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Giornali: quanti anni di passione!

febbraio 28, 2013 in Crisi da admin

San Francesco di Sales è il patrono dei giornalisti. Ma negli ultimi anni si è distratto così che, incredibilmente, si deve ricorrere al vescovo di Chieti che ha scritto una bella preghiera di rinforzo.

In effetti la crisi interminabile colpisce tutti e continua a mordere i media.

Cominciamo dalla base: in cinque anni hanno chiuso 10.000 edicole. Colpa di internet, free press (i giornali gratis), meno tempo da dedicare alla lettura, meno soldi in tasca, ma anche problemi con la distribuzione: tra il 50-60 % dei prodotti editoriali pagati in anticipo restano invenduti, tonnellate di carta si riversano sulle edicole e tornano indietro qualche giorno dopo per andare al macero o essere ripubblicate con un titolo diverso.

Veniamo ai mass media. C’è un dato che riguarda tutti, ed è il calo della pubblicità: -17% per i quotidiani, – 18% per i periodici, -15% per la televisione, -10% per la radio, -25% per il cinema, -54% per la free press, solo +7% per il web.

Calano i lettori che ora sono 22 milioni cinquecentomila, con un arretramento di 1.218.000 in pochi anni. I giornali che sono ricorsi allo “stato di crisi” sono 58. Tra prepensionamenti, cassa integrazione e contratti di solidarietà, i giornalisti coinvolti sono 1140. Spesso i collaboratori sono stati eliminati, ma a volte si salvano perché sono sottopagati.

Giornalisti

In questo contesto, le 500.000 copie del passato vanno dimenticate. Come sempre il pieno lo fa La gazzetta dello sport con 4,2 milioni l’anno. Vengono poi i giornali d’opinione: Repubblica supera il Corriere con 330.000 copie al giorno (il dicembre scorso) contro le 307.000 del rivale. Seguono La stampa, Il Messaggero, Il resto del Carlino. Il sole24 ore. Il quotidiano della Confindustria continua a perdere: quest’anno il 13% e si è fermato a poco più di 1 milione di lettori. Ha reagito con un originale sito internet con settori per tutti e settori più specialistici a pagamento. Nella famiglia Berlusconi Il giornale scende del 7%, Libero del 17%. Segno “più” solo per L’unità e Il tempo.

Il Gruppo Rcs che comprende il Corriere della sera, ha debiti per 876 milioni e dovrà ricorrere a licenziamenti selvaggi o ad un aumento di capitale, mentre si discute di vendere la sede di via Solferino.

Buona è la situazione del Fatto quotidiano, 49.000 copie al giorno. Il 2012 si chiude con un attivo di 4 milioni. Nel sito web sono stati allestiti due studi televisivi per le dirette streaming. Ritornerà in pagina l’inserto culturale (Saturno) che aveva avuto poco successo. Ma anche Il fatto perde quote in edicola e in abbonamento.

Il Manifesto, conclusa la fase della liquidazione coatta amministrativa, ha fondato una nuova cooperativa e avviato una cassa integrazione a rotazione che ha dimezzato l’organico lasciando al lavoro solo 36 giornalisti. Pubblico di Telese chiude dopo 100 giorni di vita. Liberazione e Il secolo d’Italia sono passati al web. I grandi quotidiani chiudono alle 22.30 la sera, un’ora prima che in passato per diminuire i costi.

L’arrivo a Brescia del Corriere con alcune pagine locali ha influito poco sulle vendite degli altri due quotidiani. I tre giornali dovrebbero vendere intorno alle 60.000 copie giornaliere (i numeri sono tenuti ben nascosti), ma hanno ridotto la raccolta pubblicitaria, dovendo dividerla col nuovo venuto.

Chiudono varie tv locali e si teme un ridimensionamento de La 7 dopo la vendita.

Fininvest ha avuto, dopo un lungo periodo di perdite, un rialzo col ritorno di Berlusconi alle elezioni, ma la controllata Mediaset chiuderà con un indebitamento di 1,8 miliardi, mentre passa di mano il 12% del capitale. Mediaset ha molto investito in Mediaset Premium, la tv a pagamento, proprio quando le tv generaliste sono al tramonto, e il suo share scivola verso il 30%. In Mondadori periodici e libri vendono molto meno e risentono, come la casa madre, del calo pubblicitario. Gli errori di restyling di Panorama hanno portato alla perdita del 5,5 e la Mondadori ha chiusi 6 mensili minori.

Molto meglio la situazione di G9 che è in attivo. Senza fare misteri, il suo numero di lettori è scritto vicino ad ogni articolo.

