Dalla banalità alla normalità del male
giugno 7, 2019 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Torneranno quei tempi? I tempi dello sterminio dei diversi, dell’antisemitismo, della Shoah?
La domanda incalza chi ha umanità e coraggio, non i molti inchinati al dogmatismo del pregiudizio.
Sulla violenza di massa, che di nuovo si ripete, indaga il saggio di Isabella Merzagora, docente di criminologia all’Università di Milano e presidente della società italiana di criminologia nel saggio appena pubblicato La normalità del male. La criminologia dei pochi, la criminalità dei molti, ed Raffaello Cortina.
Un libro che si pone come la continuazione de La banalità del male, di Hanna Arendt.
L’antisemitismo e l’odio per i diversi, soprattutto zingari, omosessuali e immigrati (ma non svizzeri o nordamericani) inizia con un procedimento sperimentato: prima si diffondono luoghi comuni colpevolizzanti; poi parole e azioni violente che la politica banalizza e difende per tornaconto elettorale; intanto si cristallizzano nella mente comune preconcetti che sottendono e poi agitano apertamente intolleranza e xenofobia portando all’ottundimento psichico e morale.
Seguono comportamenti discriminatori pesanti, finchè si chiede l’esclusione sociale del “diverso”, si applicano leggi punitive, si gode della sua sofferenza e della sua morte.
Lo si degrada ad animale, lo si vede non più come singolo individuo, ma come gruppo pericoloso cui si attribuiscono la crisi economica, lo spreco delle risorse nazionali, lo spirito dell’invasore che crea solo problemi.
Come successe 80 anni fa col fascismo, le persone sono perseguite non per ciò che fanno, ma per ciò che sono.
Quale differenza rispetto a quanto mi diceva in un’intervista del 1986, un anno prima della morte, Primo Levi: non credo ci sarà più un’altra Shoa perché un effetto di anticorpi c’è pur stato. (L’intervista si può leggere su questa rivista cliccando “Primo Levi” alla finestra “cerca”).
Non più Lager? Ma i Lager – osserva Isabella Merzagora – non sono necessari, oggi basta il mare.
Nel 2017 la Commissione parlamentare Jo Cox ha definito la Piramide dell’odio in Italia: atti di violenza fisica fino all’omicidio contro persone diverse per qualche caratteristica come il sesso, l’orientamento sessuale, l’etnia, il colore della pelle, la religione o altro.
Ci sono dati indiscussi: la maggior parte degli italiani sovrastima il numero degli immigrati, ritiene che tolgano lavoro agli italiani, ritiene che le pratiche religiose degli altri, soprattutto degli islamici, siano un pericolo.
Una ricerca condotta dal Pew Research Centre (USA) in sei grandi paesi europei, leggibile in www.osservatorioantisemitismo.it rivela che gli italiani sono nettamente primi in Europa nell’odio verso i Rom e i musulmani, di poco superati dai polacchi nell’antiebraismo. Dal primo giugno al 31 luglio 2018, in soli due mesi, le aggressioni razziste sono state 22 e 3 gli omicidi.
Secondo Amnesty International in Italia c’è una deriva sempre più veloce verso il razzismo, l’odio e la violenza. C’è un discorso pubblico che si è degradato e una diffusione di xenofobia e discriminazione, ma anche di violenza che sta intossicando il tessuto sociale e il rapporto verso tutti coloro che vengono percepiti come “diversi “.
L’Italia è diventata razzista.
Torno alla continuità di Merzagora con Hanna Arendt. Preparato dagli studi di fine Ottocento di Lombroso e altri positivisti, sostenuto da contesti di instabilità economica e sociale, dal desiderio dell’ordine, dell’uomo forte che lo imponga, l’odio spinge allo sterminio oggi come ai tempi del nazismo.
Lo si vede nelle guerre tra paesi del Terzo Mondo, nei massacri e nelle fosse comuni della ex Jugoslavia, nell’eccidio che gli americani fecero a My Lai in Vietnam (504 persone inermi uccise, soprattutto vecchi/e e bambini), nelle torture ad Abu Ghraib in Iraq (ma ora il carcere ha cambiato nome), mentre nessuno sa cosa succede a Guantanamo.
Ancora gente parla a propria difesa come i gerarchi nazisti a Norimberga: ha eseguito ordini, ha obbedito, semplicemente usando mezzi tecnici (ora più sofisticati, distruttivi e pericolosi che nel secolo scorso). In conclusione: la maggioranza della gente non ha il coraggio di chiedersi i fini del proprio operare.
Torna la richiesta della sterilizzazione già applicata dai nazisti
La cultura aiuta ben poco a ragionare: il Manifesto degli scienziati razzisti nel1938, il Giuramento di fedeltà al fascismo da parte dei professori universitari italiani (una decina contrari; in realtà 18, ma alcuni andarono in pensione o si trasferirono all’estero), l’accusa agli ebrei di deicidio fatta, fra i tanti, da Agostino Gemelli, sorvolando sul fatto che Gesù era un ebreo, ma si disse anche che fosse figlio di un soldato romano che avrebbe stuprato Maria. Altre persone di cultura, come i medici, parteciparono con diverso entusiasmo (si pensi a Mengele) al gusto dell’odio, insieme con giuristi, economisti, storici che entrarono persino nelle SS, naturalmente dalla porta principale.
Esiste una banalità del bene, come ha scritto Enrico Deaglio raccontando Giorgio Perlasca, ma sembra che pochissimi a questo mondo abbiano un’autonomia morale, siano capaci di sentire empaticamente ciò che l’altro sente al punto di rischiare la propria vita per salvarlo.
Attraverso gli studi di Adorno, Merzagora individua le caratteristiche del fascista potenziale: il carattere autoritario, conformista, intollerante, le vedute ristrette, l’obbedienza alla pressione del gruppo.
Così la coscienza è sostituita dalla coscienziosità, i valori umani sono pervertiti.
Oggi il fenomeno del tifo calcistico, l’anonimato dei Social, la diffusione di siti razzisti e di fake news fanno ripensare un passato che torna. La Shoah non fu solo un problema ebraico, ma di tutta l’Europa, come oggi l’ergersi dei muri e il sadismo diffuso fanno pensare che abbiamo imboccato la stessa strada.
Ancor più che in passato, sappiamo dei morti in fuga da guerre e distruzioni promosse e alimentate dai sedicenti Paesi civili. Con queste guerre facciamo soldi, dalla vendita delle armi alle materie prime. Lo sappiamo, ma ne siamo complici. Il male, oltre che banale, è dunque normale.
Come disse Primo Levi: se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, ma sarebbe meglio aver imparato qualcosa.