Dolce, misurata lentezza. Verso una mobilità ottimale

luglio 25, 2014 in Approfondimenti da Chiara Zonta

Energie-et-equiteEnergie et équité, edito in italiano come Elogio della bicicletta da Bollati Boringhieri, sebbene pubblicato per la prima volta nel 1973, propone spunti di incalzante attualità, temi e problematiche tuttora rilevanti.

Ivan Illich, sociologo, filosofo, pedagogista e, soprattutto, libero pensatore, si è interrogato su molti aspetti della nostra società che ci appaiono noti, scontati, “naturali”. Per poi decostruirli, rovesciarli, svelarne incoerenze e illogicità. E proporre quindi scenari differenti – ingegnosi, coraggiosi, per alcuni sovversivi – che tuttavia, a quarant’anni di distanza, appaiono un po’ più possibili.

In quest’occasione concentra lo sguardo sul tema della mobilità.

Parte dalla convinzione che la crisi energetica è un problema che non trova soluzione nel crescente consumo di energia, né tantomeno nella produzione di energia a partire da fonti alternative: piuttosto, è necessario limitare l’uso dell’energia stessa!

Ne deduce che, per quanto riguarda i sistemi di trasporto, il limite va misurato sulla velocità, perché oltre un certo chilometraggio orario il trasporto motorizzato è integrativo e migliorativo rispetto al transito (pedonale, ciclabile, a trazione animale); al contrario, sotto tale soglia, inevitabilmente insorgono criticità e disutilità crescenti.see better

Innanzitutto, una società basata sui mezzi di trasporto ad alta velocità crea penuria di tempo, limitando quello personale e rubando quello altrui.

L’automobilista, ad esempio, perde una parte considerevole del proprio tempo in coda nel traffico, ad un semaforo, dal benzinaio, per un incidente, e anche in ore lavorative, destinate a pagare le rate dell’auto, il bollo, l’assicurazione, il carburante, il pedaggio e le multe.

Insieme, accelera i ritmi di vita e lavoro, contraendo le distanze e imponendo spostamenti più frequenti, più celeri, di più ampio raggio, soffrendo di stress e frustrazioni, congestioni e incidenti.

Per contro, la bicicletta – assunta come nuovo modello di mobilità e termine di confronto – costa poco: il prezzo è contenuto, ed è un investimento a lungo termine. Il risparmio energetico, poi, è senza confronti: la bici, soprattutto in città, risulta più efficiente di tutti i mezzi a motore e di tutti gli animali esistenti (compresi uccelli migratori e cammelli, tanto per citarne alcuni)! E ci si guadagna in salute e buonumore.

In secondo luogo, il trasporto industrializzato logora il paesaggio. Urbano, rurale, sociale.

Le quattro ruote intossicano e ingombrano le nostre città e le nostre piazze, che faticano ad adattarsi all’invasione motorizzata – che le rende pericolose, nervose, ostruite – mentre sanno accogliere i mezzi della mobilità dolce – a misura del cittadino e dell’ambiente urbano.

In più, maggiore è la velocità che l’auto consente, maggiore è lo spazio che le infrastrutture a suo supporto richiedono. E maggiore è il grado di irreggimentazione della mobilità stessa. Più la macchina è veloce, più lo spostamento è imbrigliato, smistato lungo arterie e nodi di una maglia che fende il territorio disarticolandolo, scavalcandolo, sottraendolo ad ogni altro uso e funzione: un nuovo svincolo si allarga su uno campo non più coltivabile, costringe ad un movimento non più socializzabile, ad un flusso che continua a spezzarsi nella saturazione degli spazi e della circolazione. Arterie e NodiA cui si rimedia costruendo altre strade, con altro traffico, altra spesa pubblica, altra spesa individuale, altra congestione, altri incidenti, altra menomazione al diritto di mobilità reale, perpetrando lo scempio di un territorio che, in Italia, è già fragilissimo (il primo in Europa per dissesto idrogeologico), che già molto soffre in termini di consumo di suolo ed inquinamento (di acqua aria e suolo, visivo e sonoro) e che persiste – ma per quanto ancora? – ad offrirci un patrimonio paesaggistico notevole e prezioso. Un patrimonio che attrae quel turismo emergente – verde, culturale, responsabile – che avanza spesso in sella ad una bicicletta.

Terzo aspetto da considerare: la motorizzazione dello spostamento riproduce e alimenta un privilegio di classe: i ritmi accelerati e i territori bypassati mutano in relazione al grado di accessibilità e alla velocità che ci si può permettere. Il tempo risparmiato è tempo sottratto a chi, a sua volta, non ha la possibilità di accelerare i propri spostamenti.

