Brescia, capitale mondiale della diossina

settembre 22, 2013 in Approfondimenti da Mario Baldoli

Disponibile in traduzione inglese di Anna Zorzi Bandierina-Inglese

 Il 14-15 ottobre si terrà a Brescia all’auditorium Santa Giulia in via Piamarta, promosso dalla Fondazione Micheletti e col patrocinio del Comune, un convegno nazionale sulla bonifica dei siti inquinati. Sarà l’occasione per mettere a fuoco un percorso praticabile per la bonifica del sito Caffaro. Senza dimenticare che sono pure sospetti di inquinamento il termoutilizzatore Asm, il più grande d’Europa; i settori di metallurgia e siderurgia (si pensi a fare un bagno nel Mella), i cementifici, per non parlare delle centrali termoelettriche previste e delle atomiche che occhieggiano dall’aeroporto di Ghedi.

In un intervento pubblico organizzato da G9 l’anno scorso abbiamo detto che Brescia è la terza più città più inquinata d’Europa (dati UE). Oggi possiamo confermare che Brescia è la città più inquinata d’Italia.

L’azienda Caffaro, nell’area di via Milano, non lontana dal centro storico, è il vertice dell’inquinamento. I dati si trovano nel sito http://www.ambientebrescia.it/Caffaro.html Leggi il resto di questa voce →

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Appunti sull’ 8 settembre 1943 … e dintorni – Settant’anni dopo

settembre 19, 2013 in Approfondimenti da Pino Mongiello

Ho scoperto l’8 settembre del ’43 al cinema con il film Tutti a casa di  Luigi Comencini (il regista, nato a Salò  l’8 giugno 1916, ancor oggi dimenticato dalla toponomastica salodiana!). Con quel film Comencini ci ha consegnato una pagina tremenda della nostra storia, nei confronti della quale non sappiamo ancora se piangere o vergognarci. Certo, non serve che chiudiamo gli occhi o, peggio ancora, che la dimentichiamo. In quella pagina ci sono rappresentati gli italiani, cioè noi, coi nostri mali storici e con le nostre vigliaccherie quotidiane, quegli stessi mali che già i versi della Commedia dantesca, nel 1300, (Purgatorio, canto VI) avevano tanto stigmatizzato quando parlavano di un’Italia asservita, “di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta…”. Ho ben presente, nel film, la maschera grottesca di Alberto Sordi, e ricordo com’è puntualmente rappresentata quell’arte di arrangiarsi degli Italiani messa in campo nella confusione più totale il giorno dell’armistizio, confusione drammaticamente diffusasi anche nei mesi successivi, fino a diventare causa (ma non la sola!) di scelte di vita o di morte, di complicità col nemico  o di resistenza (morale o armata) ad esso. Che brutta storia! Ne abbiamo pagate le conseguenze per decenni, una volta finita la guerra, e i conti non sono ancora finiti, dopo settant’anni.

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In Versilia un bagno nella realtà

settembre 17, 2013 in Approfondimenti da Mario Baldoli

“Marchionne ha due vacche, le fa pascolare a Torino e le munge a Detroit”. Una delle tante battute di Paolo Rossi alla Festa del Fatto Quotidiano tenuta dal 6 all’8 settembre a Marina di Pietrasante, al Parco La Versiliana, un immenso bosco di lecci e pini. Quattordici incontri, vignette di Natangelo (l’umorista del giornale) più tre serate al teatro del parco con Paolo Rossi, Travaglio, Elio e le Storie Tese.

