“Il cibo nell’arte. Capolavori dei grandi maestri dal Seicento a Warhol”

febbraio 22, 2015 in Arte e mostre da Laura Giuffredi

Brescia, Palazzo Martinengo

(fino al 14 giugno 2015)

jacopo-chimenti-interno-di-dispensa-con-cibarieSi esce sazi da questa mostra intensa e colorata, dove il cibo domina la scena.

Sazi dopo una scorpacciata visiva di ortaggi, carni, frutta, salumi, e per il godimento che deriva dall’esuberanza: dei colori e delle forme, spesso opulente e debordanti, dei cibi e dei personaggi che li maneggiano, li cucinano, li consumano; l’esuberanza dei volti accesi, riflessi nei paioli di rame. E la partecipe bellezza dei paesaggi sullo sfondo, che si appiattiscono, infine, nella bidimensionalità delle zuppe in scatola di Warhol.

La mostra di Palazzo Martinengo a Brescia, curata da Davide Dotti, ancora una volta ci offre l’imperdibile occasione di ammirare opere provenienti da collezioni private, e per ciò normalmente non fruibili. Prende in esame il cibo nell’arte attraverso un centinaio di pezzi realizzati a partire dal Seicento e fino ai giorni nostri. Un lungo arco temporale in cui (come illustra l’ampio catalogo edito da  Silvana Editoriale), numerosi e importanti cambiamenti economici, politici e sociali hanno modificato radicalmente, rispetto al Medioevo, la produzione e il consumo alimentare: la nascita degli stati nazionali, la scoperta del Nuovo Mondo, le nuove vie commerciali, l’incremento demografico dei secoli XVII e XVIII, la rivoluzione agraria, la rivoluzione industriale, la rivoluzione francese e l’ascesa della borghesia, l’applicazione delle scoperte scientifiche alla produzione e trasformazione del cibo, lo sviluppo dell’industria alimentare…

Oltre la parata di alimenti, collocati nei contesti i più diversi e rappresentati spesso con minuzioso realismo, interessante è l’occasione di decifrare i “codici alimentari” che le opere mettono in scena.

FiginoCodici che distinguevano, ad esempio, il cibo dei contadini da quello dei signori: in linea generale si può dire che il cibo conservato era destinato ai poveri e ai villani, perché essi non avevano la possibilità e il denaro per acquistare giornalmente al mercato carne, latte, uova, formaggio, o pesce fresco, che erano, invece, prerogativa dei ceti elevati. Questi ultimi si riservavano, in particolare, il privilegio e il piacere di consumare in abbondanza cacciagione, frutta fresca o candita e dolci.

Anche gli uccelli, che volano in alto nel cielo, erano considerati vicini a Dio e quindi adatti come alimento a nobili e religiosi. Inoltre, l’affermazione del diritto di proprietà sui boschi e le foreste da parte dei nobili ebbe come conseguenza la proibizione per i contadini di praticarvi la caccia, e rese ancora più esclusivo il consumo di selvaggina e in particolare di selvaggina da piuma, cioè gli uccelli.

In definitiva è evidente il contrasto tra la cultura contadina, che voleva “terra da pane”, e il lusso dei padroni che, per coltivare, ad esempio, gli alberi di noce, potevano permettersi di sacrificare superfici enormi di terreno con piante improduttive fino al quinto anno e al massimo della produttività solo a partire dal venticinquesimo anno di vita.

Rivelatrici, in questo senso, sono tele come “Il mangiafagioli”  o “I mangiatori di ricotta” di Vincenzo Campi: bifolchi allegri, sgangherati negli atteggiamenti, soddisfatti di potersi riempire lo stomaco, pur se con un cibo povero e scarsamente nutriente.