Invece, la bicicletta instaura l’equità dello spostamento, producendo indipendenza e libertà di movimento senza precluderle a nessun altro, anzi, contribuendo ad aumentarle globalmente. Ciascuna nuova ciclabile amplia il diritto e la facoltà di mobilità, anche pedonale. E le biciclette viaggiano alla velocità consentita dai muscoli e dai polmoni, indipendentemente dall’importanza del portafoglio.

Infine, la mobilità motorizzata conduce – lentamente – ad un degrado individuale.

Non c’è dignità nell’involuzione che trasforma l’uomo-architetto in un passeggero che, al pari di un pacco postale, si fa trasportare in un’auto-mobile, mentre la bicicletta esalta l’innata capacità di muoversi autonomamente, sfruttando la propria energia metabolica, e proclama il diritto e il piacere di attraversare i luoghi scandendo pedalate e frenate sulla base dei propri impulsi e incontri, di deviare dalla rotta, fermarsi a curiosare, affiancarsi a chiacchierare. Con le mani al manubrio, ci si riappropria della propria territorialità, del ritmo soggettivo, della socialità, della personale fisicità e del benessere che ne deriva.

bikes&moreÈ anche un mezzo flessibile, si adatta al corpo di donne e uomini, bimbi ed anziani, alle esigenze e agli usi più svariati – come la mitica Ape (il motocarro), da sempre e ovunque riadattata, personalizzata e “implementata” secondo la necessità, la fantasia e l’ingegno umano. La bicicletta ha in sé la propria soglia e crea solo domande che è in grado di soddisfare.

Si potrebbe indicarla come sinonimo e mezzo fondante di civiltà. Secondo Umberto Eco è uno degli oggetti nati già perfetti, come il libro e il cucchiaio.

Tuttavia in Italia, paese che dal dopoguerra ha commisurato il crescere del PIL sul tasso di motorizzazione, l’immaginario trova la sua massima espressione nella continua cantierizzazione di nuove infrastrutture stradali (e ferroviarie) per l’alta velocità: le altisonanti grandi opere. Anche se è sempre più evidente che non sono strategiche,ma dannose.

Si tratta, infatti, di progetti per lo più datati e solo oggi riproposti, concepiti per le esigenze e le risorse di uno Stato auto-centrato sull’onda di un modello di sviluppo le cui contraddizioni non erano ancora esplose. Realizzati oggi, quei progetti diventano un ostacolo ad ogni alternativo modello di sviluppo. Sono opere costosissime, in un Paese che subisce gravissimi tagli a tutti i servizi del welfare, trasporto pubblico compreso, dove la viabilità locale rischia il collasso e reclama micro-interventi diffusi di ristrutturazione e manutenzione ben più urgenti, utili e utilizzabili in grado di creare, peraltro, molti posti di lavoro in più.

Al danno si aggiunge la beffa quando i fondi investiti in infrastrutture non necessarie (e negati ai bisogni reali) si ritrovano al centro di proteste ed inchieste per violazioni di ogni tipo, additati dai cittadini del luogo e persino a Bruxelles come sacrifici inutili, nocivi e senza prospettiva di compensazione.

Infine, sono in aperta controtendenza con le preferenze dei giovani di oggi, che sono nettamente meno dipendenti dal volante rispetto ai loro genitori e tuttavia si scontrano con una sempre più lunga lista di disservizi che sistematicamente sabotano i tentativi di trasporto alternativi.

I pendolari raccontano di viaggi della speranza: i treni regionali (i più economici) si ritrovano con meno corse e meno fermate (non sempre sostituite da bus) e, in compenso, biglietti più cari, più ritardi, più sovraffollamenti, più problemi di manutenzione – sono treni obsoleti, poco pulibili, dove i malfunzionamenti sono ordinari, ma “ci scusiamo per il disagio”. Gli intercity resistono, per quanto non si sa. Si esalta invece l’alta velocità a lunga distanza: le Frecce, treni rapidi e scintillanti, costosi, stretti (ve li sconsiglio caldamente se avete un bagaglio!) e solo a prenotazione.

Pure gli autobus urbani ed extra-urbani, i tram, le metropolitane, i traghetti e le navette subiscono tagli di corse, fermate, risorse – e ci troviamo con un servizio di qualità inferiore ad un prezzo superiore.