Secondo il Fatto, 12.000 presenze. Il numero è attendibile perché per ogni iniziativa era necessario ritirare un cartoncino. Niente salamine, un ambiente essenziale con un bar-ristorante, un grande teatro, uno spazio per i dibattiti e le proiezioni. Età media dei presenti almeno 50 anni. Caratteristiche sessuali? Metà donne, metà uomini. Ospiti eccezionali, poco o non schierati nei partiti: le figlie di Biagi, Loris Mazzetti, Padellaro, la costituzionalista Lorenza Carlassare, il direttore di Micromega Flores d’Arcais, Antonio Ingroia, Antonio Di Pietro. Dario Fo, Aldo Busi, Vinicio Capossela, Peter Gomez, Michele Emiliano, Stefano Feltri, Oliviero Beha, Ferruccio Sansa, Paolo Mieli, Michele Santoro. Persone tutte, anche quelle in politica, che ragionano con la propria testa senza sentire il fascino di chi governa né di chi sta all’opposizione. Ma chi governa? In Italia governa l’opposizione.

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Berlusconi & Co. – la morte del tempo

agosto 3, 2013 in Approfondimenti da Claudio Ianni Lucio

Qual è la nostra colpa?

Stiamo pagando i crimini di qualcun altro, oppure i colpevoli sono mere e banali manifestazioni di una mastodontica somma delle nostre mancanze individuali?

Chi di noi ha ucciso il tempo?

Domande simili mi raschiano il cervello, mentre ascolto il discorso del piazzista di Arcore (cit. Indro Montanelli) successivo alla sentenza della Cassazione. È l’ennesimo soliloquio basato sul nulla e agghindato col niente, fatta eccezione per menzogne e assurdità pantagrueliche, di Berlusconi (mi sorprende ogni volta come gli riesca ancora, dopo tutti questi anni, di parlare indefinitamente senza inserire in quel che dice un singolo concetto concreto, nonostante me l’aspetti. Come vuole la prassi, utilizza la parola “comunisti” a mo’ di propellente, ma in Italia nemmeno questo è un concetto concreto. A onor del vero, c’è comunque da riconoscergli la straordinaria capacità di contraddirsi e infangarsi autonomamente, il che, considerando la vacuità dei suoi proclami, è un fenomeno assolutamente affascinante). Leggi il resto di questa voce →

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Il Cavaliere insistente

agosto 2, 2013 in Approfondimenti da Sonia Trovato

Cavaliere inesistente? Con buona pace di Calvino, Silvio Berlusconi resta, per il momento, un insistente. Nonostante la condanna definitiva, l’imminente interdizione dai pubblici uffici (che porta con sé la conseguenza, irrisoria ma significativa sul piano simbolico, della privazione del titolo di Cavaliere del lavoro) e gli altri sei procedimenti in corso, l’ex Premier prova a rimanere in sella, tirando fuori da una stalla polverosa e sguarnita lo sbilenco e malandato ronzino di Forza Italia, ormai dato per morto dopo la nascita del PDL.

Se non si badasse alla voce rotta, ai chili di troppo e all’affanno, il videomessaggio di ieri sembrerebbe un remake della celeberrima e infausta discesa in campo, remake in cui al temibile pericolo rosso è stato sostituito il potere giudiziario, per il quale B. fingeva di tifare quando, nel ’94, l’inchiesta Mani Pulite lo convinse (o lo costrinse) ad occuparsi della cosa pubblica e riempire il vuoto lasciato dalla fuga dell’amico Bettino e dall’affondo della Balena bianca. Leggi il resto di questa voce →

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I promotori del sorriso in Africa

giugno 22, 2013 in Approfondimenti da Roberto D'Ambrogio

“Andiamo in Africa a far volontariato?” Questa la domanda che ponemmo l’un l’altro, quasi simultaneamente, una sera dello scorso novembre, io e Federico Marsili, amici dentisti.

