Da Minosse a Omero
dicembre 20, 2020 in Approfondimenti, Recensioni da Viola Allegri
Vicino allo stretto dei Dardanelli, una collina di 40 metri seppellisce Troia, il luogo più suggestivo dell’antichità, la città cantata da Omero. Stava finendo l’età del bronzo, il ferro nell’Iliade appare solo nello scudo che Vulcano prepara per Achille. L’età romantica se ne innamorava e Troia riviveva nelle prime notizie che ne aveva Ugo Foscolo: “Ilio/ raso due volte e poi risorto”.
Il saggio di Louis Godart, archeologo, docente all’Università di Napoli, membro dell’Accademie dei lincei, di quella di Atene e di tante altre istituzioni, Da Minosse a Omero, alle origini della civiltà europea, Einaudi 2020 è un viaggio attraverso il tempo e le tracce di presenze umane e di civiltà che gli studi fanno arretrare sempre più, a cominciare, per esempio, da 130.000 anni a.C., a Creta. L’uomo, forse neandertaliano, lascia traccia di sé: piccole asce, raschiatoi, perforatori, scalpelli. Una scoperta che sconvolge le precedenti datazioni che davano Creta colonizzata nel neolitico, e vi facevano iniziare la civiltà molto più tardi.
Nel suo grosso libro (410 pagine) Godart sfiora i miti e le tradizioni solo quando servono a sottolineare i fatti, mentre si appassiona e avvicina con chiarezza l’enorme materiale di architettura e urbanistica, gli oggetti, la scrittura, i sacrifici, i sigilli, le tombe, quella cultura materiale che è la base della nostra conoscenza reale, e che vediamo nel libro attraverso molte fotografie.
Il viaggio può cominciare con Schliemann e la scoperta di Troia, la prima prova che Omero non cantava favole, ma delle verità: Troia esisteva davvero. Più ampiamente scavata da missioni soprattutto tedesche rivelò nove strati, ultima la rifondazione che fece Cesare mostrando l’affetto dei Romani per la città da cui era partito Enea arrivando al Lazio. La vera Troia, nata intorno al 3.000 a.C., quella di Omero, fu distrutta dai Micenei probabilmente dopo un lungo assedio tra il 1200 e il 1180. Ricordo un convegno cui partecipò il grande archeologo Manfred Korfmann che fissò la data della distruzione di Troia, nel 1184, suscitando qualche ironia (a che ora?). Ma ne espresse una definizione esatta: la città rappresenta “la cultura troiana anatolica”. La Troia dello strato VI i è la “città dell’oro” di Omero. Ancora una volta lui o altri insieme, dato che la questione omerica è sempre aperta, raccontano esattamente i luoghi: una grande città ben organizzata, con possenti mura di cinta rafforzate da torri massicce, adeguati rifornimenti idrici, un salone di 50 mq, intorno a cui si aprivano le stanze, un’estensione di circa 20.000 mq in grado di accogliere 10.000 abitanti. In Troia VI i assediata si trovano vasi seminterrati che mostrano come la gente non si sentisse al sicuro e preparasse scorte per un lungo periodo. Quella città, ricca d’arte mostra lo straordinario progresso dell’ultimo neolitico. Era un centro di oreficeria, come svela una coppa d’oro a due anse, 23 carati, a forma di barca, come le ceramiche a tinte rosse con forme originali, edifici monumentali, lapislazzuli, stagno e rame per ottenere il bronzo, ossidiana, materiale proveniente dal cuore dell’Asia.
Il commercio con le isole Cicladi a occidente e con l’oriente anche lontano ne facevano il centro più ricco dell’epoca. La città fu bruciata dai Micenei, si trovano scheletri e punte di bronzo, l’area dell’accampamento acheo, i depositi di armi, tutto come lo descrisse con precisione Omero cinque secoli dopo. Come è possibile tanta precisione a tanta distanza di tempo? Dall’Iliade nasce un altro interrogativo: la lingua di achei e troiani coincide, i nomi troiani hanno tutti un corrispondente nome acheo, i sacrifici agli dei, le sepolture sono gli stessi. Fu forse una guerra civile?
