L’Italia è una Repubblica calcistica, fondata sul tifo.

febbraio 20, 2013 in Crisi

Winston Churchill, che, quando non si concedeva quel bicchierino di troppo, passando dal dire cose sensate allo spararne di grosse e gassose come Giove, affermò un giorno: “Gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Che una buona fetta del popolo italiano consideri il calcio come un fatto personale non si può certo negare: tifosi che allo stadio si scagliano addosso ogni tipo d’oggetto possibile – petardi, motorini, motorini imbottiti di petardi -, spinti dal più che valido motivo di tifare per squadre diverse – cose che capitano a tutti. Io, per esempio, da quando ho scoperto che preferiscono il vino bianco a quello rosso, prendo i miei vicini a colpi di balestra ogni volta che li vedo -; ultras che tengono in ostaggio tutto uno stadio, perché accettano poco sportivamente la sconfitta, pur essendo supporters di squadre senza la seppur minima idea di quel che significhi vincere una competizione qualsiasi; homini-vates immersi come Achille, ahimé durante un giorno di secca, in uno Stige di sentimentalismo dal quale rimase loro fuori soltanto la testa.

Non è mia intenzione, però, fare facili e tendeziosi paragoni. Non ho certo l’obiettivo di mettere in luce con quanta clemenza le forze dell’ordine accettino, di solito, i colpi di testa degli ultras, rispetto alle abbondanti cucchiaiate di olio di ricino che toccarono alle persone, temibili briganti bolscevichi addormentati e incolpevoli, anche se di un sonno e un’incolpevolezza oltremodo sovversivi e violenti, all’interno della Diaz. Non voglio nemmeno mettere l’accento sul fatto che circolano filmati nei quali si vedono i tutori della legge trasformarsi in hooligans e lanciare pietre e lacrimogeni ai manifestanti No-Tav. E, assolutamente, non intendo nemmeno sottolineare quanto poco si sia fatto per tenere a bada i procellosi e storicamente inadeguati strilloni targati CasaPound durante la loro irruzione/incursione alla facoltà di lettere di Verona, o nel corso di un’altra delle teatrali comparsate dei membri (non siate maliziosi) di questo epi-centro anti-sociale. Soffermarmi su questi episodi sarebbe un abuso di qualunquismo bello e buono, una smitragliata di facilonerie notevole, altroché.

Ciò di cui voglio realmente parlare consiste nel fatto che, secondo me, Mr. Chiesamalata non c’aveva visto proprio giusto. Aveva sì ragione nell’individuare un problema nell’atteggiamento degli italiani rispetto al calcio e alla politica, solo che si sbagliava, sostenendo che vivano il primo come dovrebbero vivere la seconda e viceversa. A me pare, e proprio qui sta il punto, che mantengano lo stesso identico atteggiamento, la medesima linea di comportamento, in entrambi gli ambiti. Certo, bisogna specificare che, quando si tratta del pallone, ci mettono molta più verve.

Anche in questo caso, mi guardo bene dal cadere nel tranello della scontata retorica da bar. Infatti, non farò minimamente cenno a quanti voti portò a Berlusconi l’essere il presidente del Milan nel 1994, o come, stando ai sondaggi, nonostante le sue prodezze politiche di questi vent’anni, dopo pochi giorni dall’acquisto di Balotelli, le preferenze per il Pdl in Lombardia siano salite del 2%, o come, giusto per non andare fuori tema, quando nel 1984 i pretori provarono legittimamente a oscurare le sue reti televisive, dei veri e propri gruppi di manifestanti col sangue agli occhi, più giacobini di Robespierre e più esuberanti di King Kong, si schierarono dalla sua parte – non dimenticherò mai l’anziana e sdentata signora che, facendosi largo a spintoni tra la folla per raggiungere i giornalisti, esplose il suo dissenso civile in un sanguigno: “La tassa non si deve pagare alla TV! Solo Canale 5! Ricchioni Canale Uno!”. Sarebbe troppo semplice, se non addirittura riprovevole e di cattivo gusto, continuare a insistere sull’influenza del calcio sulle scelte di una certa porzione d’elettorato. Troppo banale, davvero troppo.

Per questo parlerò soltanto di quanto siano, spesso e volentieri, indistinguibili i comportamenti dei tifosi più veraci da quelli degli elettori.

ultras

Basta guardare un comizio politico qualsiasi; se si sostituissero le bandiere dei partiti con quelle dei club sportivi, non si noterebbe la differenza. Veri e propri cori, inni cantati a squarciagola e grida isteriche si levano dal pubblico, quasi fossero tutti spettatori di un combattimento clandestino tra galli sul quale hanno scommesso l’intero stipendio.