Il viaggio esotico, l’esperienza umanitaria, l’avventura da vivere e raccontare: queste le motivazioni che fecero sorgere dentro di noi l’idea, divenuta presto necessità. A frenarci, invece, gli eventuali rischi, come la possibilità di contrarre malattie abbastanza serie o incorrere in situazioni pericolose. A trattenerci più di tutto era però un altro pensiero: “Quanto utile può essere l’impegno di due sole persone, in quella complessità di territori e situazioni che è l’Africa?”. Leggi il resto di questa voce →

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da admin

Un progetto per le biblioteche cittadine

maggio 25, 2013 in Approfondimenti da admin

di Leonid Aleksandrovic Vesnin

 La progressiva drastica diminuzione (quando non azzeramento) delle risorse, diminuzione che ha contrassegnato il precedente quinquennio amministrativo, impone una selezione delle priorità di investimento e un progetto politico per le istituzioni culturali direttamente gestite dall’amministrazione comunale, nonché una razionalizzazione ed ottimizzazione delle risorse messe in campo per i servizi bibliotecari.

Ne consegue la necessità di disporre di una riprogettazione rigorosa (nonché minuziosa) dei servizi offerti, riprogettazione elaborata anche con la collaborazione di uno o più esperti esterni. Leggi il resto di questa voce →

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Nessuna piazza e poche vie a Brescia dedicate alle donne. Ai candidati alle elezioni: cosa intendete fare?

maggio 25, 2013 in Approfondimenti da Mario Baldoli

Venticinque sono le liste che si sfidano nelle elezioni comunali di Brescia. Dato che i consiglieri sono stati ridotti a 32, occorrerà almeno il 5% dei voti per avere un posto in consiglio. Non sarà una passeggiata per nessuno.

Abbiamo chiesto ai concorrenti più forti un giudizio sul fatto che a Brescia, su un totale di 550 vie e piazze, il rapporto tra le vie dedicate alle donne e quelle dedicate agli uomini è del 3,6% contro il 96,4%. Nessuna piazza è dedicata a una donna. Faranno qualcosa per cambiare questa situazione?

Li abbiamo invitati a leggere l’articolo della nostra giornalista Roberta Baschè: A Brescia gli uomini si dedicano le vie e dimenticano l’altra metà del mondo Hanno risposto alla nostra domanda le liste di Paroli sindaco, Civica per Del Bono, Francesco Onofri sindaco, Marco Fenaroli e rispettivi alleati. Non hanno risposto a oggi 25 maggio Laura Gamba del Movimento 5 Stelle e Laura Castelletti. Proprio le due donne. Leggi il resto di questa voce →

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Brescia, the capital town of dioxin

aprile 10, 2013 in Approfondimenti da Anna Zorzi

Written by Mario Baldoli, translated by Anna Zorzi  Bandierina-Italiana

A national congress on the reclamation of polluted areas, promoted by Fondazione Micheletti  and with the patronage of the Town Council, will take place  in Brescia at the auditorium Santa Giulia, via Piamarta next 14th and 15th October. Topic of discussion will be the  pollution in Brescia and surroundings, such as : the site of the factory Caffaro in town, the iron and steel industry affecting  the River Mella, the waste incinerator (the biggest in Europe) of the local  ASM  (the Municipal Services Company), cement works,  the future thermoelectric and atomic power stations  in the area of Ghedi’s  military airport.

In a public meeting organized by G9 last year, Brescia was said to be the third most polluted town in Europe (according to EU data). Today Brescia is confirmed to be the most polluted town in Italy.

The factory Caffaro, located  near via Milano in Brescia and  not far from the historical  city centre, is the most responsible for the pollution. (see http://www.ambientebrescia.it/Caffaro.html). Leggi il resto di questa voce →

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da admin

Bartleby, unchained

marzo 26, 2013 in Approfondimenti da admin

Le ultime notizie pervenuteci su Bartleby, lo scrivano, lo danno morto solitario in carcere nel 1853. Da allora non si fa che parlare di lui e molti hanno voluto cercare di capire le sue ragioni. Da qualche anno però, lo spettro di Bartleby si aggira per Bologna. In effetti chiamarlo spettro non è propriamente corretto, perché più volte si è manifestato materialmente nelle strade e nelle aule universitarie; addirittura per parecchi mesi ha avuto anche un domicilio. Allora qualcuno ha cominciato a dire che Bartleby è ancora vivo, perché è vivo chi ha ancora qualcosa da dire. Forse il punto non è cosa il Bartleby di Melville volesse dire all’epoca (rifiutando il lavoro fino alla morte, pur di fronte alla resa del suo capo), ma che cosa possiamo fargli dire oggi.