Anche all’estero i media soffrono. Quattro casi tra i tanti: Newsweek, uno dei giornali più importanti del mondo, ha abbandonato la carta ed è passato al web. Grun+Jahr/Mondadori, editore, tra l’altro, di Focus, ha adottato una cassa integrazione a rotazione. Thomas Reuter, l’agenzia di informazione finanziaria della Reuter, ha licenziato 3.000 persone, El pais ha licenziato un terzo dei dipendenti (128+21 prepensionamenti).

In questa situazione la posizione dei giornalisti è sempre più scomoda: devono saper fare di tutto, dalle riprese video all’uso globale dell’informatica, il loro lavoro è sempre più stressante. Sono anche tartassati da direttori sempre più sensibili alla esigenze dei consigli d’amministrazione e della pubblicità. Per quanto riguarda i collaboratori, l’Ordine dei giornalisti esulta perché la Commissione cultura della Camera ha approvato una legge sull’equo compenso. Ma l’equo compenso, di cui non si sa niente, sarà deciso da una Commissione di 7 membri, e i tempi si allungano dopo i risultati elettorali quando c’è ben altro a cui pensare. Sempre meglio che fare il free lance in trincea: nel 2012 sono morti 141 giornalisti in 29 Paesi diversi, soprattutto in Siria. Poi ci sono le minacce, come quelle delle mafie.

I conflitti di interesse sono vasti. Non solo quelli di Berlusconi, ma delle banche, presenti nei consigli di amministrazione, e di enti vari che, per auto proteggersi, rifiutano di fornire dati che devono essere pubblici. Clamoroso il caso del tribunale di Latina che ha allontanato i giornalisti che aspettavano di conoscere il nome dei candidati delle liste elettorali appena depositate dai partiti.

I giovani oggi sono più informati che in passato, hanno lo smartphone in tasca, ma la professione, già in crisi, non li accoglie. L’età media dei lettori su carta è intorno ai 60 anni, altro che internet!.I giovani amano il web che è una grande enciclopedia zeppa di falsi che nessuno correggerà mai. Qualche studioso dice che in quel caos si sta perdendo la nozione stessa di fatto. Insomma la crisi non lascia spazi, nemmeno a coloro che per un articolo rischiano la vita.

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L’Italia è una Repubblica calcistica, fondata sul tifo.

febbraio 20, 2013 in Crisi da Claudio Ianni Lucio

Winston Churchill, che, quando non si concedeva quel bicchierino di troppo, passando dal dire cose sensate allo spararne di grosse e gassose come Giove, affermò un giorno: “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Che una buona fetta del popolo italiano consideri il calcio come un fatto personale non si può certo negare: tifosi che allo stadio si scagliano addosso ogni tipo d’oggetto possibile – petardi, motorini, motorini imbottiti di petardi -, spinti dal più che valido motivo di tifare per squadre diverse – cose che capitano a tutti. Io, per esempio, da quando ho scoperto che preferiscono il vino bianco a quello rosso, prendo i miei vicini a colpi di balestra ogni volta che li vedo -; ultras che tengono in ostaggio tutto uno stadio, perché accettano poco sportivamente la sconfitta, pur essendo supporters di squadre senza la seppur minima idea di quel che significhi vincere una competizione qualsiasi; homini-vates immersi come Achille, ahimé durante un giorno di secca, in uno Stige di sentimentalismo dal quale rimase loro fuori soltanto la testa.

Non è mia intenzione, però, fare facili e tendeziosi paragoni. Non ho certo l’obiettivo di mettere in luce con quanta clemenza le forze dell’ordine accettino, di solito, i colpi di testa degli ultras, rispetto alle abbondanti cucchiaiate di olio di ricino che toccarono alle persone, temibili briganti bolscevichi addormentati e incolpevoli, anche se di un sonno e un’incolpevolezza oltremodo sovversivi e violenti, all’interno della Diaz. Non voglio nemmeno mettere l’accento sul fatto che circolano filmati nei quali si vedono i tutori della legge trasformarsi in hooligans e lanciare pietre e lacrimogeni ai manifestanti No-Tav. E, assolutamente, non intendo nemmeno sottolineare quanto poco si sia fatto per tenere a bada i procellosi e storicamente inadeguati strilloni targati CasaPound durante la loro irruzione/incursione alla facoltà di lettere di Verona, o nel corso di un’altra delle teatrali comparsate dei membri (non siate maliziosi) di questo epi-centro anti-sociale. Soffermarmi su questi episodi sarebbe un abuso di qualunquismo bello e buono, una smitragliata di facilonerie notevole, altroché.

