“La corrente”, capitolo 6
marzo 6, 2015 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli
Marta, da libellula ligure che non subito afferra i concetti, soprattutto verbali, guardò, anzi fissò Gigliola come scoperta in un suo io che non conoscesse prima. Sentì vanificata la sostanza di quella mattinata in compagnia per trasformarsi in un’essenza, in un ente filosofico che qualcuna aveva istituito per incantesimo. Lì per lì desiderò fuggire ma la prese anche una sensazione di pace, di agnizione di un proprio sé che la indusse a rilassarsi: cominciò a sentire la sabbia sotto le ginocchia, l’odore del mare, il vento fra i capelli, a vedere gabbiani e ad ascoltarne i suoni striduli; soprattutto si accorse di Rodolfo e dei suoi occhi verdi, luccicanti, capì che quella luce che era in lui centrava con la luce del mare mattutino, era coincidente con la lucidità dell’aria brillante e aromatica; si sforzò di rivolgere un’accorata domanda a Gigliola immobile e profetica, ieratica e fissa, legata alla sabbia della quale sembrava conoscere il numero dei granelli.
“Perché?” chiese Marta allibita e stranita più dal vento che dalle parole dell’amica. Gigliola non rispose subito, aspettò come una nuova ispirazione che le delucidasse la risposta ormai già sulle sue labbra ma non ancora pronta. Prese il respiro come una suonatrice di strumento a fiato, lei arpista accordatrice, tenera musicista ora delle parole a venire, maga Circe di una rivelazione che Rodolfo, invece, attendeva con stupore.
“Il tuo sorriso, Rodolfo, è come un’ombra luminosa e astrale, un sospiro ingenuo e fantomatico”. Marta esterrefatta pensò alla follia, ad una Gigliola amens e persa in pensieri e frasi senza senso. Frenò un moto di ribellione per vedere dove il discorso dell’amica andava a perdersi. Ma Gigliola furba aveva già ripreso le redini di un galoppo dialettico, anzi monologico, che dal mondo antico ed etrusco la destinava a risvolti di vita medievale e comunale.
Riprese: “Qui nella palude di Marinella, nel quattordicesimo secolo, Dante Alighieri confinava in una casupola l’amico Guido Cavalcanti, poeta come lui. Qui in quella casupola Guido Cavalcanti, che era abituato al suo palazzo, ad essere servito di leggiadrie, di studi e di feste, si trovo’ fra poche cose vicino al fiume Magra consumato dalle febbri della malaria; ne mori’ il 28 agosto 1300”.
Rodolfo intravide nel pensiero di Gigliola un filo logico di captatio: ma era captatio benevolentiae o captatio amoris? Lo avrebbe saputo presto.
Il mare a tratti ruggiva, leone d’acqua sulla distesa della vita, sulla savana dell’esistenza inquieta e tanto cara. Marta gazzella di quei tropici si assentava con la mente e canticchiava dentro sé brani musicali sconosciuti. Le piaceva fantasticare, regalare al suo io pause in ombra di coscienza, pisolini della memoria in cui rimpaginava la vita quotidiana e firmava autografi della sua biografia.
Rodolfo ammirava il suo incantamento, nonostante l’attenzione tutta assorbita da Gigliola. Ne ammirava la femminile serenità, di colei che sa della vita abbastanza e non cerca altre verità. Gigliola aveva sentito questo filo di appassionata connivenza fra Rodolfo e Marta; decise di cambiare strumenti accattivanti, di parlare ancora del mare, ma con altri argomenti, quelli della letteratura del Novecento.
“Ieri nella libreria del corso ho comprato un libro, dalla copertina verde: si intitola “Un posto di vacanza” ed è scritto da Vittorio Sereni, un poeta italiano del nostro secolo; la collana in cui è edito si chiama “Quaderni di Bocca di Magra”, il fiume Magra, questo lento e discreto flumen che ci separa dai monti dietro il Golfo della Spezia, dove inizia il frastaglio delle coste dirute e terrazzate della Liguria. Alla foce del fiume stanno due frazioni di Ameglia, sulla riva sinistra Fiumaretta, su quella destra Bocca di Magra”.
Rodolfo la guardò: che cosa importava a loro, lì per godersi la giornata marina, della cultura antica o moderna, della parola invaghita di dottrina di quella Gigliola che cominciava a sembrare invadente di idee, di concetti, anzi, di notizie scolastiche più che eccitanti? Ma Gigliola aveva un piano, sapeva dove giungere e in fretta, per discostare Rodolfo da Marta, per incrostare Rodolfo della salsedine passata sulla sua pelle negli anni di gioventù, di intimità, di inarrivabile avventura: quella era la storia a cui voleva approdare, non la storia del trecento o dei poeti contemporanei come Sereni; Gigliola però la prendeva alla lontana, perché conosceva i suoi amici, sapeva che la mente umana ha bisogno di riferimenti ancestrali per correspondances future.
Marta, dal suo canto che dava le spalle alla pineta ombrosa del retroterra, propose una alternativa a quel discettare che l’aveva sorpresa: un immergersi con i piedi nell’acqua ancora fredda, perché era quasi mezzogiorno, sarebbe stato un ideale ristoro prima del rifocillarsi prandiale. La proposta di Marta fu accolta con sollievo e liberazione dal gruppo, che così dimenticò i discorsi di Gigliola e si levò verso le borse per gli asciugamani; dopo essersi tolto le calze e ancor prima le scarpe, dopo aver riavvolto pantaloni e rimboccato gonne, si avviò alla rena del bagnasciuga. La battigia era di colore scuro e melmoso ma non torbido, la schiuma bollosa e chiara si sospingeva fino ai piedi esitanti dei nostri amici, poi scendeva in archi diversi, ritornava, insisteva ancora, come il tempo delle stagioni morte passa e risorge in primavere bianche.
Le risate si sostituirono alle ritrosie, le gambe non ancora abbronzate si punteggiarono di pelle d’oca e di gocce salmastre, la circolazione sanguigna alle estremità si intensificò. Gigliola fu la prima a togliersi le calze, a rimboccarsi i jeans, ad assaggiare con il pollice il bagnato spumeggiante e dondolante, gravido di umidità e insieme rassicurante perché entità asintomatica, eterna, acronica, voluta, temuta ed amata. Rodolfo la seguì, si immerse anche lui quasi fino al ginocchio, sentì l’avvolgersi alle gambe dell’oscuro liquido, un po’ melmoso ma trasparente, tra l’azzurro scuro, il verdastro e il biancastro.
“Ah !” urlò Marta coinvolta nelle gambe dal salato che le parve freddo. Gli altri due si girarono, la fissarono tra lo sbalordito e il riprovevole, poi tornarono a mirare l’orizzonte, il quale in quello spazio di mare non è libero, porta le sagome di mercantili che stazionano in attesa al di fuori del porto di Carrara per caricare il marmo cavato sulle Alpi Apuane, dominanti alle spalle dei nostri nell’entroterra illuminato di quella giornata.