E’ possibile definirlo un personaggio dell’esodo: non si scontra, non confligge con il Faraone (oggi diremmo il barone) ma sceglie di andarsene, perché non ha niente da chiedere e perché non ha alcun interesse a riconoscere il suo discorso e a minarne l’autorità; sarebbe l’autorità su un discorso altrui, al quale non appartiene più. Fare un paragone contemporaneo con l’episodio dell’esodo, però, non garantisce l’assenza di una violenza subìta, perché il Faraone, come è noto, fa inseguire il popolo ebraico dall’esercito. In più, il viaggio non ha come meta la terra promessa, un luogo salvifico esterno nel quale poter avere un nuovo principio. La meta di un paragone del genere è più simile alla riserva indiana, ossia un luogo di riparo imposto dal nemico esterno: la riserva indiana è confinata e accerchiata. In un luogo di questo tipo, in cui è più facile entrare che uscirne, è più probabile che sia il discorso del Faraone (del potere) a condizionare di nuovo la vita di chi lo abita (non a caso gli indiani aprono i Casinò), perché un confine ben definito può essere riconosciuto come l’antagonismo necessario all’esistenza dell’autorità del Faraone stesso. Sarebbe dunque il linguaggio del potere a contaminare lo scrivano, mentre sappiamo bene che non è così. Nell’esodo contemporaneo infatti non c’è un altro posto dove andare, non c’è un “fuori” salvifico, che sia la Terra Promessa o la riserva indiana. Come Django, nero e senza catene, Bartleby decide di restare, pronto a parlare con la propria voce. I pensieri di Django non sono nemmeno sfiorati da un salvifico ritorno in Africa, perché la moglie che vorrebbe liberare è nello stesso mondo schiavista in cui si trova lui, e dunque è lì che deve giocare la propria partita.

bartleby capodilucca

C’è una canzone dei Rancid, un gruppo punk famoso negli anni 90, che dice:
Some men are in prison even though they walk the streets at night
Other men who got the lockdown are free as a bird in flight
How about the hour in the system that ended
In a one-way line our measures could not stand in.”

I primi due versi dipingono un personaggio contraddittorio ed esistenzialista, come Bartleby o Django: due solitari che “preferiscono di no”. Ma la morte di Bartleby e la liberazione (come singoli) di Django e sua moglie, non hanno la funzione di atti di rivolta individuali, bensì di atti narrativi che possono diventare di uso collettivo se riempiti di senso. Con Deleuze, Bartleby (così anche Django), con il suo solo “preferirei di no”, costringe chi lo circonda, come l’avvocato di Wall Street, a rimodulare il proprio linguaggio (il proprio discorso) in base al suo. Ma il “preferirei di no” sfugge continuamente alla cattura del discorso del potere, e infatti l’avvocato avverte uno spaesamento, quasi che il suobartleby faccione vocabolario non sia in grado di comprendere, di spiegare, di misurare la portata delle parole dello scrivano. Ed ecco che gli altri due versi ci dicono: che cosa ne facciamo dell’unità di misura (l’ora) di un sistema che non sta in piedi? In una linea unidirezionale siamo semplicemente “immisurabili”. Non è questione di trovare un’altra misura: è proprio il concetto di misura a non potersi sovrapporre al rifiuto di Bartleby, lo scrivano. Per tornare sulla terra, un esempio è il sistema dei crediti universitari, cioè il tentativo di misurare la produzione del sapere. Ma è possibile misurare qualcosa la cui produzione è comune e in continuo divenire? Questo è un esempio dell’impossibilità di ricondurre Bartleby, il moderno Bartleby, all’interno del discorso egemone: il “preferirei di no” sfugge continuamente alla cattura. Ogni tanto accade che chi circonda questo “demente” (come l’ha definito un giornalista un po’ superficiale) si rifiuti aprioristicamente di provare a comprenderlo, e allora regolari arrivano gli sgomberi, le manganellate, i sigilli. I mattoni che le forze dell’ordine hanno utilizzato per murare l’ingresso dell’ultimo domicilio di Bartleby (uno spazio autogestito in cui si sono tenuti seminari, incontri, assemblee, presentazioni di libri, colloqui con attori, performance di artisti, concerti), in via San Petronio Vecchio 30 a Bologna, sembrano proprio una surreale citazione della Wall Street (la via del muro) dello scrivano di Melville. Ma la prerogativa di Bartleby di essere sfuggente, contagioso, multiforme, aperto alla contaminazione non può essere chiusa in quattro mura, che siano lo studio di un avvocato a Wall Street o un centro sociale. Perché Bartleby è, come Django, unchained.