Ciò di cui voglio realmente parlare consiste nel fatto che, secondo me, Mr. Chiesamalata non c’aveva visto proprio giusto. Aveva sì ragione nell’individuare un problema nell’atteggiamento degli italiani rispetto al calcio e alla politica, solo che si sbagliava, sostenendo che vivano il primo come dovrebbero vivere la seconda e viceversa. A me pare, e proprio qui sta il punto, che mantengano lo stesso identico atteggiamento, la medesima linea di comportamento, in entrambi gli ambiti. Certo, bisogna specificare che, quando si tratta del pallone, ci mettono molta più verve.

Anche in questo caso, mi guardo bene dal cadere nel tranello della scontata retorica da bar. Infatti, non farò minimamente cenno a quanti voti portò a Berlusconi l’essere il presidente del Milan nel 1994, o come, stando ai sondaggi, nonostante le sue prodezze politiche di questi vent’anni, dopo pochi giorni dall’acquisto di Balotelli, le preferenze per il Pdl in Lombardia siano salite del 2%, o come, giusto per non andare fuori tema, quando nel 1984 i pretori provarono legittimamente a oscurare le sue reti televisive, dei veri e propri gruppi di manifestanti col sangue agli occhi, più giacobini di Robespierre e più esuberanti di King Kong, si schierarono dalla sua parte – non dimenticherò mai l’anziana e sdentata signora che, facendosi largo a spintoni tra la folla per raggiungere i giornalisti, esplose il suo dissenso civile in un sanguigno: “La tassa non si deve pagare alla TV! Solo Canale 5! Ricchioni Canale Uno!”. Sarebbe troppo semplice, se non addirittura riprovevole e di cattivo gusto, continuare a insistere sull’influenza del calcio sulle scelte di una certa porzione d’elettorato. Troppo banale, davvero troppo.

Per questo parlerò soltanto di quanto siano, spesso e volentieri, indistinguibili i comportamenti dei tifosi più veraci da quelli degli elettori.

ultras

Basta guardare un comizio politico qualsiasi; se si sostituissero le bandiere dei partiti con quelle dei club sportivi, non si noterebbe la differenza. Veri e propri cori, inni cantati a squarciagola e grida isteriche si levano dal pubblico, quasi fossero tutti spettatori di un combattimento clandestino tra galli sul quale hanno scommesso l’intero stipendio.

L’impressione che se ne ricava è che molti partiti non vengano seguiti criticamente dai loro sostenitori, ma, piuttosto, con l’amore incondizionato degli ultras per le squadre. Gli elettori hanno finito col diventare ciò che non dovrebbero essere mai, cioè degli “irriducibili”. La colpa è sempre di qualcun altro e chi lotta per la maglia non va messo in discussione. Così accade che Berlusconi abbia ancora un numero enorme di sostenitori che, pur avendoci intensamente provato in tutti i modi possibili, non riesce proprio a far desistere dall’amarlo incondizionatamente. Lui entra a terza gamba tesa (l’espressione piacerebbe anche lui) sulla nostra costituzione impegnata a marcarlo stretto come si fa coi fantasisti, sputa in faccia agli avversari dimenticandosi del rispetto e, ogni volta che lo si sfiora, simula quasi avesse subito un attentato; però, quando gli arbitri decidono di sanzionarlo, i suoi hooligans vanno fuori di testa e montano un putiferio. Sia una toga nera (che molti però vedono vermiglia, probabilmente a causa di una specie di daltonismo al contrario) o un cartellino rosso, per l’italiano non fa alcuna differenza: cornuto l’arbitro, cornuto il giudice, cornuti tutti i nemici della fede.

Quanti ancora si radunano con cappelloni e magliette verdi, stile succursale di san Patrizio, al grido di “Senatur! Senatur!”, anche se tutti gli scandali emersi poco più di un anno fa sarebbero sufficienti ad affossare l’iceberg che affondò il Titanic?

Com’è possibile che la squadra del Partito Democratico abbia ancora dei tifosi, dopo tutte le gare perse negli ultimi anni per forfait?

La politica non è sentimento dissennato. Non dovete avere il comportamento del cane che, abbandonato sull’autostrada, quando vede passare l’auto del suo padrone scodinzola e abbaia d’entusiasmo. Avete presente quando il vostro partner vi rassicura con convinzione ferrea di non tradirvi mai più, ma voi non ci credete, visto che è la stessa cosa promessavi le ultime tre volte, e allora lo lasciate? Ecco! Abbiate un po’ d’amor proprio e d’autocoscienza! Sperimentate il peso e l’orgoglio di essere cittadini fautori della realtà nella quale vivete! Riconoscete le colpe a chi se le merita, anche a voi stessi.

Agli altri non importa in quale stadio preferite trascorrere la domenica pomeriggio, invece vi sconcerterà scoprire quanto la vostra preferenza di voto abbia ripercussioni su ogni altra persona di questo paese.