L’impressione che se ne ricava è che molti partiti non vengano seguiti criticamente dai loro sostenitori, ma, piuttosto, con l’amore incondizionato degli ultras per le squadre. Gli elettori hanno finito col diventare ciò che non dovrebbero essere mai, cioè degli “irriducibili”. La colpa è sempre di qualcun altro e chi lotta per la maglia non va messo in discussione. Così accade che Berlusconi abbia ancora un numero enorme di sostenitori che, pur avendoci intensamente provato in tutti i modi possibili, non riesce proprio a far desistere dall’amarlo incondizionatamente. Lui entra a terza gamba tesa (l’espressione piacerebbe anche lui) sulla nostra costituzione impegnata a marcarlo stretto come si fa coi fantasisti, sputa in faccia agli avversari dimenticandosi del rispetto e, ogni volta che lo si sfiora, simula quasi avesse subito un attentato; però, quando gli arbitri decidono di sanzionarlo, i suoi hooligans vanno fuori di testa e montano un putiferio. Sia una toga nera (che molti però vedono vermiglia, probabilmente a causa di una specie di daltonismo al contrario) o un cartellino rosso, per l’italiano non fa alcuna differenza: cornuto l’arbitro, cornuto il giudice, cornuti tutti i nemici della fede.

Quanti ancora si radunano con cappelloni e magliette verdi, stile succursale di san Patrizio, al grido di “Senatur! Senatur!”, anche se tutti gli scandali emersi poco più di un anno fa sarebbero sufficienti ad affossare l’iceberg che affondò il Titanic?

Com’è possibile che la squadra del Partito Democratico abbia ancora dei tifosi, dopo tutte le gare perse negli ultimi anni per forfait?

La politica non è sentimento dissennato. Non dovete avere il comportamento del cane che, abbandonato sull’autostrada, quando vede passare l’auto del suo padrone scodinzola e abbaia d’entusiasmo. Avete presente quando il vostro partner vi rassicura con convinzione ferrea di non tradirvi mai più, ma voi non ci credete, visto che è la stessa cosa promessavi le ultime tre volte, e allora lo lasciate? Ecco! Abbiate un po’ d’amor proprio e d’autocoscienza! Sperimentate il peso e l’orgoglio di essere cittadini fautori della realtà nella quale vivete! Riconoscete le colpe a chi se le merita, anche a voi stessi.

Agli altri non importa in quale stadio preferite trascorrere la domenica pomeriggio, invece vi sconcerterà scoprire quanto la vostra preferenza di voto abbia ripercussioni su ogni altra persona di questo paese.

I politici non sono da amare, ma da valutare. Se proprio volete vivere la politica come il calcio, almeno leggete i quotidiani tanto quanto leggete la Gazzetta.

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BelColpo, Belgesto!

febbraio 2, 2013 in Musica

Bravo, Belgesto, bravo.

L’hai fatta sotto il naso a tutti quanti, complimenti. Ma ora, sul serio, direi che può bastare. Il messaggio è stato recepito e tu, dopo anni faticosi come questi, potrai finalmente ritirarti.

Perché, fin dall’inizio, era questo il tuo piano, vero?

Il guaio sarà comunicarlo ai tuoi fans, poveri creduloni. Come farai a dire a tutte queste persone con le orecchie guaste, così sentitamente impegnate nella costruzione del tuo brescianissimo mito,  che si è trattato solo di uno scherzo, di una burla meta-artistica, di un modo per costringere la società a guardarsi dentro?

Progetto impressionante, lo ammetto.

Da parte sua, il buon Alberto Belgesto, ha contribuito, attraverso una serie di semplici e abili mosse, a creare il proprio personaggio.

Nato dai fiati, in questo caso clarinetto e sax, è passato attraverso una band di stampo blues. Ma era solo una copertura, un tono datosi per necessità. In realtà, già ai tempi, il nostro –meglio il vostro, facciamo il loro, così non si lamenta nessuno- preparava le fondamenta del presente, scrivendo tonnellate di canzoncine per chitarra e voce, soprattutto durante la sua chitarristica permanenza nei Belgesto (già, non si chiama davvero “Belgesto”).

Si diceva che il 2000 sarebbe stato l’anno dell’apocalisse, l’anno del tanto temuto Y2K bug –Millennium bug, se preferite-. Le profezie si sono rivelate deliri di folli paranoici e nulla più. Qualcosa però è successo (forse le profezie in questione avevano carattere sibillino?), infatti, proprio in quel periodo, Belgesto ha firmato delle legali scartoffie insieme alla Sony Music Publishing pubblicando il suo primo album: Non è successo niente –“Invece, ahinoi, qualcosa è successo.” (Cit. La Musica)-.

A seguito dell’uscita del primo cd, alcune emittenti radiotelevisive, tra le quali niente meno che Radio Deejay, Mtv e Radio Italia si sono solertemente prestate a sostenere il disco. Lo stesso Alberto Belgesto è stato ospite a Radio Deejay, su YouTube sono presenti degli estratti niente male, dove s’è anche goffamente esibito in diretta munito di voce incerta e zanzarescamente imprecisa (l’emozione?).

Che dire del suo primo lavoro? Una sequenza impietosa di testi ingenui –non saprei nemmeno selezionare un estratto, basta prendere un punto a caso di una strofa qualsiasi- interpretati con timbrica d’uno spessore ai minimi storici, calante per costituzione, a sua volta sorretta da motivetti trascurabili. Ma, forse, era l’età, o forse no.