bartleby corteoBartleby, la città dei saperi, gli spazi del dissenso

bartleby muroTra Gennaio e Febbraio 2013 Bartleby, collettivo e spazio sociale bolognese, ha avuto la ribalta su tutti i media a partire dallo sgombero che ha subito attraverso l’uso della polizia da parte dell’Università di Bologna. Bartleby, il cui nome è dovuto al protagonista del romanzo di Melville che “preferisce di no” e del quale il collettivo vorrebbe riscrivere il finale, è nato all’interno della grande mobilitazione studentesca contro la Riforma Gelmini dell’università nel 2008 (“tra le pieghe dell’Onda”, si diceva allora).

Da quel momento ha prodotto corsi di autoformazione (cui la stessa Università riconosce valore e crediti), seminari tematici con docenti di altre università (anche estere), incontri con scrittori (da Erri de Luca a Carlo Lucarelli), attori, artisti e fumettisti, concerti, una biblioteca autogestita contenente il Fondo Roversi (appartenuto al poeta bolognese recentemente scomparso) oltre ad assemblee pubbliche, luogo di organizzazione di movimenti contro la crisi e l’austerity, la dequalificazione dell’università, la precarietà come condizione disagiata di vita.

Per realizzare tali progetti il collettivo occupò nella primavera del 2009 uno stabile dell’università inutilizzato da più di dieci anni, e dopo due sgomberi raggiunse un accordo con l’allora nuovo Rettore Ivano Dionigi per l’assegnazione di uno spazio, durata fino allo scorso Gennaio, nonostante la convenzione fosse scaduta nel Settembre 2011. Da quel momento, infatti, il dialogo con l’Università si è interrotto: il rettore ha dichiarato che non esistevano altri spazi disponibili e che nella sede attuale dovevano essere fatti non meglio precisati lavori. Ci ha pensato così il Comune, nella persona dell’Assessore alla Cultura Alberto Ronchi, a proporre un nuovo spazio al collettivo: un seminterrato in centro che Bartleby ha accettato nell’estate del 2012. Ma subito dopo, anche a causa di polemiche più ampie sulla cultura in città (con il ritorno del protagonismo sui giornali dei “comitati anti-degrado” di cofferatiana memoria), il PD bolognese costringe l’assessore alla marcia indietro e ricominciano così le minacce di sgombero da parte dell’Università.