Chi opta per la bicicletta lo fa a suo rischio e pericolo. In città e soprattutto in periferia, le strade carrozzabili appaiono decisamente più pedalabili, rispetto a ciclabili a dir poco avventurose: spezzate nei tratti (sconfinano a singhiozzo su strade ed uscite carraie), discontinue nella rete (svaniscono nel nulla!), con il fondo accidentato (molto più del manto asfaltato) e il fianco irregolare (spesso ritagliato tra sporgenze edificate). Giunti alla meta, l’odissea continua alla ricerca di una rastrelliera!

Infine, in generale, la mobilità alternativa all’automobile è poco o nulla intermodale: sono rari i biglietti e gli abbonamenti condivisi tra diverse tipologie di mezzo, gli orari sincronizzati e i siti internet in grado di incrociare i dati dei vari servizi di trasporto disponibili. Spesso non è previsto il trasporto delle bici, non ci sono agevolazioni per le carrozzelle, manca lo spazio per i bagagli. E il servizio notturno risulta largamente insufficiente.

Il problema coinvolge anche la logistica commerciale: il trasporto delle merci su rotaia, ad esempio, ha subito un drastico calo negli ultimi anni, in controtendenza rispetto alle direttive europee, alle azioni di altri governi, alle richieste dei proprietari dei Tir per cui il viaggio su strada non è più conveniente, e al vecchio buon senso. Mentre per gli spostamenti locali il trasporto su gomma resta in larga parte inevitabile, sul lungo tragitto è decisamente più vantaggioso incentivare l’utilizzo di infrastrutture alternative, attrezzando meglio la rete esistente e potenziando, in particolare, il trasporto su rotaia, quello sull’acqua e i nodi di interscambio.

Se il mondo a misura di bicicletta immaginato da Ivan Illich resta forse utopico; è reale però il fatto che la mobilità dolce raccoglie crescenti consensi e manifestazioni, nel lavoro come nello svago.

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C’è tutta una folla di gente che, per i propri spostamenti, sceglie di inforcare una bicicletta (city-bike, mountain-bike, ibride, elettriche, pieghevoli… variamente accessoriate con cestini, portapacchi, carretti e quant’altro). Nelle città spuntano servizi di bike sharing pubblico, di noleggio d’auto elettriche, bici bus e pedibus scolastici, car-sharing lavorativi. Si attrezzano navette per scuole, ospedali, centri sportivi e commerciali allontanati dal centro, mentre le ciclabili arrivano in stazione e in periferia. La rete di ciclabili si espande e si diffondono le iniziative di pedalate in compagnia (anche senza tutina).

Complici sono sicuramente i fondi europei, che incoraggiano la realizzazione di reti per la mobilità dolce, e il fatto che realizzare e connettere ciclopedonabili spesso e volentieri è una buona carta da giocare nelle elezioni e da spendere durante i mandati.

Gioca a favore anche un sentire comune che si diffonde sul vento di piccole, numerose esperienze virtuose: i comuni che hanno deciso di scommettere sulla mobilità che non inquina dimostrano di guadagnare un concreto e subitaneo miglioramento della qualità della vita, traffico di superficie più scorrevole e, per quanto riguarda i mezzi pubblici, più puntuale ed efficiente, con un maggiore spazio per pedoni e ciclisti e una netta diminuzione degli incidenti, dell’inquinamento, dello stress.

Investire in politiche di trasporto più sostenibili comporta un risparmio economico nel breve e nel lungo periodo. E un arricchimento collettivo, quando sono utilizzate per accrescere l’attrattività turistica dei luoghi, resi percorribili lungo vie verdi e vie storiche, piste e sentieri finalmente segnalati, pensati, recuperati, attrezzati per il cicloturismo, i roller, il nordic walking, i passeggini, il trekking, le cavalcate. Nella stessa ottica, si riscoprono e valorizzano anche i trenini lenti e le vie d’acqua, che tornano vive e presenti perché esplorate a bordo di imbarcazioni leggere o d’epoca.

Quello della mobilità dolce è un modello attuabile. È necessaria però una maturazione democratica che apra la strada a politiche in grado di incontrare l’interesse generale. Sono i cittadini a dovere, per primi, rivendicare e perseguire modelli alternativi di trasporto, consci dei benefici psico-fisici, socio-economici e ambientali che traggono dal minimizzare le disutilità congenite all’abuso di velocità. Solo così sarà possibile proseguire in direzione di quella società di dolce, misurata, conviviale lentezza che Ivan Illich già immaginava e solo ora comincia ad apparire un po’ più possibile.

TuttiInBici

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