Da giovane avevo due vite
maggio 23, 2024 in Approfondimenti, Recensioni da Roberto Colli
Chi non è stato adolescente, chi ha dimenticato quegli anni tormentati?
“Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita” (Paul Nizan), oppure: “se è vero che la giovinezza è un difetto, ce ne correggiamo in fretta” (Goethe), oppure: “il segno della giovinezza è forse una magnifica vocazione per le facili felicità” (Albert Camus); ecco, torniamo a quegli anni col pensiero, quando forse tutti sentivamo una sorta di doppia personalità. Essere, vivere in un modo e anche in un altro, più avventuroso, arioso, senza mediocrità, o viversi come Diabolik ed Eva Kant.
Quell’insicurezza la ricorda la lettura del primo romanzo di Cesare Pavese, Ciau Masino, ed. Capricorno, collana Capolavori ritrovati.
Dopo più di cinquant’anni di assenza dalle librerie, Capricorno torna alla prima, affascinante prosa narrativa del «giovane» Cesare Pavese, scritta fra il 1931 e il 1932. Racconta le vicende del giovane giornalista torinese Masino e dell’operaio Masin, che viene dalle colline di Langa.
Un’opera iniziata a 23 anni, conclusa a 24, con due protagonisti che poi sono uno solo: Masino e Masin.
Pavese intreccia la storia dei due giovani senza farli incontrare, due storie che si somigliano e si dividono, con destini pronti a rovesciarsi. Al primo potrebbe capitare ciò che capita al secondo e viceversa. È la lama di quella specie di paranoia che accompagna l’adolescenza, curiosa, veloce, dura, a volte ubriaca, con quel brivido che attraversa i muri, scrisse Franz Kafka.
E come scrisse Pavese:
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso …
Masino ha studiato, Masin vive nel mondo della tecnica. Hanno elementi comuni: Torino, il Po, la Langa, la Dora “lurida e fangosa”, Santo Stefano Belbo e il suo torrente, l’osteria dove si beve troppo, qualche germoglio d’amore che non ha nemmeno il tempo di profumare, una vita incomprensibile, incompleta.
Lo studio ha reso Masino timido e remissivo: davanti al libro fumacchia a fa flanella, invidia gli operai, si vergogna di essere al mondo. Per un mese sogna di lasciar la propria classe sociale e cantare nei varietà. Scrive il testo di una canzone che ritornella:
Ci sono poi donne fatte così
Che è una delizia fumarle un giorno
Baciale in bocca o giù di lì
Ma tosto levale da starti intorno
Canzone che crea un contesto malinconico vagamente bohemien, poco di moda, quindi bocciata dal boss che fa girare l’ambiente.
All’inquieto Masino viene per qualche mese l’ossessione di imbarcarsi senza un soldo e girare il mondo lavorando, faticando in qualche modo pur di vivere. Meno male che la stessa fiacchezza che produce queste voglie taglia i nervi per attuarle. Altra flanella: i filmetti americani: ragazze belle, vibranti, corpo chiaro, volto sereno, case in mezzo alle campagne, uomini sicuri, forti, pugni sodi e occhio aperto, boschi e oceani.
Infine Masino approda al giornalismo, sempre col suo bel senso d’essere inutile, anche quando diventa “inviato speciale” in un’America che dovrà inventarsi perché al giornale occorre solo infilarlo in vetrina. Che oggi i giornali non spendano per mantenere all’estero un inviato, è una faccenda che renderebbe ancor più triste Masino.
Masin comincia bene: meccanico automobilista, collaudatore felice e spericolato finchè investe una persona, patente ritirata, qualche mestiere precario, aiuto macchinista all’Odeon, la promiscuità serale con ballerine e attori, la decisione di mettersi in proprio con una di loro sognando di girare, ballare e suonare, i progetti balordi, il successo economico come commerciante, il matrimonio, la nostalgia della giovinezza volata, perché:
il sogno più grande dei miei padri
fu sempre un far nulla da bravi.
Siamo nati per girovagare su quelle colline, senza donne
e le mani tenercele dietro alla schiena.
Ma c’è qualcosa peggio di quel far nulla, è fare qualche cosa, così la fine sarà davvero marcia e le colline delle Langhe lo scenario delle sconfitte.
Le esperienze, anche quando vicine, sviano Masino e Masin, su sentieri a perdere in un esistenzialismo che a loro par vivo, mentre è solo un vizio da operetta con all’angolo la mannaia del fallimento.
Questo primo romanzo colpisce per la sua durezza che imbocca la via del nichilismo, ma anche per lo stile che non ritroveremo nei lavori della maturità.
Scrive nella postfazione il critico Massimo Tallone: “la temperatura di lava vulcanica che l’eruzione giovanile celebra”. Romanzo sfrontato, sensibilità violenta, esagerazioni impietose che sono parte integrante dell’adolescenza, sfacciato nell’uso frequente del dialetto come rifugio, del ripiegamento di chi sa che la fortuna lo guarda di traverso mentre gli ha già voltato le spalle.
di Roberto Colli