Cinque amori in Persia sotto il faro femminile

dicembre 14, 2022 in Persia da Mario Baldoli

Gli iraniani sono protagonisti di una storia millenaria che richiede di venir interpretata con la pazienza dei tempi lunghi. Ormai la storia volta pagina in Iran spezzando l’anomalo binomio tra Islam e rivoluzione. Quarant’anni dopo l’imposizione dell’obbligo di indossare il hijab è la rivolta delle donne ad annunciare un futuro migliore. Gli articoli della sezione “Persia” cercano di comprendere questa complessità.

Miniatura dal Libro dei re. Cortigiani giocano a scacchi

Miniatura dal Libro dei re. Cortigiani giocano a scacchi

La recente pubblicazione di un poema persiano del XIV secolo d.C. (seguo il nostro calendario), Khwàju di Kerman (Kermani), Homay e Homàyun. Un romanzo d’amore e avventura dalla Persia medievale, prefazione di J. Burgel, traduzione, introduzione e note a cura di Nahid Norozi, ed. Mimesis, dà la possibilità di un confronto con i poemi del (XI-XIV) secolo, cioè dalla rinascita della lingua persiana alla sua diffusione malgrado il dominio politico degli Arabi. Infatti la letteratura, a partire dal IX-X sec. è chiamata neopersiana.

I cinque poemi sono ambientati in età preislamica. Con ciò essi mostrano l’affermarsi di un’autonomia e un orgoglio persiano nei riguardi dei vincitori arabi, conquistati dalla superiore cultura dei vinti.

Mi soffermerò brevemente su questi poemi che in lingua originale si presentano in distici a rime baciate scritti inizialmente in alfabeto arabo-persiano, ma con struttura e contenuti originali.

Iran deriva dall’antico arja che significa nobile e già si trova nel latino ara, arare, ed è usato da Ferdowsi nel suo poema epico, scritto nell’XI secolo, Il libro dei re, ed. Luni, che in oltre 50.000 distici, ossia doppi versi, narra la storia della Persia dalla creazione del mondo all’ultimo re Sasanide prima della conquista islamica del 644.

Il libro dei re è il fondamento dell’identità culturale e etno-nazionale della Persia, del suo passato mitico e storico, quando il suo potere si estendeva sulle attuali Georgia, Armenia, Afghanistan, Tagikistan, Azerbaijan, Turkmenistan, Uzbekistan, Turchia, Daghestan, confinava col mar Caspio, l’India, la Cina, la Grecia. Più che un impero militare, era una supremazia linguistica e culturale ad unire tanti popoli, come anche oggi l’Iran è un insieme di genti diverse, unite dalla lingua, la cultura, la religione sciita e la coscienza di essere indoeuropei e non arabi.

Osservatorio di Samarcanda, sestante (età timuride)

Osservatorio di Samarcanda, sestante (età timuride)

Ferdowsi visse sotto la dinastia dei Samanadi che rivitalizzarono la lingua e la cultura persiana. Impiegò la vita a comporre il suo capolavoro e in esso scrisse: Ho sofferto durante questi trent’anni, ma ho fatto rivivere gli ariani (Ajam) con la lingua persiana: io non morirò perché sarò ancora vivo, poiché ho sparso i semi di questa lingua.

Il suo poema, uno dei più lunghi del mondo, è stato subito fonte di stimoli per gli scrittori successivi che hanno elaborato molte varianti, aggiunte favolistiche e liriche, anche tra loro in conflitto.

A ridosso del Libro dei Re, è il testo già pienamente romanzo di Gorgàni, Vis e Ràmin, ed. Carocci, scritto (ca.1055), in 9000 distici, traduzione, cura e note di Nahid Norozi, docente all’Università di Bologna. È Gorgàni che con Vis e Ràmin scrive il primo già compiuto romanzo persiano: la sua eroina è una donna sposata a forza, sa soffrire, è orgogliosa e passionale, tradisce il marito e impone il suo amore (si veda: http://www.gruppo2009.it/ho-intinto-la-penna-nel-sangue-del-mio-cuore-quando-ho-ricordato-la-tua-infedelta/)

Immediata è la risposta di Irànshah, Bahman-nàme (XI-XII secolo, 10.443 distici), presentato e commentato al convegno di Iranistica 2020, titolato Come la freccia di Arash. Il lungo viaggio della narrazione in Iran, a cura di Nahid Norozi.