Può darsi che il mio giudizio a riguardo sia troppo severo e che io ragioni da classico ‘musical snob’. Ad onor di cronaca, riporterò uno dei due commenti lasciati dai fans sotto il video del brano “Seta” su YouTube: “mi ricordo quella sera a maglioni marroni…questo è uno dei dischi piu’ belli mai fatti in italiaoriginalita’…. bravo davvero…. ti aspettiamo belge”.

Di lui, nel frattempo, s’è detto (parola di Daniele Ardenghi direttamente dal  sito www.giornalediBrescia.it in data 6 giugno 2011): cantautore di talento, mecenate (questo sì, la sua Latteria Artigianale Molloy ha fatto molto), musicista –qui la specifica ‘di talento’ risulta assente- e, finanche, guru –lo Zeus del pantheon musicale bresciano, e che saette … -.

Due album successivi, “Fantasma” e “Lontano dai robot” lo sdoganano a livello internazionale, almeno secondo i suoi ammiratori che lo accostano ai The Beatles. Tant’è vero che, nel suo profilo Facebook, il brano “L’idea del bene” (contenuto in “Lontano dai robot”), viene così commentato: “La tua Eleanor Rigby” da tale, guardate un po’, Daniele Thoc Ardenghi.

Eleanor Rigby 

Eleanor Rigby picks up the rice in the church where a wedding has been

Lives in a dream

Waits at the window, wearing the face that she keeps in a jar by the door

Who is it for?

L’idea del bene

Le mie energie, le mie emozioni

I sentimenti che ho

Amico mio ti chiedi mai

La fine che faremo noi?

Immagine

PARAGONABILISSIME, anche musicalmente. Spero che Paul McCartney venga a farsi giustizia.

Effettivamente, rispetto al primo album, si nota una certa evoluzione musicale. Le melodie sono più ricercate, più costruite. Purtroppo voce e testi rimangono qualitativamente pressoché invariati, dopotutto quella è roba sua.

A questo punto, è necessario aprire una parentesi sulla voce di Belgesto. Una timbrica tanto edulcorata, sarà tutta farina del suo sacco, oppure è una manifestazione del miracolo discografico? Ascoltando qualche esibizione live (cosa fondamentale per farsi un’idea su un cantautore), la risposta appare evidente. Non solo le sue performance dal vivo sono infarcite, come lui stesso ammette esibendo una certa modestia – … “ti ringrazio, ma x Belgesto la parola “impeccabile” non esiste. Le sue 30 o 40 toppate ce le ficca sempre dentro in qualche modo : ) è la sua caratteristica”-, di stonature , ma sembra che Alberto canti attraverso un citofono mal funzionante.

Io mi capacito di molte cose. Comprendo perfettamente che Alberto Belgesto possa avere, seppur in piccolo, un certo seguito. Tutto merito della “Sindrome da fast food emotivo” che, ormai, ha contagiato le masse dei consumatori: esiste una grossa fetta di società che pretende dal prodotto artistico un’immediatezza di contenuti e di forme adatta a estrapolare dalla fruizione quel poco di cui si ha bisogno, senza dover ricorrere ad alcun tipo di rielaborazione o di conoscenza. Nanni Moretti direbbe: “ve lo meritate Alberto Sordi”. Il mio discorso non riguarda ciò che è arte e ciò che non lo è, sia chiaro. Dico solo che esistono artisti migliori di altri e, forse (ammesso che io abbia capito come dovrebbero funzionare le cose), i migliori meriterebbero di avere qualche opportunità per primi. Qualcuno arriccerà il naso, probabilmente, vedendo parole come “migliore” e “peggiore” accostate alla figura dell’artista, perciò metto le mani avanti. La logica del “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace” va superata, una volta per tutte. Rassegniamoci all’idea “è bello quel che è bello, ma piace ciò che piace”. Un prodotto artistico non diminuisce il suo valore, anche se voi lo trovate orribile. Allo stesso modo, non ne acquista, se lo trovate meraviglioso. Il gusto estetico va sviluppato, non confuso con le farfalle che si agitano in pancia.

Per questo motivo, in un ambiente strabordante di persone non solo valide ma anche artefici di prodotti validi, si decide di sponsorizzare, a danno della qualità, chi meglio va incontro a questi bisogni delle masse. Tra i molti scartati, qui nel bresciano, hanno sponsorizzato Badgesto. Tra sciami di ignorati, sulla vasta superficie del mondo, sono emersi Justin Bieber e i One Direction (non è certo colpa dei produttori se loro hanno già venduto più dischi di Jimi Hendrix, giusto per far riferimento a uno che è comunque tra i più noti di sempre. In fondo, le case discografiche lavorano per pagarsi beni di lusso in posti di lusso, non certo per una causa estetica superiore). Non dico: “i vari Belgesto no”, non ne ho certo il diritto. Dico soltanto: “perché Lui / Loro sì?”.

Ed era proprio questo che volevi farci capire, Alberto, nevvero?

Ottimo lavoro. Hai reso palese nel microcosmo bresciano l’andazzo dell’intero mondo.

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