Vincenzo_Campi_Mangiatori_di_ricotta

Marten de Vos (Anversa 1531-1603) con il suo “Cuoche in cucina”, ci squaderna invece in primo piano il lavorio di floride cuoche che maneggiano pesci e carni per la mensa del ricco Epulone (ma il dato figurativo è talmente soverchiante rispetto a quello didascalico dell’episodio biblico, da aver indotto buona parte della critica specialistica a derubricare la presenza di soggetti sacri all’interno di queste raffigurazioni come meri espedienti per giustificare soggetti laici, in un’epoca storica in cui la committenza ufficiale non vedeva di buon occhio la pittura “minore”, che non fosse al servizio di fini maggiori, politici o religiosi).

De Vos

Del napoletano Giovan Battista Recco (1610-ante 1675) “Interno di dispensa” mostra, ammassati su più piani, in un interno oscuro, in una sorta di horror vacui, recipienti e brocche di rame, un piccolo torchio, pestelli, piatti e canestri che si mescolano a legumi, ortaggi, pesci, pennuti e pezzi di carne.

autumn allegory, antonio rasiDi gran fascino sono naturalmente soluzioni figurative sorprendenti come quella dell’arcimboldesco  Antonio Rasio (Roma?, documentato nel 1677). Nella sua serie con le Allegorie delle Stagioni, di cui è qui presente L’autunno, la figura dominante si compone di frutta e ortaggi che risultano utili anche ai fini della datazione del dipinto. Dalerba, attraverso un’attenta lettura iconografica, ha infatti accertato che la serie va sicuramente datata dopo il 1630, in quanto vi sono raffigurati alcuni vegetali quali il granoturco e il peperone,  diffusi nelle nostre zone soltanto successivamente alla peste nera.

Ma, più di tali virtuosismi, ci cattura l’eloquente narrazione di Vittorio Ghislandi, detto Fra’ Galgario (Bergamo 1655 1743) con il suo Giovane con bicchiere di vino, pane e cipolla: la tela rappresenta forse la più semplice e colloquiale verità, in cui la freschezza di un volto puerile accompagna la miseria di un pasto semplice e insufficiente, rappresentato dal pane e dal cipollotto rosso, appoggiati sul tavolo in primo piano.

GuttusoNel percorso della mostra, dunque, la parte del leone la fanno Seicento e Settecento italiano, ma nelle ultime sale lo scenario si apre ad un contesto contemporaneo.

Senza dimenticare la forte denuncia sociale espressa nel 1883 da Angelo Morbelli nel suo La mensa dei poveri, i riflettori si soffermano poi sul bellissimo Giorgio de Chirico di Frutta e testa scultorea su tavolo (1925-30) e sui colori intensi con cui Guttuso blocca in un gesto teatrale e classico insieme il macellaio che seziona la mezzena in Macellaio al lavoro (grande bozzetto per La Vucciria, del 1974)

Ci sorprende poi il provocatorio iper-realismo di Luigi Benedicenti (Due fette di panettone con canditi, 2009) o di Bertozzi & Casoni, per i quali ultimi il cibo è anche rifiuto, resto abbandonato, lacerto colorato.

“Dulcis in fundo”, La piramide alimentare di Paola Nizzoli (commissionata dal curatore proprio per questa esposizione), con i suoi 1927 pezzi di cera dipinta, rappresenta un universo gastronomico e di materie prime accattivante quanto ingannevole.

La sorpresa, l’inganno, il diletto del falso più reale del vero sono componenti
ben note, talora indispensabili, nel gran gioco della finzione
creativa, trovando riscontro sin sulle soglie dell’età moderna, nell’epoca
delle barocche agudeze (che anticipano taluni esiti del concettualismo
novecentesco), in un’affermazione di Emanuele Tesauro, celebre
letterato e retore piemontese: “Egli è dunque una segreta e innata delitia
dell’intelletto humano, l’avvedersi di essere stato scherzevolmente
ingannato: perrocchè quel trapasso dell’inganno al disinganno è una
maniera d’imparamento, per via non aspettata, perciò piacevolissima”
 

Cosi il Tesauro, nel suo Cannocchiale aristotelico, 1685, e sono parole che sembrano create apposta per definire questa installazione spettacolare.

istallazione pal.Martinengo

 

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