“La corrente”, capitolo 4
febbraio 22, 2015 in Racconti e poesie da Stefano Bottarelli
Sotto quei portici che preludono al piazzale degli autobus, Gigliola incontrò Rodolfo, un giovane impiegato del Comune, uscito dall’ufficio un momento per un gelato e per una boccata d’aria. Un po’ allampanato, serio ma non troppo, brizzolato nei capelli bruni e toscano più che ligure nell’accento, Rodolfo era sempre stato amico di Gigliola, e sentiva per lei quel sentimento di amicizia concreto e forte, di chi vuole aiutare l’altro e sente per l’altro amore e cortesia.
Rodolfo, mentre lei le si rivolgeva, teneva lo sguardo perso verso il vuoto, provava forse a contare i piccioni lì vicino; all’udire il suo nome si riscosse come da un torpore inusitato, come una luce lo riprendesse dal buio di una solitudine e lo illuminasse. Gigliola lo guardò nel profondo degli occhi lucidi, verdi e stagnanti nella tranquilla rassegnazione. Gigliola sapeva delle solitudini di Rodolfo, delle sue deprimenti giornate nell’ufficio, lui che valeva forse di più ma che non aveva chiesto di più. “Ciao, come stai ?” Lo interrogò subito lei, incalzante e decisa, anche se non lo vedeva da molto tempo.
“Sono uscito dall’ufficio un attimo, per un po’ d’aria” rispose “ ma devo rientrare fra poco, mi aspettano. Il funzionario mi ha chiesto degli straordinari domenicali”. Gigliola lo osservò nel suo aspetto dinoccolato e polveroso, allo stesso tempo sicuro e ordinato, di chi usa sempre gli stessi vestiti, si cambia di rado, non è trasandato ma insieme rasenta la sciatteria.
“Ti posso invitare al mare, Rodolfo? Magari domenica”.
Rodolfo, dopo un attimo di interdizione guardò Gigliola e ripensò ad un periodo in cui loro due erano stati più vicini, di un’amicizia fraterna e intima insieme, pura e complice allo stesso tempo. Gli sembrò che quei tempi ritornassero, e li riassumeva nella memoria con nostalgia e tremore contemporaneamente.
“Sì” semplicemente rispose, e la fissò con lo sguardo di chi non guarda, ma vede già sole e onde e cavalloni, se c’è burrasca, e sabbia e sentimenti di pomeridiana festività: famiglie, suocere, biciclette, pensionati e giochi sulla sabbia tinta di terra. Ricordava quella zona di spiaggia libera fra Fiumaretta e Marinella: lì certamente Gigliola lo voleva portare, perché lì andavano a nuotare sedicenni, dopo essere arrivati in due sul motorino, dalla strada litoranea che porta da una parte a Carrara, dall’altra parte al fiume Magra. Lo investiva l’odore di canneto, di fiume, di salsedine che ogni dove si infiltrava. Quel suo “sì” era stato automatico, primordiale, come recitare mamma appena nati, e Gigliola, ora che la nudità della risposta richiedeva un commento logistico, invece solo aggiunse: “Alle undici in piazza Garibaldi, vicino alla pasticceria”. Lo salutò e si congedò da un uomo ancora stupito che con un gesto del volto illuminato annuì e la seguì con lo sguardo perdersi fra le casalinghe che visitavano i bottegai.
Gigliola aveva agito automaticamente, senza sbilanciarsi, come fosse scritta nel suo destino quell’uscita domenicale con Rodolfo; ora si sentiva meno stordita di quando era tornata dalla stazione. Rientrò in casa a preparare la cena. Venne domenica.
Il risveglio della domenica successiva per Gigliola non fu dei soliti. Si ritrovò sveglia senza volerlo, fra un profumo di rosmarino invasato sul mobile, qualche mosca ronzante, la luce del sole filtrata dalle persiane accostate. Si riscosse, ascoltò i rumori soffusi e filtrati di fuori, realizzò che era l’ultimo giorno della settimana, che si andava al mare: ne ebbe una felicità piena, che la riportò a tempi infantili, quando il mare era la gioia, la libertà, l’assoluto. Si sentì circonfusa ora dalle coperte tiepide. Decise di continuare a dormire, assaporando quella luce biancastra e non netta che le invasava le ciglia abbassate sulle palpebre semichiuse.
Dopo mezz’ora decise di levarsi. Si tolse la camicia da notte e entrò nel bagno per lavarsi. E lì, nel bagno, Astorre la guardò dondolante.
Astorre era il suo gatto, uno dei gatti più furbi di Sarzana. Di razza indistinta, molto peloso, nella casa, anzi nel bagno di Gigliola solo dormiva, che la mattina poi se ne andava per avventure venatorie nei vicoli e sui tetti dei dintorni. Astorre non si scompose più di tanto alla vista della padrona, piuttosto si scandalizzò un poco ad averla dinanzi in mutande, miagolò per uscire. Gigliola gli aperse la finestra, balzò come un elastico sul davanzale e senza voltarsi disparve attraverso il cornicione. Gigliola con un moto d’amore lo scorse perdersi per i suoi fatti sui cornicioni, pensò di amare quel gatto forse come amava Rodolfo.
Si vestì rapidamente, rassettò la casa, fece colazione con rapidità, pensò a che ora fosse: le dieci. Nel pensare le dieci, la investi un’inaspettata malinconia. Come se quella giornata fosse già trascorsa, come se Gigliola stesse già tornando a Sarzana dopo il pomeriggio al mare con Rodolfo, pensasse al lunedì che le incombeva incontro, in quelle giornate in cui ci sentiamo morire insieme al sole che cala dietro il golfo di La Spezia.
Si fece forza, scese le scale per un giro nelle strade ancora addormentate nella domenica prima di giungere in piazza Garibaldi alle undici precise. Dopo un istante comparve Rodolfo, dotato di attrezzi da spiaggia i più vari. Ma, dotazione che a Gigliola non risultò indifferente, era con una ragazza bionda, una collega d’ufficio, come spiegò subito a Gigliola ancor prima di salutarla.
Era Marta, l’applicata del gabinetto del segretario comunale, una longilinea di origini versiliesi, abitante a Sarzana dal tempo della vincita del concorso pubblico: una di quelle ombre che tenevano la figura di Rodolfo agli occhi di Gigliola immersa nell’universo municipale, ora riemersa alla realtà di quella giornata che risultava aperta al sole. Non era nei progetti di Gigliola una terza persona ma dovette adattarsi a colei che non sapeva se considerare una rivale o un’amica. Gigliola si sforzò di accoglierla benevolmente se non benignamente. Ne notò i lunghi capelli, a tratti ricci, cadenti sulla spalle ampie e coperte da una maglia traforata. I lineamenti di Marta non erano gentili come quelli di Gigliola, ma Marta sapeva farsi amare e notare per una grandezza d’animo che non caratterizzava Rodolfo: accettava le critiche, non si raccapricciava mai del proprio sé se questo sé era messo in discussione, tendeva a miglioralo piuttosto adattandosi alle richieste che la vita via via proponeva. Così anche quella mattina si sentì onorata di andare al mare con coloro che si volevano ma non si volevano soli; perché Rodolfo, all’ultimo, l’aveva invitata: sembrava a lui di portare un pezzetto d’ufficio alla spiaggia, anche la domenica che è festa, gli sembrava di non poter vivere senza una presenza ferialmente continuativa, allo stesso tempo femminile. Gigliola, da parte sua, sentì forse rassicurata la propria impossibilità a ripetere tempi giovanili con Rodolfo, e sentì ancor di più che la vita non sempre è prevedibile.