Jung.