Bici e baobab

giugno 6, 2013 in Racconti e poesie da Beatrice Orini

E adesso?, pensavo, gli occhi desolati sulla bici. L’avevo legata la mattina a un palo davanti alla stazione, prima di pendolare verso l’università. Ora – 22.30 circa – ero tornata nella mia città con lo strazio tesi dell’Arpia ancora in testa ma anche un umore allegro da birra con gli amici. E subito lo smarrimento: impossibile slegare la bici… Avevo perso la chiave del lucchetto! La mia unica chiave del lucchetto! E adesso? La lascio qui tutta la notte? E poi? Finirà i suoi giorni attaccata a questo palo? No, prima me la ruberanno, me la sventreranno… Già vittima di due furti di velocipede, con tanti corpi mutilati di bici altrui visti in giro, avevo solo voglia di pedalare veloce verso casa. Non mi andava di arrendermi, abbandonando lì il mio mezzo. Lo abbandonai e rincasai a piedi, naturalmente. Con pensieri corrucciati: io perdo tutto, io vivo sul baobab, e qui i mezzi pubblici si annullano al crepuscolo, qui vige la cultura del machinù, ora mi tocca camminare e ben mi sta…

L’indomani mi svegliai combattiva. Decisi di rivolgermi al signor biciclettaio che, delizioso, mi disse “prova con questa”, allungandomi una tenaglia dalle dimensioni decisamente importanti. La infilai nella mia capiente borsa, un po’ rincuorata, un po’ preoccupata: la luce, la gente, la tenaglia… Come fare? E soprattutto, ci sarà ancora la bici? Oh la mia bici… Comprata per pochi soldi in un mercatino francese, metà da corsa metà da città, pareva un insolito assemblaggio di pezzi diversi. Avevo costretto mio papà, alla fine dell’Erasmus, a cacciarla in qualche modo in auto e riportarla in patria: me n’ero innamorata. Mi accompagnava dappertutto e sembrava l’unica a rallegrarsi del mio rifiuto dei motori. E ora, chissà…

NinaCuneo_Donna in bici(1)

Ma sì, sì, eccolo, mon vélo! Mi attendeva al sole; voci e clacson tutt’intorno. Che sollievo. E poi, poi la vidi. Pochi metri davanti alla mia creatura e al palo con cartello “vietato legare cicli e motocicli”, sostava una macchina della polizia. In piedi fuori dall’auto, tre poliziotti. E adesso? Tentai di prevenire: “Ehm, scusate, avrei un problema…”. Spiegai la mia disavventura, azzardando un “vorrei provare a recuperarla”. Si guardarono un po’ stupiti, mi chiesero “e come?”, risposi “con questa”, sfilando dalla borsa la tenaglia dalle dimensioni decisamente importanti che mi costò un duro “ma dove l’hai presa?!” e scambi di sguardi ora molto stupiti. Esitarono. Ma infine: “Se davvero è tua e se ci riesci…”

La mia soddisfazione svanì in un attimo. Era chiaro che non sarei mai riuscita ad aprire quel lucchetto, eppure ci stavo provando con tutte le mie forze, eppure iniziavo a sudare, maledetta tenaglia, mi fai sentire osservata e poi… “Dai, dammi qua”. La voce aveva una nota scocciata. Mi voltai e gli passai la tenaglia. Bastò un solo colpo secco e – zac! – la mia bici era libera. Libera! Ero radiosa. Sorrisi al poliziotto che mi guardò scuro: “Ti rendi conto che se non è tua, ti ho aiutato a rubarla davanti a tutti?” disse, continuando con tono sempre più nero: “Ora butta via la catena, metti via quella tenaglia e sparisci!”. Sparii pedalando. Ero radiosa.

Sì, ho pensato di darmi ad attività illecite concernenti il velocipede con la complicità delle forze dell’ordine. E invece ho continuato a vivere sul baobab, dedicandomi a lavori legalmente precari. Che abbia sbagliato tutto?

Illustrazione di Daniela Tediosi

Illustrazione di Daniela Tediosi

 
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