Berlino la dolce

agosto 2, 2024 in Senza categoria da Roberto Colli

idem bis

Fra le tante guide che la raccontano, e di cui ci siamo occupati in passato, c’è anche un volume di grande formato di Elodie Benchereau e Daniel Farò, Berlino, piccolo atlante edonista, trad. Vera Verdiani, ed. L’ippocampo.

Il volume divide la città in quartieri e ci sfida: dove andiamo oggi? Sono 260 pagine costituite per gran parte da grandi e splendide fotografie, accompagnate da brevi presentazioni. Ed è l’immagine che conta per chi ama Berlino, il colore, la forma architettonica, la poesia, non la prosa sempre troppo cospicua.

Camminare nel polmone verde del Tiergartner, il giardino zoologico, e svoltare tra i palazzi modernisti e intravvedere una scultura di Giacometti, sfiorare l’erotismo di un bacio dipinto su un muro, o attraversare la Sprea e perdersi nelI’Isola dei musei o imboccare la Karl- Marx- Allee fino ad Alexanderplatz: ovunque si sente il respiro della grande cultura. Che qui siano avvenute le convulsioni e il nuovo del Novecento: Brecht, Kurt Weil, Gros, Rosa Luxemburg, Weimar, il nazismo, la guerra, la divisione ed il Muro del 1961. Oppure con un passo indietro Beethoven e Marx. Ci si ferma a un semaforo, il verde si annuncia con un orso dalla lunga lingua, il simbolo della città, sull’origine del quale orso, nascoste nel Basso Medioevo, si diffondono varie dicerie, nessuna autentica testimonianza, e la tenerezza che vi dice di passare.

Il carattere forte del libro è dato soprattutto dal nostro sguardo che si ferma su luce, colore, varietà delle forme. Il dettaglio di un manifesto sui muri, la street art che colora i fianchi delle case, fino agli edifici più noti, ai musei, alle gallerie d’arte, alle offerte di una cucina spesso raffinata, o vegetariana e vegana, ma che non rinnega i tradizionali wurstel e crauti, o convive con piatti esotici di ogni parte del mondo.

Postadamer platz

Postadamer platz

Di Berlino ci ha sempre sorpreso la nuova un po’ folle architettura. Il Bauhaus con la sua linearità in movimento, il modernismo, il brutalismo, e l’incredibile capacità di costruzioni d’età e stile diversi che si guardano con consapevole autonomia fino all’insieme di edifici, opera dei più grandi architetti del mondo (tra cui Renzo Piano) che hanno ricucito la parte occidentale a quella orientale diventata luogo degli artisti, dell’innovazione, dei caffè, fra edifici ristrutturati e divertenti.

A Berlino anche gli squatter hanno le loro case a potenti colori perché qui la vita alternativa non è considerata un’eccezione e oggi, come nella Repubblica di Weimar, vive la gioventù più disinvolta d’Europa. Provate a passare un ultimo dell’anno alla porta di Brandeburgo, se riuscite ad avvicinarla, naturalmente. Si deprecano i petardi del nostro Sud, che sono un fantasma rispetto a quello che qui succede, compreso uno smarrimento quando su una gamba sentite un colpo di frusta, l’autore è un grosso lupo trattenuto da un ragazzone che sembra scappato da una casa circondariale. Poco distante appare una lunga fila di cabine-gabinetto perché a Berlino si sa che la birra è diuretica. Ma c’è in tutto questo un’autoconsapevolezza che rende tranquilli, come passare una sera al Berliner Ensemble, il teatro di Brecht, dove all’ingresso giovani sorridenti ritirano il vostro zaino e all’interno gli attori sembrano incredibilmente vicini mentre nell’intervallo persone tranquille gustano il loro calice di vino discorrendo a bassa voce, così come nel Hans Scharoun, la sala da concerti ispirata a forme architettoniche organiche: in questa città tutto si fa ricordare e si sente ciò che molto raro: il piacere.

Casa degli squatter

Casa degli squatter

L’accettazione di semplici regole renda serenità alla vita che non ha bisogno di ordini drastici, ma respira nei vasti spazi spesso pedonali e alberati e nella tolleranza del diverso. Forse guardate una mappa per raggiungere il Check point Charlie, il confine americano con la RDT, allora c’è qualcuno che si avvicina e vi dà la direzione, oppure il mercato turco coi suoi colori e sapori. Se prendete una metropolitana guardate la gente intorno. C’è chi ha le scarpe sfondate e chi la cartella di pelle, ma non saprete mai il loro conto in banca che può essere inversamente proporzionale.

Anche per le strade dai larghi marciapiedi, dove scorrono frotte di persone, c’è la tranquillità di chi è consapevole che l’insieme funziona. Prendere la metropolitana a Roma o Milano può essere un’avventura, ma a Berlino come a Napoli è tutto chiaro, non si sbaglia una discesa, non perché – come dice il mio vicino di casa: i tedeschi sono organizzati- solo perché bastano due cartelli in più, mentre a Napoli ci sono anche splendide pitture sui muri e nessuno la pensa organizzata e artistica anche sottoterra.

di Roberto Colli

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