Dall’urbs alla civitas. Toponomastica femminile a Brescia
giugno 18, 2019 in Approfondimenti da Claudia Speziali
Il gruppo bresciano di Toponomastica Femminile, costituitosi alla fine del 2018, ha inaugurato la propria sede nel mese di giugno, il mese in cui settantatré anni fa per la prima volta le donne italiane hanno esercitato il diritto di voto, il 2 nel referendum Istituzionale e il 25 eleggendo l’Assemblea Costituente.La Repubblica nasce donna, anche se non pare.
La sede del gruppo si trova presso una delle RSA della fondazione Casa di Dio Onlus, realtà storica che da oltre quattrocento anni rappresenta un punto di riferimento nello scenario bresciano per i sevizi resi alle persone bisognose. In occasione dell’inaugurazione è stata allestita negli spazi della struttura una mostra sulle Madri Costituenti (fino al 17 giugno), che illustra la loro visione della dignità della persona, ed in particolare della donna, e i loro vissuti esemplari.
Sempre a giugno, mese ricco di iniziative a Brescia, la referente di Toponomastica, insieme a altre donne attive nella vita politica, sociale e culturale cittadina, è stata invitata da “Libertà e Giustizia” e SNOQ a un incontro pubblico sul tema “Le donne ri-leggono la Costituzione”, un’occasione per evidenziare, a partire dall’articolo 3 della Costituzione, come la toponomastica urbana non sia solo questione di targhe. Le Madri Costituenti sono poche, ventuno su 550, ma la Costituzione deve molto al loro lavoro; in particolare Lina Merlin introduce nell’articolo 3 la locuzione “di sesso”, oggi diremmo “di genere”, nell’elenco delle discriminazioni da superare, mentre Teresa Mattei introduce la fondamentale aggiunta “di fatto” alla frase “limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, nel comma sugli ostacoli di ordine economico e sociale da rimuovere per consentire lo “sviluppo della persona umana” e la partecipazione dei lavoratori alla vita del Paese.
Il principio di eguaglianza è il principio costitutivo della democrazia, perciò ogni limitazione dell’eguaglianza coincide con un restringimento della democrazia. Nella realtà le differenze esistono, la legge ha il compito di impedire che diventino fonte di discriminazione, come chiaramente spiega la giurista statunitense Katherine MacKinnon domandandosi: “Perché mai si dovrebbe essere uguali agli uomini bianchi per avere ciò che essi hanno, posto che, per averlo, gli uomini bianchi non debbono essere uguali a nessuno?”. Più subdola, ma non meno grave della discriminazione legale, è perciò l’omologazione giuridica delle differenze, che parte dall’implicita assunzione di un’identità, affermata come neutra e generale, “normale” e al tempo stesso “normativa”, ma in realtà esclusivamente maschile. La nostra pur bella e civile Costituzione, figlia del suo tempo, mette sempre come soggetti “cittadini” e “lavoratori”, mai “cittadine” e ”lavoratrici”.
Fino al 1946 le donne in Italia non sono cittadine, non sono parte della civitas, cioè della città-Stato e dell’insieme dei cittadini, ma solo dell’urbs, cioè della città intesa come complesso di edifici e mura. Non doveva però essere tanto agevole per le antiche romane neppure percorrere, anche accompagnate, le vie di questa urbs, se attorno al 150 a.C., per arginare un fenomeno diffuso, viene emanato l’editto De aptemptata pudicizia, che stabilisce sanzioni per chi molesta le donne per strada; del resto un proverbio medievale recita “Donna onesta non sta alla finestra”, perché solo le prostitute si affacciano, per attirare clienti. Comunque, le città ed i loro spazi, “a misura d’uomo”, sono, per le donne, luoghi di esclusione sociale.
Ancora oggi le città sanciscono l’esclusione delle donne, cancellandone le tracce e negando loro il dovuto riconoscimento nello spazio urbano e nella memoria collettiva.
A Brescia, su 1656 strade e luoghi urbani, 744 sono dedicati a uomini, alle donne solo una quarantina, di cui la metà sono sante, religiose, madonne. Lo squilibrio di genere è evidente, ma talmente consolidato da risultare “normale”. Dunque, sulle targhe stradali sante e madonne, sui cartelloni pubblicitari corpi seminudi di ragazze; quasi assenti i nomi delle donne che hanno contribuito alla storia di questa città e di questo Paese.
Rendere evidenti le differenze ed il loro valore, anche attraverso le targhe stradali, è la condizione per inserire a pieno titolo le donne nella civitas , dalla quale sono state troppo a lungo escluse.
La Costituzione è un formidabile punto di partenza, ma oggi la visibilità della differenza e il riconoscimento di pari opportunità e dignità sono la nuova frontiera.
