Beni comuni: una prospettiva innovativa di lungo respiro
agosto 11, 2016 in Approfondimenti, Recensioni da Laura Giuffredi
Capita di incontrare, talvolta, dei libri-rivelazione. Mondi di pensiero complesso, ma non astruso, che sollecitano una riflessione parallela al più ovvio, banale e stantio “rumore di fondo”, nel quale facilmente ci muoviamo quotidianamente.
È il caso del volume Beni comuni 2.0. Contro-egemonia e nuove istituzioni, a cura di Alessandra Quarta e Michele Spano’, MIMESIS 2016.
La post-fazione di Ugo Mattei ci chiarisce come lo sforzo dei giovani co-autori, che appartengono ad una generazione cosmopolita, nomade, con rapporti transnazionali, esperti di diritto e rapporti internazionali, punti a smascherare la pochezza e falsa coscienza del pensiero istituzionale dominante in tema di BENI COMUNI, a sottolineare il ritardo della politica, ma anche a fornire un orizzonte culturale di speranza e civiltà, quanto mai necessario nella nostra epoca di crisi e precarietà. Gli autori appartengono a quel movimento di intellettuali critici e militanti che negli ultimi tempi si sono inseriti nel dibattito pubblico a livello globale, in opposizione (costruttiva) al “capitalismo estrattivo” dominante (e non si sta parlando solo di petrolio e derivati).
Dunque, a proposito di BENI COMUNI, si vuol parlare di scuola pubblica, cultura e conoscenza, territorio, acqua, casa, lavoro, salute, per nominare solo alcuni dei settori dove le battaglie di idee si sono prevalentemente espresse in questi ultimi anni: la premessa degli autori è mettersi comunque dalla parte dei perdenti, nell’idea di un loro possibile riscatto.
In Italia il recente, ma forse ormai quasi dimenticato, Referendum sull’acqua come bene comune ha portato alla ribalta per qualche mese un nuovo lessico ed una nuova narrazione a proposito di partecipazione politica, recentemente smentiti, peraltro, dalla scarsissima e perciò irrilevante affluenza all’ultimo referendum popolare, in tema di “trivelle” e pozzi di idrocarburi.
Del resto, se su questi temi in Italia si piange, altrove non si ride: il punto è che i poteri PRIVATI organizzati, prevalentemente finanziari, sono diventati più potenti degli Stati sovrani, cioè di ciò che definiamo come PUBBLICO. E drammaticamente i cittadini sembrano in maggioranza aver abdicato al loro ruolo propositivo ed politicamente attivo, forse disgustati dalle storture della prassi politica dominante.
Malgrado ciò, come “terza via” tra pubblico e privato si colloca, forse a parziale correttivo di tale deriva, la dimensione del COMUNE, da cui il termine “benicomunismo” per un progetto di società alternativo al neoliberismo selvaggio in cui viviamo.
Il concetto di COMUNE disancora i soggetti dal concetto-chiave di “possesso”, indicando un altro mondo possibile. Questo nonostante l’evidente espansione continua dei processi di privatizzazione del mondo, materiale e immateriale.
Gli obiettivi primari della prefigurata alternativa sono:
- diritto al movimento ed alla circolazione delle persone
- reddito di base, sganciato dal lavoro
- creazione di spazi di autogoverno, a livello locale
- “federalismo” delle strutture politiche nazionali e sovra-nazionali
Nel volume, il contributo di Rocco Alessio Albanese ricostruisce, a mo’ di esempio, il caso di Poveglia, isola della laguna di Venezia: vincolata come bene di interesse paesaggistico e culturale, ma spacciata per abbandonata, l’isola è invece da tempo, di fatto, usata per svago e lavoro da una piccola comunità. Di fronte alla prospettiva di una sua “riqualificazione’ , alias privatizzazione a fini speculativi (resort di lusso), si e’ creata spontaneamente l’associazione “Poveglia per tutti”: una comunita’ per la cura collettiva dell’isola in una gestione partecipata per la sua fruizione pubblica.
Chiarisce Albanese: È questo il cuore del problema dei beni comuni. Com’e’ noto, lo stesso vocabolo ”comune”, alludendo alla relazionalita’ (cum-) e alla duplice dimensione del dono e della responsabilità (-munus), permette di comprendere l’impegnativa definizione dei “commons” quali “opposto della proprietà” e della sua logica.
Ad esempio l’articolo 9 della nostra Costituzione, sembrerebbe individuare, con la necessità della tutela, anche l’INAPPROPRIABILITÀ del paesaggio, sottraendolo alle logiche di mercato.
Il principio sembra chiaro e sacrosanto, ma è evidente che va cercato/creato un assetto giuridico-istituzionale “altro” rispetto a quello vigente, che governi nuove possibili relazioni tra soggetti e beni.
La dinamica non sarebbe più solo PUBBLICO vs PRIVATO, ma USO PUBBLICO anche del privato, se riconosciuto di importanza comune (si veda per esempio Villa Borghese a Roma, dimora privata, ma anche sede di iniziative culturali pubbliche e “comune” locus deambulandi).
Più sopra si individuava, tra le strategie per questa svolta ideale, la necessità della creazione di spazi di autogoverno a livello locale. Effettivamente ci sono esempi virtuosi in questo senso, in Italia ed all’estero, che peroò devono muoversi tra mille difficoltà, nelle pastoie burocratico-legislative che le vorrebbero ingabbiare.