Di esso è significativo, rispetto al Vis e Ràmin, il comportamento del re Bahman verso la moglie Katàyun che lo tradisce e, come Vis, non si dimostra affatto pentita. La vendetta del re arriva dopo una lunga esplosione di rabbiosa misoginia: i lunghi capelli di Katàyun sono legati a due cavalli che corrono per monti e pianure fino a che il corpo di Katàyun si ridusse a brandelli che furono divorati dai cani. Al contrario, il suo amante è perdonato.

 

Nezami

                     Nezami

Nezàmi (XII-XIII sec.) uno dei massimi poeti persiani, scrisse cinque libri: il più noto, celebre in tutto il mondo islamico per la sua bellezza lirica e la struttura romanzesca, è Leylà e Majnùn (XII sec.), ed. Adelphi, tradotto in prosa da Giovanna Calasso.

Gli altri sono Khosrow e Shirin. Amore e saggezza nella Persia antica, tradotto in prosa da Daniela Meneghini, ed. Ariele; Le sette principesse, tradotto e curato da Alessandro Bausani, primo editore Leonardo da Vinci 1967, ultimo Rizzoli 1982; Il libro della fortuna di Alessandro, Rizzoli 1997, tradotto e curato da Carlo Saccone. Non tradotto L’emporio dei segreti.

Fra i tanti versi sempre attuali come lo è l’amore. Mi colpiscono le magiche parole d’amore di Mainùn: Meglio che dell’amata io sia il velo, meglio che della perla io sia la conchiglia.

Nezàmi, pio musulmano vissuto alla viglia dell’epoca mongola, scioglie la tensione tra comportamento quasi lecito e illecito: rende il suo re Khorsow quasi saggio, ma pur sempre focoso, e trasforma Shirin in una “virtuosa” principessa che resiste a Khosrow, e non cede al suo fuoco prima di essere sposata.

Due secoli dopo (XIV sec, età di Tamerlano, splendida per l’arte e l’architettura iraniana) appare Kermàni con Homày e Homàyun.

Naturalmente in quegli anni furono scritti altri poemi (e poesie di cui ora non parliamo), ma quanto tradotto è sufficiente per comprendere l’evoluzione poetica di quei quattro secoli.

È comune nel tempo il rapporto uomo/donna ambedue di nobile origine (le opere antiche, a cominciare dall’Iliade parlano solo di re), tranne nel caso della concubina del Libro dei re. Quella concubina è Shirin, raccontata da Ferdowsi: si tratta della sua vicenda col vizioso re Khosrow che Shirin sposa dopo aver avvelenato Maryam, la legittima moglie.

Qualche anno dopo Gorgàni getta una luce diversa sull’episodio raccontando degli amanti Vis e Ràmin. Vis tradisce il marito con Ràmin, e del suo tradimento si vanta davanti al re che ascolta impotente. Quando l’amante l’abbandona, Vis gli scrive lettere appassionate ricordandogli le reciproche promesse d’amore. La storia procede attraverso continui spostamenti geografici e psicologici fino ad un colpo di stato e all’unione, tra contrasti e risentimenti, dei due amanti.

Secondo Irànshàh, abbiamo visto, è dovere del re punire la moglie che tradisce.

Arrivo all’ultimo libro di questa rabdomantica vicenda, all’Homày e Homàyun, di Kermàni.

L’opera di Kermàni, (oltre 4400 distici), ha un inizio comune ad alcuni libri precedenti: il principe Homày vede su un drappo di seta il ritratto di Homàyun, figlia del re della Cina, e sviene per la suggestione amorosa. Tale svenimento è un passaggio poetico comune.

Il poeta Sa’di (XIII secolo) ne ha scritto:

 Quando a Farhad lo sguardo cadde sul volto di Shirin

Il sospiro ardente gli giunse alla testa e a terra cadde.

Quando Majnùn si inebriò della coppa del volto di Leilà

Di esser liberato da padre, madre, oro e argento gli accadde.

