“La corrente”, capitolo 7
marzo 22, 2015 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli
Gigliola cerebralmente si sentiva più distesa dopo l’invasamento repente di pochi attimi prima. Ora era l’acqua a strologare intorno ai suoi polpacci, compiva anelli debordanti e gorgogliava di bollette subito frante. Rodolfo ritornò allora a mirarla con uno sguardo adulto e bambino insieme, mai compiuto, tra il guardo e il non vedo. Lo attirava l’orizzonte lineare e stolido fra cielo e mare, nei suoi miraggi, ma si sentiva che pensava a Gigliola più che mai; era stata lei a proporgli la gita alla spiaggia, a riannodare un nodo d’amore che il tempo aveva sciolto da sé, che il tempo stesso ora riesumava in una forma nuova, pur sempre forma umana.
Marta era assente da codeste tensioni, si rilassava anche lei ma di un peso diverso, quello lavorativo; le importava poco di Rodolfo e Gigliola, forse le importava di vivere la vita comunque la pensasse chi gli stava vicino: allora erano più importanti le ondine che le accarezzavano le ginocchia, il venticello insensato, birichino di ciocche di capelli mossi, il gabbiano ridente di versi a qualche decina di metri. Non sapeva dei gabbiani amici-nemici di Gigliola a Punta Corvo, non sapeva di amori e di barche a Firenze, per lei l’amore non era ancora divampato.
Rodolfo sentì le sue membra sciogliersi: fu un sentimento improvviso e dirompente quanto liberante del passato; si sentì cioè solo e insieme compunto, attratto dall’infinito ma da ogni parte, dal circolo della vita intorno: allora non ci fu più il tempo e lui e le altre e gli altri ma Rodolfo immerso nel mare e solo il mare compagno a lui massa di passioni. Si girò verso Gigliola più indietro, le fissò le iridi sfocate dalla luce e le parlò così:
“Ti desidero ancora”.
Marta non colse ma sentì un cambiamento di tono nella giornata, Gigliola colse ma nel frattempo anche lei aveva da dire la sua gioia a Rodolfo, le uscì solo un lamento tra l’incantato e il disperato:
“Perché ?”
Il mare era davanti a loro, con gli artigli di acqua chiara e scura, azzurramente libera, pronti a ghermire dolcemente gli arti sciolti e esitanti nell’attimo di bagnarsi, fra rondini e uccelli diversi. I passeri minuti e audaci sembrarono di colpo a Gigliola quelli di Punta Corvo, quelli che fingevano la fame scricchiolando i sassetti di fronte alla ragazza, la quale ora attendeva una risposta da Rodolfo antico e nuovo, coraggioso e misterioso, mentre Marta s’era posta più a lato, dove non sentiva che il vocio di bimbi sulle dune più alte della battigia, loro nuovo habitat algoso, ramato di frammenti lignei, vigilato da genitori stanchi della settimana.
Rodolfo non rispose subito, dovette pensare e riflettere nell’inconscio un proponimento di risposta che fosse insieme un atto d’amore, un gesto del cuore, un esempio di stile, una chitarra intonata di parole, perché quel “perché” era uno sprofondare nel tempo, come cadere a precipizio su di un soffice nido che ti culla ma che ti può anche soffocare. Prese tempo, si gingillò con le mani dondolanti sulla superficie acquorea, lasciò andare il cervello a quel dondolare del busto, sentì le gambe mancare, poi tornò a lui una scossetta, un brivido; non capì che rispondere, decise una non risposta, una evasione dal tempo passato attraverso il futuro. “Che ti pare del vento? Che dice?”.
Gigliola si arrese allo spiazzamento, non capì lei, ora, dove quell’onda di controdomande la volesse sospingere, forse disorientare, comunque contraddiceva ad un proposito di sedurla da parte di Rodolfo. Fu allora una risposta di rimbalzo disorientante, non più una risposta domanda ma una frase nominale, senza verbo, laconica ed emblematica : “Quanta solitudine in mare”. Marta, lì presso, udì solo la coda espressiva “mare”, si riscosse di una analogia, perché pur ella pensava il lemma “mare” in quell’istante: cullò una piuma nell’alveo della mano, poi cedette all’azzurro ed a altre immagini, si distrasse e mancò fra Rodolfo e Gigliola.
Rodolfo colse la poesia di quella frase, se la portò dentro come un dono, forse non pensò più, sollevò un piede dal fondo e guazzò con le dita la cresta dell’acqua, dimenticò il mondo e dov’era Marta e Gigliola, sognò. Sognò la felicità, sognò il contrario della solitudine, la consolazione della parola, giorni insieme a lei, gite in Liguria e in Versilia, bambini. Ma i bambini nel sogno, erano già cresciuti, quasi adolescenti, non li sapeva vedere che così, poco più bassi di lei, in movimento, come una scia di cometa nel cielo notturno, che si lascia scrutare e nessuno sa dov’è realmente. Si riebbe, ripensò a Gigliola e a non scivolare sulla melma; tentò di fantasticare ancora ma tutto era andato via. Si era accorto di essere solo con Gigliola. Costei ora tentennava, ciondolava nell’acqua e tergiversava senza decidere nulla, piuttosto guardava Rodolfo di una nuova luce, ovvero di una nuova luminosità, concrescenza fantasticamente brillante. Gli sovvennero certi passi della Divina Commedia, della cantica del Paradiso, dove Dante vede Beatrice pura luce, simbolo di Dio. L’immagine di Gigliola si proiettava sullo specchio dell’acqua, anche se questa era mossa: a Rodolfo parve ancora più bella, maestosa, gigantesca, cherubina, era la sua donna, quella? Era il suo amore o solo una figura di amicizia antica, un fantasma risorto in primavera, tra le roviste di soffitta della memoria ancor giovane e già formata, quella di un uomo che non poteva più tornare ai simboli della propria gioventù? Senza volerlo aveva rincorso quei simboli, aveva desiderato ricomporli nella presenza del modello vivente che li personificava, ma non ci riusciva più, a questo punto. “Mi sembravi un gigante”, ritentò Gigliola, proferendo con la vista ora rivolta all’orizzonte dal quale, nel terso, si riconosceva la sagoma sfumata di un isola, forse la Gorgona. “Quando?”. “Allora, a sedici anni”.
“Tu eri piccola, per vedermi così”. “No, solo ci amavamo e chi ama ama solo giganti”. “Così giovani, già innamorati e avventurosi, eppure freschi ma non di mare, di spirito”. Dopo poche battute di questo tono tra il poetico e il polemico, sentimentalmente polemico, si chetarono le onde e nel fresco d’acqua si sentirono campane lontane, forse di Marina di Carrara, forse di Castelnuovo Magra o di Fosdinovo; come un dolce evento piuttosto di rompere l’incantesimo dialogante lo placava di tenerezza e di sommovimenti del cuore, anzi, di due cuori solitari ancora per poco.