In occasione del festival Wowomen del 9 giugno, Toponomastica femminile, su richiesta di CARME, ha stilato un elenco di nomi e biografie di donne di valore, presentati anche nel corso di due incontri pubblici, all’interno dei quali le giovani artiste di Carme hanno individuato quelli con cui, manifesti e colla e pennelli alla mano, ri-nominare le principali strade del quartiere, fino a che gli agenti atmosferici non cancelleranno queste installazioni temporanee. Per esempio via Porta Pile è diventata via Giacinta Calini, letterata, pubblicista e insegnante bresciana del XIX secolo, autrice di un carme Contro la pena di morte, pubblicato nel 1870, 19 anni prima che la pena capitale fosse abolita dal codice Zanardelli nel 1889; via Nino Bixio è stata re-intitolata a Virginia Guerrini, cantante d’opera locale di fama internazionale vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento; Via Elia Capriolo è divenuta via Antonia Oscar, militante comunista dal 1921, antifascista e partigiana, vicesindaca di Brescia fino al 1949 e poi attiva nel sociale, mentre via delle Battaglie, via Federico Odorici, Via Marsala e via Federico Borgondio sono state temporaneamente intitolate a quattro significative artiste del Novecento, la scultrice Franca Ghitti e le pittrici Piercarla Reghenzi detta Pierca, Anna Maria Coccoli e Rina Soldo.
La prima metà del 2019 ha visto avanzare, da parte del gruppo bresciano di Toponomastica Femminile, numerose proposte di intitolazione di vie e spazi pubblici, organizzando incontri presso l’AAB dedicato alle artiste Pier Carla Reghenzi dettaPierca, Anna Coccoli e Franca Ghitti , il Conservatorio “Luca Marenzio” ricordando la musicista Adele Bignami), la facoltà di Giurisprudenza con interventi su Giacinta Calini e Maryam Mirzakhani , e con l’ANPI con la testimonianza della partigiana Rosy Romelli.
Su invito del Comitato per il Pride, il Gruppo bresciano di Toponomastica femminile ha organizzato il 12 giugno l’incontro pubblico Marielle Franco, il coraggio delle differenze, nell’ambito del Pride Week locale, in cui ha presentato la figura dell’attivista brasiliana richiedendo l’intitolazione anche a lei di uno spazio urbano a Brescia.
La vita di Marielle Franco è la testimonianza di una donna a più dimensioni, che ha avuto il grande coraggio e la gran forza di ri-assumere e fare proprie, in soli 38 anni di vita, le sue plurime identità. Da ciò la sua straordinaria, esemplare libertà, e la sua lotta in difesa dei diritti delle minoranze, al fianco di poveri, emarginati, minori e donne abusate, e la denuncia di delinquenza e narcotraffico.
Marielle Franco è donna, e donna nera, e questo, come lei stessa afferma in un’intervista, “significa resistere e sopravvivere sempre”. E’ anche madre, una madre povera e sola: a diciannove anni mette al mondo una figlia e si laurea in scienze sociali, mentre lavora come insegnante retribuita al minimo sindacale. Questa esperienza la fa avvicinare al femminismo ed alle battaglie per i diritti delle donne, soprattutto nelle favelas.
In Brasile l’1% della popolazione possiede circa il 30% delle risorse: da questo divario nasce la lotta di Marielle Franco; per lei l’istruzione non è erudizione, ma strumento di conoscenza e trasformazione, oltre che di riscatto, sociale e di genere.
Marielle Franco è lesbica e vive il suo amore e la sua famiglia non convenzionale alla luce del sole e con grande libertà e pienezza.
Nel 2006 Marcelo Freixo le spalanca le porte della politica, nominandola sua consigliera parlamentare ed introducendola nel Partito Socialismo e Libertà. Eletta, prima donna nera, nel Consiglio Comunale di Rio, presiede la Commissione per la Difesa delle Donne. In lei privato e pubblico s’intrecciano inestricabilmente, tanto che non è possibile separarli.
Marielle Franco è stata uccisa nel quartiere di Estacio di Rio de Janeiro la notte tra il 14 e il 15 marzo 2018: due settimane prima era stata relatrice per una commissione speciale istituita per monitorare l’intervento federale in corso a Rio e la militarizzazione della sicurezza pubblica, e aveva criticato il dispiego di forze armate in zone a rischio della città (secondo The Guardian solo nello stato di Rio, nel gennaio 2018 sono state uccise 154 persone per “opposizione all’intervento delle polizia”); la Procura di Rio ammette che “Marielle è stata giustiziata in modo sommario a causa delle sue attività politiche”.
Non è una vittima, ma una caduta per la libertà, sua e di tutti, nella ferma convinzione che un mondo differente deve esistere e va costruito.
(Estratto di articolo gentilmente concesso da: vitaminevaganti. com (n. 14), rivista ufficiale dell’Associazione Toponomastica Femminile)