Biblioclastia: uccidere i libri (e le persone)
luglio 18, 2017 in Approfondimenti, Recensioni da Roberta Basche
Si scrive spesso della nascita del libro, molto meno della morte di milioni di libri. Della violenza su chi non ha difesa, chi non è una persona ma nemmeno una merce, solo spazio e tempo di una memoria, il patrimonio di idee di una cultura.
Fernando Baez in “Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla guerra in Iraq“, Viella editore, ha impiegato dodici anni di lavoro per documentare l’immane tragedia che accompagna l’umanità.
Leggendo queste parole, per associazione di idee, penso alla paura del diverso, della cultura che non ci appartiene che, invece di voler scoprire, l’essere umano vuole annullare. Il libro diventa uno straniero da respingere, nel fuoco.
A meno che non rispetti il Canone dominante. Accadde in Russia, dove gli scrittori considerati sovversivi perché critici del regime vennero mandati ai lavori forzati in Siberia e le loro opere censurate e distrutte. Accadde a Dostoevskij, Solzenicyn, Salamov.
Tantissimi gli autori censurati dal nazismo, fra cui scrittori grandissimi come Kafka, Brecht, Kollontai, Heine, Musil, i fratelli Mann, Proust, Zola, Hemingway… Oltre alle opere d’arte, che però Goering collezionava. In tutti i Paesi occupati vennero dati alle fiamme libri di autori ebrei, testi e strumenti musicali, tra cui quelli di Arthur Rubinstein. In Polonia si stima la perdita di 15 milioni di libri. Sono opere su cui si è formato il nostro modo di pensare e non sappiamo cosa sarebbe cambiato in noi salvandole dal fuoco.
La distruzione dei libri è opera, nel passato e nel presente, di uomini e donne che hanno paura. Scrive Baez: Il distruttore di libri è dogmatico, perché si aggrappa a una visione del mondo univoca, irrefutabile.
Dove non interviene l’uomo intervengono disastri naturali, incidenti, animali ed insetti (il pesciolino d’argento, i tarli, i topi, le blatte). Cicerone scrive: Da poco i topi di casa mia hanno rosicchiato “La repubblica di Platone”.
E, ancora, sono causa di perdita del patrimonio librario il deperimento dei materiali con i quali sono fatti i libri, il disinteresse e l’oblio. E dureranno poco anche i libri ancorati al supporto digitale.
Il libro di Baez percorre con molti esempi la storia della distruzione di libri a partire dalle civiltà antiche (dalle Biblioteche di Alessandria e di Pergamo) per proseguire fino ai giorni nostri.
A Roma l’imperatore Domiziano si preoccupava degli incendi che i barbari appiccavano alle biblioteche e cercava di rimediare alla perdite recuperando copie di classici ad Alessandria, ma inceneriva i libri a lui sgraditi.
Ipazia d’Alessandria, Arnaldo da Brescia, Margherita Porete furono uccisi insieme alle loro opere. Come scriveva Heine in Almansor: Dove si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini.
“Storia universale della distruzione dei libri“ narra anche la distruzione di tipografie, librerie, case editrici, biblioteche e l’uccisione di editori, librai, scrittori, redattori, correttori di bozze.
Nei Paesi arabi i leader condannano libri mai letti (in alcuni è vietato persino il capolavoro “Le mille e una notte“), in Argentina libri e persone sono desaparecidos.
Temi ritenuti sconvenienti, quali l’omosessualità, furono censurati: è il caso di Oscar Wilde o della scrittrice per ragazzi Nancy Garden.
In Cina, il premio Nobel Gao Xingjian venne inviato ai campi di rieducazione e fu costretto ad appiccare il fuoco alla valigia che conteneva i suoi testi inediti.
L’occupazione cinese del Tibet nel 1950, uccise monaci, distrusse monasteri e libri.
E non vi è popolo che non abbia cercato di annientare “il nemico” attraverso la distruzione del suo patrimonio culturale. Basti pensare allo smantellamento dell’identità greca da parte di turchi e inglesi.
Uno dei capitoli più impressionanti è intitolato “L’odio etnico” e si apre con le parole di un bibliotecario: Qui non rimane niente, ho visto una colonna di fumo e le carte che volavano da ogni parte. Avevi voglia di piangere, gridare… per tutta la vita porterò il peso del ricordo di come è stata bruciata la Biblioteca nazionale di Sarajevo.
La biblioteca di Sarajevo (nota con il nome Vijecnica) possedeva 1.500.000 volumi, 155.000 opere rare, 478 manoscritti, milioni di riviste del mondo intero. I bosniaci e la loro cultura furono devastati per ordine del generale serbo Ratko Mladic.
Il poeta bosniaco Goran Simic scrisse “Lamento per Vijecnica“:
La Biblioteca Nazionale bruciò gli ultimi tre giorni di agosto e la città soffocò nella neve nera.
Liberati, i personaggi vagarono per le vie, mescolandosi con i passanti e con le anime dei morti.
Vidi Werther seduto accanto ai muri sbrecciati del cimitero; vidi Quasimodo che si dondolava con una sola mano in un minareto.
Raskolnikov e Mersault chiacchierarono per giorni nella cantina di casa mia; Gavroche sfoggiò uno stanco travestimento.
Yossarian vendeva già provviste al nemico; per pochi dinari il giovane Tom Sawyer si tuffava dal Ponte del Principe.
Ogni giorno più fantasmi ed esseri viventi; e il terribile sospetto si confermò quando gli scheletri mi caddero addosso.
Mi chiusi in casa. Sfogliai la guida turistica. E non uscii finchè la radio non mi spiegò come avessero potuto tirar fuori tonnellate di carbone dal sotterraneo più profondo della Biblioteca Nazionale bruciata.
Scrisse Helen Keller nel 1933 agli studenti tedeschi che bruciavano i suoi libri e quelli di altri scrittori in Germania: Voi potete bruciare i miei libri e i libri delle migliori menti d’Europa, ma le idee che vi sono contenute saranno trasmesse in mille altri modi.