I politici non sono da amare, ma da valutare. Se proprio volete vivere la politica come il calcio, almeno leggete i quotidiani tanto quanto leggete la Gazzetta.

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Happy spread!

febbraio 4, 2013 in Crisi da Sonia Trovato

Governo Monti

Grazie per avermi fatto concludere questi tredici mesi difficili e affascinanti. L’Italia è diventata un Paese più attraente e affidabile per gli investitori. Con queste parole Mario Monti ha staccato la spina all’esecutivo di tecnici che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto evitare al Paese il rischio del tracollo economico Leggi il resto di questa voce →

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Il governo Monti contro l’Università pubblica

gennaio 30, 2013 in Crisi da Mario Baldoli

Mozione approvata all’unanimità della Conferenza dei rettori delle Università italiane (CRUI) il 20.12.2012.

Le gravissime e irresponsabili scelte del Governo e del Parlamento contenute nel DDL di stabilità risultano perfettamente coerenti con il piano di destrutturazione del sistema iniziato con le LL. 133/2008 e 126/2008 nella legislatura appena conclusasi, a carico di un sistema universitario notoriamente e pesantemente sottofinanziato rispetto alle altre realtà internazionali. La richiesta di mantenere nella disponibilità delle Università 400mln di euro equivaleva a poco più del 10% degli emendamenti introdotti dal Senato e ad appena l’1% dell’impatto complessivo della manovra. Non si è voluto intervenire se non con un pour boire di 100mln di euro.

La CRUI prende atto di come gli appelli più volte lanciati dalla Conferenza in via ufficiale e a mezzo stampa sin dall’insediamento del Governo sulle conseguenze dell’ulteriore taglio di 400 milioni siano rimasti del tutto inascoltati e le garanzie formulate al riguardo dal Ministro dell’Università siano state totalmente tradite e disattese. E non è più sufficiente, purtroppo, dichiarare che l’Università va in fallimento senza che ciò produca i suoi necessari effetti a tutti i livelli.

Quanto approvato dal Parlamento è in patente contraddizione con le tanto frequenti quanto vacue prese di posizione in favore dei giovani e della ricerca; determinerà un crollo oggettivo del sistema universitario italiano e la sua immediata fuoriuscita dall’Europa.

La CRUI respinge in toto il disegno politico che porta all’affossamento del sistema universitario nazionale, statale e non statale. Per conseguenza, a fronte di una diminuzione del 12% delle risorse nel triennio e di una qualsiasi idea di sviluppo del sistema universitario, la CRUI annuncia fin da subito:

  • l’impossibilità di avviare alla ricerca i giovani meritevoli;
  • l’irricevibilità del piano triennale inviato alla Conferenza dal MIUR e delle conseguenti forme di ripartizione ivi previste, incluse quelle premiali
  • l’impossibilità di adempiere alle scadenze burocratiche indicate dall’ANVUR di valutazione della didattica, vista l’assenza di risorse adeguate per la costruzione dell’offerta formativa;
  • l’impossibilità, alle condizioni attuali, di partecipare in modo competitivo al programma Horizon 2020 e agli obiettivi di efficienza didattica in termini di laureati chiestici dall’Europa.

Deve essere inoltre ben chiaro che, a séguito dei nuovi tagli, le Università italiane garantiranno le spese del solo personale in servizio e si vedranno costrette alla riduzione di non meno del 20-25% dei servizi essenziali per il funzionamento (luce, gas, riscaldamento, laboratori, biblioteche) con le prevedibili conseguenze sulle infrastrutture della didattica e della ricerca, sull’offerta formativa, sulle immatricolazioni e sulla correlata fuga delle menti migliori verso Paesi più “ospitali”. Inoltre, come più volte annunciato, la drastica e inopinata diminuzione delle entrate dallo Stato provocherà lo sforamento dei bilanci di più della metà degli Atenei italiani.

Il Paese, anche in vista delle prossime scadenze elettorali, deve essere consapevole che alle parole spese per lo sviluppo, per la difesa dei giovani e delle loro opportunità dovrà seguire la garanzia dei fatti. Non si può né si deve continuare a mentire. Come può l’Italia stare in Europa se non vi porta le sue Università? Le Università italiane vogliono essere trattate e giudicate su standard europei. Nulla di più.

La CRUI ritiene che l’occupazione dei propri spazi di autonomia da parte di una politica nemica del sapere abbia prodotto risultati disastrosi; intende avviare nelle prossime settimane un dibattito sulle nuove scelte per il futuro del sistema con tutti gli interlocutori coinvolti, a cominciare dagli studenti e dalle famiglie, in vista di un’Assemblea aperta da tenersi prima delle elezioni politiche per rilanciare un’idea diversa di Università nel Paese.

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