Alle ragazze del mare piace nascondersi
luglio 17, 2018 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Fossi stato un marinaio sulla nave di Odisseo, in prossimità degli scogli dove cantano le sirene, le ragazze del mare, non gli avrei obbedito, non l’avrei lasciato riempirmi di cera gli orecchi.
Il loro canto era ben più ricco e armonioso delle brevi banali parole che Odisseo racconta al re dei Feaci: era un canto così profondo che Odisseo lo nasconde.
Io avrei nuotato verso quegli scogli di morte, perchè la vita non vale il sentire quel canto. E poi tutti noi marinai avevamo il sospetto che non avremmo visto il ritorno: infatti giorni dopo il fulmine di Zeus sbalzò i miei compagni nel mare dove sembravano “cornacchie marine intorno alla nave nera”.
Intorno al mito delle sirene, esseri alati o figure marine (ma quali figure marine?) muove il libro del filosofo Emanuele Coco, Dal cosmo al mare. La naturalizzazione del mito e la funzione filosofica: sirene, natura, psiche, ed. Olscki.
Davanti alle sirene si vede nitidamente il conflitto istinto-ragione, mito e razionalità, i marinai pronti a gettarsi in acqua, il super eroe Odisseo che controlla il suo desiderio di conoscere.
Coco riprende ciò che avvenne intorno alle sirene a partire dal Settecento, lo sforzo di naturalizzare e sistemare il sapere in un determinismo universale che incontra le indecifrabili ragazze del mare. Il positivista- osserva Coco – sforza lo scrigno del mito, lo apre e non vi trova niente. L’indagine razionale non sapeva risolvere il problema delle sirene. Navigatori e pirati, a partire da Colombo, le avevano descritte: uomini/donne del mare che apparivano all’improvviso, contemplavano la polena della nave, non si lasciavano colpire dall’arpione.
Erano forse l’anello mancante tra il pesce e l’uomo?
Buffon, il fondatore della scienza naturalistica francese le identificava con il lamantino e le descriveva in modo grottesco: la vulva molto grande con un clitoride appariscente (…) situato al di sotto dell’ano, mammelle sempre visibili per via dei loro capezzoli, e concludeva l’incubo chiamando mucca marina il povero lamantino. Le sirene mucche marine?
Dal Settecento la ragione ha deciso che il mito, con i suoi enigmi non serve a niente, nel miglior caso è il pensiero primitivo.
Solo Schelling e Cassirer hanno compreso altro. Il primo ha capito che il mito non è allegoria, è oggettivo perché prodotto dalla coscienza, è reale come la natura, “significa esattamente ciò che dice”. Cassirer ricorda che dal mito germogliano e si distinguono tutte le altre espressioni dello spirito umano. La filosofia va alle origini e ce lo trova, il mito è una particolare specie di realtà.
Coco va oltre e mette in primo piano il contesto in cui il mito è applicato.
Il mito non spiega il mondo fisico, esteriore del soggetto, ciò che rappresenta è la parte nascosta della mente, il mito riferisce in modo obiettivo la realtà interiore, emotiva, inconscia. Le sue storie ridicole e infami, come incesti e metamorfosi, appaiono irrazionali perché il suo linguaggio è arcaico, i suoi simboli hanno viaggiato nei millenni. L’oggettività del mito risiede nel principio unificante delle sue eterogeneità: l’amore, il desiderio, la felicità, l’emozione.
Il mito è il contatto tra la ragione e le parti irrazionali del nostro sentire.
Si può pensare che a questo punto Coco sia arrivato alla psicoanalisi, in particolare a Jung.
Non è così, si sbaglierebbe a trasformare l’antica voce in un archetipo moderno, solo perché non capendola le applichiamo strumenti moderni. Essa invece è la natura che genera, vive e produce senza pensare. L’aveva capito Eraclito quando portò la sua opera al tempio di Artemide ad Efeso, si intitolava: La natura ama nascondersi.