Pochi giorni prima di Natale, sotto la pressione dei vertici dell’Ateneo (che a Bologna rappresenta la risorsa e l’indotto principale, se non l’istituzione più potente), il Comune, questa volta nella persona dell’Assessore ai Servizi Sociali Amelia Frascaroli, si rimette in contatto con Bartleby, invitando il collettivo a visionare una nuova proposta “prendere o lasciare” il 10 Gennaio, con tre giorni di tempo per lasciare i locali occupati dell’Università. Il nuovo spazio è un capannone industriale a più di 5 kilometri dal centro città e dall’Università, circondato da altri capannoni e campi, senza collegamenti idonei, oltre la Tangenziale, e difficilmente raggiungibile senza pericolo con mezzi propri, completamente inadatto alle attività che Bartleby ha svolto in 4 anni. Una proposta che sembra fatta apposta per ottenere un rifiuto e legittimare lo sgombero, che infatti avviene pochi giorni dopo, il 23 Gennaio.

Da quel giorno la città (e non solo) si spacca, di fronte alla grande solidarietà ottenuta da Bartleby: un corteo invade immediatamente il Rettorato senza trovare il rettore Dionigi, bartleby book blocviene caricato dalla polizia quando cerca di avvicinarsi alla sede appena sgomberata (il cui ingresso è stato immediatamente murato dalla polizia, con all’interno tutto il materiale del collettivo, comprese le riviste storiche del Fondo Roversi), infine occupa la Facoltà di Lettere e Filosofia per un’assemblea pubblica partecipata da centinaia di persone che rilancia la mobilitazione. Nel frattempo, sui giornali, SEL (per quanto riguarda la politica) e i Docenti Preoccupati (per quanto riguarda l’Università) prendono le difese di Bartleby, che il giorno successivo occupa un’aula della Facoltà di Lettere in via Zamboni 38. Sabato 26 Gennaio un corteo di mille persone (compresi SEL e i docenti, oltre agli studenti e a tutte quelle figure che hanno attraversato Bartleby) occupa l’ex convento di Santa Marta in pieno centro: un grande complesso inutilizzato da 7 anni, con un progetto finanziato dal Comune per la ristrutturazione che non è mai partito. Tre giorni dopo arriva un nuovo sgombero.

bartleby assembleaQuesta breve ma intensa storia ha sollevato (e riaperto) a Bologna vari temi: il rapporto centro/periferia; la questione della produzione culturale; i saperi critici all’interno dell’università in crisi; l’utilizzo (o il riuso) dei luoghi pubblici abbandonati; la pratica del conflitto come legittimazione. Su questi temi (alcuni dei quali, non a caso, affrontati anche a livello nazionale riferendosi a Bartleby) si è dibattuto per giorni sui giornali mainstream, spesso strumentalmente, vista la vicinanza delle elezioni.

  1. In primo luogo Bartleby è stato accusato di essere un collettivo di “fighetti” o di “birraioli” (cito) che non hanno il coraggio di assumersi la responsabilità di riqualificare la desolata periferia bolognese; come se una sola realtà autorganizzata confinata in mezzo ai capannoni potesse cambiare la vivibilità di una zona industriale, senza un piano chiaro delle istituzioni, senza trasporti adeguati, slegando tra l’altro Bartleby dalla composizione sociale che gli ha permesso di esistere. Del resto Amelia Frascaroli ha spesso fatto riferimento alle grandi città europee, come se Bologna fosse Berlino, e non una città il cui centro è composto per un quarto dall’Università e la cui popolazione è composta per un sesto da studenti, molti dei quali fuori sede.
  2. A Bartleby, fino a qualche settimana fa, è stato sempre riconosciuto anche dalle istituzioni il valore della produzione culturale; un riconoscimento, però, volto a svuotare quelle iniziative del contenuto politico spesso conflittuale proprio verso le istituzioni cittadine e d’altro lato verso i vertici dell’università (è il caso del movimento contro la riforma Gelmini, i tagli alle borse di studio, l’aumento delle tasse, i tirocini non pagati ecc.). Nell’ultimo mese la guerra contro Bartleby è stata totale, e il Fondo Roversi può essere definito sui giornali cosa di poco conto, le iniziative paragonate a quelle di un’osteria, l’autofinanziamento letto solo come una pratica d’illegalità nella vendita di bevande. Ma la ricchezza della città di Bologna (o vorremmo dire il motivo per cui gli studenti ci vanno a vivere) non è affatto l’Università d’eccellenza (che la qualità stia solo nel bilancio è prerogativa del governo Monti), bensì tutto ciò che vi ruota attorno, le esperienze che permettono agli studenti di formarsi meglio e oltre l’accademia, un circuito culturale metropolitano cui spesso viene fatta la guerra perché indipendente o non corrispondente alle logiche dell’impresa: non a caso Bartleby è stato sgomberato ma anche altri spazi sociali, come Atlantide e XM24, sono continuamente sotto attacco. L’Università, dal canto suo, ha preferito spendere 50.000 euro di affitto l’anno per un capannone vuoto, senza sapere a quali progetti avrebbe potuto essere utile, solo per garantirsi il “rifiuto degli antagonisti” e legittimare uno sgombero.

