Cosa vedo quando leggo? Un libro di parole e immagini
ottobre 9, 2020 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Leggo un libro e la scrittura si trasforma in immagini, ma dovrei ricordare che non vedo con gli occhi, ma con il cervello (Oliver Sacks).
A sua volta il pensiero si trasforma in una rappresentazione mentale. Quasi un cerchio.
Poi le nostre menti inconsapevoli, sintetizzano i vari frammenti e ricavano un dipinto da una o più tracce. Naturalmente il quadro che ci rappresentiamo cambia continuamente: quanti anni ha la signora Ramsay che sferruzza in poltrona, chiediamo a Virginia Woolf?
Poi Virginia scrive che ha due figli giovani, cominciamo a capire, le aggiunte mutano il contesto che a sua volta ne adatta il significato. E che sappiamo di Lily che la sta dipingendo?
Il processo di adattamento è così veloce da essere impercettibile, ma non è finito: la frase lancia avanti la nostra mente, l’occhio rimbalza sulla pagina intrecciando il passato già noto al presente, e intravvede il futuro. La lettura è anche un ricordo che non procede lineare come la frase, la nostra mente viaggia a scatti, combina, scioglie.
Il mondo del libro che ho di fronte si sovrappone al mio, leggere è guardare attraverso, oltre. Noi colonizziamo il libro, infatti le frasi sono frecce che ci portano oltre le righe, come il teatro che va oltre le parole degli attori e delle attrici finchè confondiamo vedere e sentire. Confondiamo il modo in cui un personaggio appare con quello che è, costruiamo un mondo composto di frammenti.
La pratica della lettura è la coscienza stessa: imperfetta, parziale, nebulosa.
Ciò che cerchiamo è un ingresso riservato, la chiave per una visione condivisa con l’autore, vorremmo un alambicco che ci distilla l’oro impossibile dell’alchimia, il dettaglio rivelatore.
Un autore tra i più completi, Tolstoj, ci descrive Anna Karenina che balza fuori dal ritratto una deliziosa donna viva coi capelli neri ondulati, le spalle e le braccia nude, un pensoso mezzo sorriso sulle labbra coperte da una delicata peluria che lo guardava vittoriosamente con degli occhi che lo confondevano. Non era viva, soltanto perché era più bella di quel che possa essere una viva.
Così descritta, l’immagine di lei si precisa, ma -senza irriverenza – mi chiedo cosa significa la “delicata peluria sulle labbra”; insoddisfatto, vorrei anche chiedere com’era il suo naso?
Il problema è che noi in un romanzo di solito vediamo il comportamento e l’azione del personaggio senza avere la sua descrizione.
Che sappiamo di Lily Briscoe, la pittrice di Al faro, solo occhi cinesi e pelle vizza, e della casa della signora Ramsay che ospitava tanta gente? Virginia Woolf non dice, ma sparge tracce, e l’essere reticenti, il difendere misteri può essere la caratteristica del grande autore, soprattutto rispetto a colui che infarcisce la sua storia di tanti dettagli da renderla pesante e incomprensibile.
Invece gli occhi di Madame Bovary cambiano colore: l’azzurro nella castità, il verde nella lussuria e gelosia.
Nell’assunto e nello svolgimento il libro di Peter Mendelsund, Che cosa vediamo quando leggiamo, Corraini editore, è un’operazione letteraria unica
Davanti abbiamo un’opera di 420 pagine per metà costituita di immagini a piena pagina, che l’autore, art director in vari studi tra i più importanti del pianeta, ha inserito alternandole alla pagina scritta, esprimendo con disegni quasi tutti suoi, un linguaggio iconico a volte allusivo al testo, a volte in contraddizione, a volte ironico o dada. Ho cercato in quei disegni il segno della Gestalt, inutile. Ormai la Gestalt mostra brutalmente la sua vecchiaia.
I libri a cui più spesso Mendelsund si riferisce, i suoi preferiti sono Anna Karenina, Al faro, Ulisse, anche se la sua ricerca interroga a volte il mondo antico: che sappiamo di Era, la dea moglie di Zeus? Solo che ha gli occhi bovini, suo epiteto costante, nient’altro.
A volte l’autore del romanzo ci depista – sempre nel thriller – a volte ama disegnare come volesse aiutare noi e se stesso, come Kafka, o ci porta lontano come il disegno, qui di Mendelsund de Il faro, segno fallico, ma anche tragico. Noi sappiamo che tiene molte cose nascoste e mi dice solo quanto vuole che io immagini, vuole che veda senza riconoscermi, perché ogni libro è un mistero e in fondo ci chiediamo: perchè non so con-creare?
Ogni libro è un ricordo – scrive Mendelsund – ma il suo è anche un’ironia sottile: oltre lo scritto sappiamo leggere i suoi disegni stranianti? prendiamo coscienza o vediamo soltanto, senza essere ciechi come Omero e Tiresia. Ma quelli vedevano lontano, noi siamo costretti al corpo a corpo con il presente.