BelColpo, Belgesto!

febbraio 2, 2013 in Musica da Claudio Ianni Lucio

Bravo, Belgesto, bravo.

L’hai fatta sotto il naso a tutti quanti, complimenti. Ma ora, sul serio, direi che può bastare. Il messaggio è stato recepito e tu, dopo anni faticosi come questi, potrai finalmente ritirarti.

Perché, fin dall’inizio, era questo il tuo piano, vero?

Il guaio sarà comunicarlo ai tuoi fans, poveri creduloni. Come farai a dire a tutte queste persone con le orecchie guaste, così sentitamente impegnate nella costruzione del tuo brescianissimo mito,  che si è trattato solo di uno scherzo, di una burla meta-artistica, di un modo per costringere la società a guardarsi dentro?

Progetto impressionante, lo ammetto.

Da parte sua, il buon Alberto Belgesto, ha contribuito, attraverso una serie di semplici e abili mosse, a creare il proprio personaggio.

Nato dai fiati, in questo caso clarinetto e sax, è passato attraverso una band di stampo blues. Ma era solo una copertura, un tono datosi per necessità. In realtà, già ai tempi, il nostro –meglio il vostro, facciamo il loro, così non si lamenta nessuno- preparava le fondamenta del presente, scrivendo tonnellate di canzoncine per chitarra e voce, soprattutto durante la sua chitarristica permanenza nei Belgesto (già, non si chiama davvero “Belgesto”).

Si diceva che il 2000 sarebbe stato l’anno dell’apocalisse, l’anno del tanto temuto Y2K bug –Millennium bug, se preferite-. Le profezie si sono rivelate deliri di folli paranoici e nulla più. Qualcosa però è successo (forse le profezie in questione avevano carattere sibillino?), infatti, proprio in quel periodo, Belgesto ha firmato delle legali scartoffie insieme alla Sony Music Publishing pubblicando il suo primo album: Non è successo niente –“Invece, ahinoi, qualcosa è successo.” (Cit. La Musica)-.

A seguito dell’uscita del primo cd, alcune emittenti radiotelevisive, tra le quali niente meno che Radio Deejay, Mtv e Radio Italia si sono solertemente prestate a sostenere il disco. Lo stesso Alberto Belgesto è stato ospite a Radio Deejay, su YouTube sono presenti degli estratti niente male, dove s’è anche goffamente esibito in diretta munito di voce incerta e zanzarescamente imprecisa (l’emozione?).

Che dire del suo primo lavoro? Una sequenza impietosa di testi ingenui –non saprei nemmeno selezionare un estratto, basta prendere un punto a caso di una strofa qualsiasi- interpretati con timbrica d’uno spessore ai minimi storici, calante per costituzione, a sua volta sorretta da motivetti trascurabili. Ma, forse, era l’età, o forse no.

Può darsi che il mio giudizio a riguardo sia troppo severo e che io ragioni da classico ‘musical snob’. Ad onor di cronaca, riporterò uno dei due commenti lasciati dai fans sotto il video del brano “Seta” su YouTube: “mi ricordo quella sera a maglioni marroni…questo è uno dei dischi piu’ belli mai fatti in italiaoriginalita’…. bravo davvero…. ti aspettiamo belge”.

Di lui, nel frattempo, s’è detto (parola di Daniele Ardenghi direttamente dal  sito www.giornalediBrescia.it in data 6 giugno 2011): cantautore di talento, mecenate (questo sì, la sua Latteria Artigianale Molloy ha fatto molto), musicista –qui la specifica ‘di talento’ risulta assente- e, finanche, guru –lo Zeus del pantheon musicale bresciano, e che saette … -.

Due album successivi, “Fantasma” e “Lontano dai robot” lo sdoganano a livello internazionale, almeno secondo i suoi ammiratori che lo accostano ai The Beatles. Tant’è vero che, nel suo profilo Facebook, il brano “L’idea del bene” (contenuto in “Lontano dai robot”), viene così commentato: “La tua Eleanor Rigby” da tale, guardate un po’, Daniele Thoc Ardenghi.