  3. Anche all’interno dell’Università, l’organizzazione di corsi di autoformazione presuppone l’utilizzo di saperi critici in maniera conflittuale (oltre a mettere in discussione la verticalità delle lezioni accademiche), perché sono saperi di parte, perché guarda caso sono argomenti solo sfiorati nei corsi ufficiali che comunque risentono di un’impostazione rigida e di un’interpretazione che spesso lascia a desiderare: anche questo dà fastidio a chi ha la certezza di poter insegnare per anni le stesse cose.

  4. Nel bel mezzo della crisi, che non accenna a essere superata, gli spazi abbandonati di proprietà delle amministrazioni locali o addirittura del demanio sono un argomento che dà particolarmente fastidio a chi governa, tendenzialmente impegnato a tenere questo patrimonio pubblico inutilizzato in attesa di tempi migliori, o, se va peggio, a svendere tale patrimonio a speculatori edilizi per raccogliere le ultime briciole. Almeno nel primo caso (allo Stato come garante dei beni comuni ormai ci credono in pochi, vista la non applicazione di fatto del referendum sull’acqua), una giunta “di sinistra” dovrebbe quantomeno riaprire la questione del riuso e dell’autogestione di tali spazi da parte dei cittadini: e questo sarebbe il minimo, perché poi ci sarebbero quelle realtà già autorganizzate da anni sempre in attesa di una legittimazione che non è mai arrivata.

  5. La dicotomia legittimità/legalità ha riportato Bologna all’era Cofferati, che possiamo riassumere in: “qui siete solo ospiti, andatevene il prima possibile senza sporcare”. La svolta legalitaria del PD non ha aiutato il dialogo con i movimenti, che si sono sempre posti in maniera ambigua ma comunque disponibile: come abbiamo detto Bartleby, ad esempio, è nato da un’occupazione, ma è stata la stessa Università a proporre poi un’assegnazione regolare al collettivo, a dimostrare che il conflitto può essere fonte di legalità. D’altro canto la forma (legalità) non può nemmeno essere la chiave di lettura di qualsiasi esperienza partecipata e commentata positivamente da migliaia di persone (legittimità), poiché la “repressione” di quell’esperienza, che potremmo dire essere l’uso della forza da parte della forma sulla sostanza, non ne placa il bisogno, il desiderio, la necessità.

FOTO: Bartleby lo scrivano; La prima sede di Bartleby nel 2009 in via Capo Di Lucca (Antonio Delvecchio); Un incontro casuale con Bartleby (Antonio Delvecchio); Il corteo del 26 gennaio che terminò con l’occupazione dell’ex convento di Santa Marta (Michele Lapini); L’ingresso murato di Bartleby in via San Petronio Vecchio il 23 gennaio; Un’immagine dell’aula Roveri occupata nella Facoltà di Lettere (Diana Sprega); Assemblea per Bartleby nell’aula III della Facoltà di Lettere (Ludovica Guzzi)

http://bartleby.info

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