Schliemann scoprì poi Micene, la porta dei leoni, le maschere d’oro dei re, le loro tombe. Infine avvenne un risultato inatteso: Michael Ventris scoprì il lineare B, la scrittura dei Micenei: fu così possibile leggere scritti che davano informazioni su quella civiltà e ponevano un ulteriore problema: quando gli indoeuropei cui appartengono i Greci, muovendo dagli altopiani indo-iranici arrivarono al Mediterraneo meridionale, all’Europa e alle Cicladi? Resti si sono trovati già nel paleolitico e via via più abbondanti nel neolitico e soprattutto nell’età del bronzo.
Qui appare Arthur Evans che scoprì e ricostruì una parte dei palazzi di Cnosso, distrutti tre volte da terremoti e incendi e poi ricostruito. Creta commerciava con le Cicladi scambiando i prodotti della sua terra fertile con i minerali delle isole. La sua arte raffinata produceva affreschi che rappresentavano il dominio di un re e una vita ben organizzata. Non solo gli affreschi: Il principe dei gigli, il salto del toro, “la parigina”.
Già nell’età del bronzo antico, a Cnosso appare la piccola statua di un cantore e si trovano tante piccole statue di bronzo e di marmo che raffigurano uomini e animali, mentre sulle terrecotte sono disegnati delfini, polpi, navi.
Quando l’isola era al massimo del suo potere e aveva imposto nell’Egeo la sua talassocrazia, violenti terremoti con probabili tsunami la indebolirono al punto che i Micenei la invasero, ne distrussero i palazzi tranne quello di Cnosso, che tuttavia modificarono e portarono altrove il centro dei commerci. Nel frattempo, nel 1615 era esploso il vulcano che generò Thera Santorini, che poi distrusse definitivamente Thera nel 1530, ma non fu il vulcano ad abbattere la civiltà minoica che visse, tra modifiche e ricostruzioni fino al 1450 circa, quando la lingua minoica fu lentamente cancellata da quella micenea. Micenei che a loro volta soffrirono di vari attacchi, forse dai “popoli del mare” per cui i loro palazzi si spostarono su colline all’interno e si munirono di larghe mura: Tirinto, come la Micene di Agamennone. Non lo fece Pilo, l’antica reggia di Nestore (da visitarne i resti e il museo che rivela con centinaia di anfore e crateri una civiltà dedita a feste e banchetti). Ma Pilo fu distrutta. Queste città sono le antenate delle poleis.
I palazzi di Creta erano ogni volta ricostruiti più grandi, si snodavano a più piani intorno ad ampi spiazzi, non lontano crescevano le case private. Qui si apre un nuovo problema: a Creta si trovano tracce risalenti al paleolitico. Come vi è arrivato l’uomo 200.000 anni fa percorrendo, dal punto più vicino circa 100 km di mare aperto? Con quali zattere o barche? Chi ha navigato nell’Egeo conosce le burrasche, la violenza dei venti, il freddo della notte, la necessità dell’acqua dolce sotto il sole bruciante. Eppure a Creta si trova dell’ossidiana proveniente dall’isola di Melo. Già nel neolitico, nel III millennio, quando le case assumono la forma rettangolare si trovano oggetti decorati a disegni geometrici. poi nell’età del bronzo verso il 1330, ceramiche con colori brillanti e forme complesse, copiosi nudi, quasi tutti femminili, molti indicanti la gravidanza. Anche la religione non cambiò molto nel tempo e in parte si prolungò nel mondo miceneo: a Creta una processione portava al bagno lustrale oppure alla grotta dove nacque Zeus sul monte Ida. Da lì provengono i simboli di Creta: la dea dei serpenti, Grande Madre della fertilità, della vita, ma anche della morte; ad essa furono dedicati i misteri eleusini. Il labirinto, forse nato per rappresentare la complessità del palazzo, ma anche simbolo del Bene e del Male; il Toro, simbolo di vita, celebrato soprattutto nell’Anatolia da cui forse proveniva.
Godart cita già all’inizio un terzo attore di questi luoghi e di questa storia: le Cicladi (dal greco kuklos, cerchio). Un cerchio di isole intorno a Delo, dove nacque Apollo. Esse comunicavano tra loro, ma presto il cerchio grazie ai traffici si allargò all’Anatolia, l’Egitto, la Tracia e la Tessaglia dove vivevano i Centauri e nacque Achille. Quel mondo di mare fu la “Polinesia” da cui nacque la nostra civiltà.