Eleanor Rigby 

Eleanor Rigby picks up the rice in the church where a wedding has been

Lives in a dream

Waits at the window, wearing the face that she keeps in a jar by the door

Who is it for?

L’idea del bene

Le mie energie, le mie emozioni

I sentimenti che ho

Amico mio ti chiedi mai

La fine che faremo noi?

Immagine

PARAGONABILISSIME, anche musicalmente. Spero che Paul McCartney venga a farsi giustizia.

Effettivamente, rispetto al primo album, si nota una certa evoluzione musicale. Le melodie sono più ricercate, più costruite. Purtroppo voce e testi rimangono qualitativamente pressoché invariati, dopotutto quella è roba sua.

A questo punto, è necessario aprire una parentesi sulla voce di Belgesto. Una timbrica tanto edulcorata, sarà tutta farina del suo sacco, oppure è una manifestazione del miracolo discografico? Ascoltando qualche esibizione live (cosa fondamentale per farsi un’idea su un cantautore), la risposta appare evidente. Non solo le sue performance dal vivo sono infarcite, come lui stesso ammette esibendo una certa modestia – … “ti ringrazio, ma x Belgesto la parola “impeccabile” non esiste. Le sue 30 o 40 toppate ce le ficca sempre dentro in qualche modo : ) è la sua caratteristica”-, di stonature , ma sembra che Alberto canti attraverso un citofono mal funzionante.

Io mi capacito di molte cose. Comprendo perfettamente che Alberto Belgesto possa avere, seppur in piccolo, un certo seguito. Tutto merito della “Sindrome da fast food emotivo” che, ormai, ha contagiato le masse dei consumatori: esiste una grossa fetta di società che pretende dal prodotto artistico un’immediatezza di contenuti e di forme adatta a estrapolare dalla fruizione quel poco di cui si ha bisogno, senza dover ricorrere ad alcun tipo di rielaborazione o di conoscenza. Nanni Moretti direbbe: “ve lo meritate Alberto Sordi”. Il mio discorso non riguarda ciò che è arte e ciò che non lo è, sia chiaro. Dico solo che esistono artisti migliori di altri e, forse (ammesso che io abbia capito come dovrebbero funzionare le cose), i migliori meriterebbero di avere qualche opportunità per primi. Qualcuno arriccerà il naso, probabilmente, vedendo parole come “migliore” e “peggiore” accostate alla figura dell’artista, perciò metto le mani avanti. La logica del “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace” va superata, una volta per tutte. Rassegniamoci all’idea “è bello quel che è bello, ma piace ciò che piace”. Un prodotto artistico non diminuisce il suo valore, anche se voi lo trovate orribile. Allo stesso modo, non ne acquista, se lo trovate meraviglioso. Il gusto estetico va sviluppato, non confuso con le farfalle che si agitano in pancia.

Per questo motivo, in un ambiente strabordante di persone non solo valide ma anche artefici di prodotti validi, si decide di sponsorizzare, a danno della qualità, chi meglio va incontro a questi bisogni delle masse. Tra i molti scartati, qui nel bresciano, hanno sponsorizzato Badgesto. Tra sciami di ignorati, sulla vasta superficie del mondo, sono emersi Justin Bieber e i One Direction (non è certo colpa dei produttori se loro hanno già venduto più dischi di Jimi Hendrix, giusto per far riferimento a uno che è comunque tra i più noti di sempre. In fondo, le case discografiche lavorano per pagarsi beni di lusso in posti di lusso, non certo per una causa estetica superiore). Non dico: “i vari Belgesto no”, non ne ho certo il diritto. Dico soltanto: “perché Lui / Loro sì?”.

Ed era proprio questo che volevi farci capire, Alberto, nevvero?

Ottimo lavoro. Hai reso palese nel microcosmo bresciano l’andazzo dell’intero mondo.

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