Quando Ràmin fece la scelta amorosa per Vis

D’un colpo come privato di cappello e cintura ricadde. (…)

Allo stesso modo centomila altri giovani e vecchi

Ognuno come me del vino d’amore ebbro, ignaro di se stesso cadde.

Torno a Homày che, visto il volto di Homàyun, con un amico se ne va in Cina a cercarla. Attraverso avventure stravaganti: neri pirati cannibali, un popolo che lo nomina re, la ripresa del viaggio, un palazzo cinto da fuoco e via affabulando: una finta morte, la sua resistenza a due bellissime che gli dichiarano il loro amore:

 Con occhi di gazzella schianta-leoni e adoratori del vino

Sappi che a lungo io andai a caccia di elefanti inebriati! (Homày che lei ha davanti)

La mosca benchè giochi con il falco (il principe Homay)

Non è dignitoso che si comporti da falco.

 Il vino in età preislamica non era vietato, ma anche nell’Islam si beve per l’ebbrezza dell’amore passionale.

Seguono due omicidi, la prigione e una bellona che lo salva, un duello che richiama quello di Tancredi e Clorinda, infine Homày sale al trono della Cina e sta abbandonandosi al banchetto quando un angelo gli disse all’orecchio dell’intelletto:

senza il rubino del labbro dell’amata il vino è illecito

qual è il vino se non c’è accanto il labbro dell’amata?

Vai e ricopri la chioma con quel suo muschio che vela la luna (…)

Poi decine di distici descrivono con le più varie metafore il corpo dei due e di come si uniscono. Kermàni ha una concezione dell’amore che va oltre quella di Gorgàni, non c’è ostacolo che lo fermi. Per amore Homàyun accetta anche l’uccisione del padre che muore per mano di Homay in una guerra.

Eppure l’insistenza sul tema del re tradito dalla moglie è la spia di un nodo gordiano stretto tra condanna e approvazione.

Il rapido excursus mostra analogie e distanze nelle cinque opere citate. L’uomo s’innamora senza vedere la donna, prega e insieme minaccia per averla, per raggiungerla affronta pericoli, inganni, colpi di stato, guerra, tradimenti in un amore continuamente turbato da insidie esterne e dai risentimenti degli amanti. L’indipendenza delle donne che spesso per prime chiedono amore all’uomo, non fa dimenticare che per amore sanno morire.

L’evoluzione psicologica è tuttavia evidente: dalla donna assassina di Ferdowsi a quella coraggiosa, a quella torturata e uccisa, alla necessità della “virtù” femminile come cemento della coppia. La donna risulta ancora in bilico.

Invece due secoli dopo, Kermàni celebra un libertinismo disinvolto e ovunque diffuso. In lui il simbolismo tipico della poesia persiana è interpretabile più nel significato erotico che in quello mistico, lo stile è appesantito da troppe metafore nella ricerca di un’esasperata completezza e nell’esibizione della cultura.

Nella poetica le opere si allontanano dall’epica di Ferdowsi, acquistano avventura e sentimento, lo stile è sciolto. Lo sguardo è compiacente nel bene nel male.

Protagonista dei poemi è la donna. Le donne hanno caratteri e comportamenti diversi, gli uomini – coraggiosi o solo cattivi, sempre esagerati – annoiano.

Il triangolo che incontriamo, ha fatto pensare ad analoghe opere del nostro Medioevo. Ipotesi possibile se si pensa ai viaggi dei mercanti, a Dante e Tomaso d’Aquino che conoscevano qualche scritto di Averroè e di Avicenna, mentre amori contrastati e avventure, triangoli e altri poligoni amorosi sono comuni in ogni letteratura. A me pare che questi romanzi si avvicinino piuttosto alle Mille e una Notte, per es. nel meraviglioso: penso al califfo Harùn al Rashìd; all’influsso indiano, evidente nella cornice iniziale: la caccia, lo svenimento per la visione della bella, a una storia che contiene un’altra storia, alla concezione dell’amore che è insieme carnale e spirituale, al ritmo lento in attesa del detto gnomico, alla libertà creativa: uomini e donne si cercano e si amano, non ci sono giuramenti di gruppo né elenchi gerarchici, nessuno cerca il Sacro Graal.

di Mario Baldoli

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