A cinquant’anni Brescia si guarda allo specchio
ottobre 7, 2022 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Il libro di Luciano Fausti, Società Lavoro Diritti, Brescia e il suo territorio nel secondo Novecento, Gam editore, che si presenterà domani 8 ottobre in Broletto alle ore 17.30 nella sede della Fondazione Trebeschi, è un lavoro unico nel cospicuo baule delle pubblicazioni bresciane.
E’ infatti l’unico che affronta e riesce in 500 pagine a descrivere per intero il secondo Novecento in tutti i suoi aspetti, dall’agricoltura all’urbanistica passando per demografia, scolarizzazione, condizione della donna, scontri politici, mondo operaio e sindacale, consumi e spreco, rapporti sociali, abitudini, e quanto pensiamo affondato nella polvere della cronaca e nello sfollarsi della storia. Un’ampiezza e un rigore che lo rendono esaustivo per quanto può esserlo ogni ricerca scientifica.
Un lavoro chiaro e leggibilissimo anche se condotto con quell’acribia che porta a estrarre solo una riga da migliaia di documenti, saggi, giornali, interviste a testimoni dei fatti, a produrre le tabelle necessarie seguendo la bussola di conoscere, non di giudicare. Nei capitoli, quando un tema scivola in un altro che lo completa, l’autore avverte con una riga in grassetto.
Ci sono diversi modi di leggere un documento, scripta volant, ma la correlazione coi fatti resta il metodo più sicuro ed è qui seguito fino in fondo. Una storia dal “basso”? No, una storia obiettiva, per quanto è possibile in ogni disciplina.
Davanti a queste pagine, la prima impressione è un inatteso e violento stupore.
Il lettore anziano vi si riconosce, sente muovere le rughe del suo volto e affonda in ricordi sopiti, suggestioni emotive: C’ero anch’io: la fabbrica e gli scioperi, la nascita di nuovi quartieri costruiti non caoticamente ai margini della città, ma per individuazione di un’area seguendo il genio di padre Marcolini. Sono gli anni che hanno portato la scuola media unica e il welfare, il divorzio e l’aborto, in cui è crollato l’analfabetismo. C’era una città buia che andava a dormire alle 10 di sera mentre oggi i suoi giovani riempiono la notte, un luogo citato per la sua ignoranza diventa città d’arte col recupero di Santa Giulia dovuta alla costante determinazione di Vasco Frati, l’unità sindacale, le sue lotte all’avanguardia in Italia, le 150 ore perché gli operai potessero accedere alla cultura, l’unità sindacale, lo Statuto dei lavoratori, la riduzione dell’orario di lavoro, le casalinghe sfruttate fino al lavoro a domicilio, mentre ora le donne hanno ruoli d’avanguardia, sono la maggioranza dei laureati, il pullulare delle università, il Carmine non più luogo di prostituzione e droga ma esempio di melting pop nel centro cittadino. Ho comprato un nuovo giornale “Bresciaoggi”, alternativo al “Giornale di Brescia”, ero felice per i più corretti rapporti con l’impresa, per le assemblee, per le minigonne, per la spavalderia delle contestazioni. Ridevo del lamento dei padroni che mettevano gli occhiali neri per nascondere il boom economico e la piena occupazione, i primi fermenti che nascevano sotto quel lenzuolo, il Sessantotto e l’autunno caldo.
Di strada di abbiamo fatta, di polenta ne abbiamo mangiata.
Naturalmente molto si è anche perso, la mente entra in nostalgia: Ho visto gli strilloni per le strade e ora vedo la fine delle edicole e dei cinematografi, la fine della lotta di classe, i capelloni spernacchiati, i licinsì, l’osteria e il negozio sotto casa travolto dai non luoghi dei centri commerciali, sento parlare in un facsimile del vecchio dialetto col partito della Lega. Sono arrivate le televisioni private con la violenza della loro pubblicità. Ho sentito cadere il potere della Chiesa che guidava e raddrizzava la Democrazia cristiana che poi si sciolse come gli altri partiti, la nascita del neofascismo, la bomba di piazza Loggia e i suoi otto morti e oltre cento feriti.
Poi lo specchio manda un volto deformato: Ho visto la Brescia politica regredire negli anni Novanta: in quattro anni 2 elezioni, 3 sindaci, 2 commissari prefettizi, veti incrociati, ne ho letto il commento che ne fece lo storico più eclettico e vasto scrittore di città e provincia, dinamico fondatore di istituzioni, don Antonio Fappani: “Ormai la corsa alla correntizzazioni diventava un freno e già preludeva a quello che 10 anni dopo diventerà il dissolvimento della Dc rivelatosi storicamente più somma di indirizzi politici diversi che organico partito”.
Furono le correnti, la forza di “Mani pulite”, ma anche un tempo nuovo che si spandeva nel mondo, indecifrabile al momento, lo tsunami del neoliberismo.
Unita allo stupore dell’anziano è la meraviglia del lettore giovane: Quanta strada in soli cinquant’anni, come eravamo e come siamo adesso? Come siamo diventati con l’irruzione del computer, di internet, dei cellulari, dell’intelligenza artificiale? Un matrimonio, una rivoluzione, una truffa possono cominciare dai social e dalle e-mail, a infinte distanze ci si vede e ci si parla. Siamo un’altra razza. Siamo nella globalizzazione, “non esiste la società ma l’individuo” diceva la Thatcher, diversamente la pensava Leopardi. Che c’è oggi di male? Il lavoro è individuale e precario, più che un titolo di studio l’azienda pretende l’inglese e l’accettazione di un addestramento veloce, la capacità di muoversi nel computer per cui già un cinquantenne risulta obsoleto rispetto a un nato digitale che lo può sostituire, un sms per tenersi in contatto, anche per licenziare: l’addestramento una volta era limitato a cani e cavalli, la rottamazione ad oggetti. Ma l’identità si rafforza col tatoo, ogni settimana la tecnologia sforna una novità, ogni settore, a partire dalla scuola (il tempio del sapere?), prende la forma di un’azienda. Con gli strumenti di oggi possiamo già risolvere i problemi del clima. Abbiamo guadagnato il mondo, viviamo di corsa nel tempo e nello spazio, è bello.
Ma queste osservazioni mi trascinano oltre il saggio di Fausti.
Oltre alla completezza, l’elemento perturbante nel saggio di Fausti è la velocità dei cambiamenti. Dalla città distrutta si vola al computer, dalla lotta di classe alla frammentazione del lavoro, dal primo voto delle donne all’individualismo e alla precarietà. Cinquant’anni sono stati un’immensa curva di Gauss che ora ha toccato la fine. Il futuro è la vera curiosità.
di Mario Baldoli