Si pensi ad esempio all’Amministrazione Comunale di Brescia, che, con l’attuale Giunta, ha creato da un paio d’anni 33 Consigli di Quartiere, immaginati e messi all’opera soprattutto dall’Assessorato alla Partecipazione. Tali organismi, attivi in ciascuno dei 33 quartieri della città, sono formati da cittadini liberamente eletti dalla popolazione: il loro potere non è decisionale ed esecutivo, ma di rappresentanza e di raccordo tra Istituzione Comunale e cittadini, come portavoce di istanze, segnalazione di problematiche, motori di iniziative “dal basso”. Un “peso” circoscritto, certamente, ma che senz’altro apre un varco nelle prassi consolidate (ed arrugginite). Come gli autori del saggio summenzionato suggeriscono, infatti, si tratta di proteggere ed incentivare, nella regolazione pubblica, tutto ciò che è capace di ricomporre la frammentazione sociale (sotto gli occhi di tutti) e di progettare nuove forme di appartenenza.
Tra le iniziative dei quartieri di Brescia, promosse dai rispettivi Consigli, numerose, ad esempio quelle volte a sensibilizzare la cittadinanza alla valorizzazione e rispetto del territorio o alla divulgazione, con accesso libero e gratuito, alla conoscenza/cultura. Ad esempio il Consiglio di Quartiere di Bettole-Buffalora ha organizzato una serie di conferenze sul tema dello “stare bene”, con se stessi e con gli altri, che hanno mobilitato, senza costi per la collettività, esperti di psicologia, medicina, ambiente, sociologia, comunicazione.
La conoscenza di alcune tematiche di calda attualità diventa in questo modo occasione per sollecitare la cittadinanza all’individuazione di bisogni reali, personali e collettivi, per la soddisfazione dei quali si passi attraverso la condivisione di prassi virtuose, anche inedite.
Quali BENI COMUNI individuare, dunque, per appropriarsene fattivamente e garantirne la tutela?
La salubrità dell’aria, ad esempio: il nascituro “Parco delle Cave” del quartiere, e quindi di tutta la città di Brescia, e` da un paio d’anni il banco di prova della possibile interazione tra Istituzioni, che aprono prospettive e rimuovono ostacoli, Enti, Associazioni e Comitati spontanei, che aggregano energie, e singoli cittadini che esprimono osservazioni e punti di vista, sentendosi direttamente chiamati in causa ed avendo di fronte, per il tramite del Consiglio di Quartiere, concreti interlocutori da cui avere risposte. Da qui anche l’inedita, per Brescia, esperienza di “progettazione partecipata” dell’area, con tavoli di lavoro aperti a tutti per la durata di alcuni mesi.
Anche altre città hanno negli ultimi tempi percorso queste strade: il Comune di Bologna (che definisce nel proprio regolamento il concetto di “bene comune” al fine della sua tutela), il comune di Chieri ed altri.
La strada, dunque, sembra questa: innescare circoli virtuosi di cooperazione, scardinando gradualmente anche la convinzione che l’unico ruolo del cittadino sia quello di lamentarsi di eventuali disservizi ed inefficienze, da attribuire ai politici di turno.
Assunzione di responsabilità, dunque, ed anche questa appare una pratica non scontata (naturalmente va tenuto conto del rischio che queste pratiche generino un progressivo “arretramento” e de-responsabilizzazione dello Stato Sociale).
In giro per il mondo gli esperimenti in questo senso, pur tra mille contraddizioni, non mancano, declinati ad esempio nei mille rivoli della Sharing Economy (quando questa non viene fagocitata dalle implacabili regole del MERCATO): in ogni caso si tratta di abbandonare gradualmente, ma inesorabilmente, l’ “etica proprietaria” (produci, consuma, crepa), orientandosi anche verso una sensibilità nuova, che ispiri un consumo critico e sostenibile.
Affinché questo processo possa risultare praticabile, bisognerà tuttavia reinterpretare le regole giuridiche esistenti: oggi infatti viene super-tutelata la dimensione individuale e le sue libertà, trascurando completamente l’individuazione sistematica e la difesa di beni ed interessi ad appartenenza SUPER-INDIVIDUALE, tanto che la lesione di un interesse comune o bene comune non riconducibile a qualche titolarità individuale, non può essere portata in giudizio e perseguita.
Si tratta dunque di individuare e proteggere fino in fondo beni appartenenti alla SOCIETÀ e non allo STATO, e per questo devono essere approntati nuovi strumenti giuridici: la posta in gioco più alta è l’eredità che lasciamo alle generazioni future: la prospettiva degli interventi dovrà essere, perciò, a lungo o lunghissimo termine (il che collide evidentemente con la logica “estrattiva” di risorse attuata da Stati e lobbies dominanti, basata sulla resa immediata ).
La teoria dei BENI COMUNI ha dunque diversi meriti:
- aver creato un varco nel Diritto Positivo, consentendo alla categoria degli interessi delle generazioni future di fare ingresso nel dibattito normativo: può essere perciò individuato l’ambito dei DIRITTI IBRIDI, che per manifestarsi nel futuro, esigono una tutela nel presente; su questo fronte siamo sicuramente in ritardo;
- aver smascherato la forza totalitaria della visione mercantilistica e del “pensiero unico”;
- aver scongiurato (si spera) la scomparsa degli spazi pubblici di reale discussione e confronto (POLITEIA).
Si potrebbero definire, i Beni Comuni, come “beni a statuto speciale”, gestibili da forme, giuridicamente normate, di democrazia diretta (si pensi alla vicenda del Teatro Valle a Roma, occupato nel 2011 e tenuto un vita per un uso pubblico; altro, ma affine scenario, quello della casa, che ha trovato esperimenti interessanti di condivisione nei CLT, Community Land Trusts, ad esempio in Belgio).
Neologismi come cohousing, coworking, crowfounding, identificano realtà variamente sperimentate che producono nuovi valori e relazioni.
Ai cittadini il compito, non facile e neppure comodo, di farli propri.