La signorina Felicita, Nonna Speranza e la nuova Italia
dicembre 28, 2024 in Approfondimenti, Recensioni da Paolo Merini
Osservavo. Un magnifico mobilio dell’Impero, a fasce lilla e gialle, due canterani a mezzaluna di legno intarsiato, desiderabilissimi, alcune tele di pregio; e tutte queste cose profanate dai soprammobili di mezzo secolo di cattivo gusto; fiori e frutti sotto campane, uccelli imbalsamati. Tutti gli arredi indispensabili dei salotti atroci. Miniature, dagherrotipi…
E’ impossibile non riconoscere l’autore di questo brano. Lo conoscevamo come poeta, ma Guido Gozzano fu anche scrittore di racconti e si trova nella collana Capolavori ritrovati dell’editore Capricorno che propone le opere prime o dimenticate di scrittori che abbiamo letto a scuola, riposte in un angolo e tornate nel lampo del passato. Il titolo del libro è infatti L’altare del passato, con una “lettura” di Giorgio Ballabio e la breve presentazione dell’editore.
Capricorno ha scelto 11 racconti di questo giovane canavese, innamorato della Torino sabauda, viaggiatore fino all’India per curare la tubercolosi, morto a 32 anni, nel 1916, poeta di classici come La signorina Felicita, ovvero la Felicità e L’amica di nonna Speranza. Ovvio che Felicità e Speranza non sono scelte a caso, sono allegorie.
Uno scrittore anticonformista che evita il corridoio delle correnti, C’è chi vede in lui il crepuscolare, l’antidannunziano, il decadente, il liberty. È avvolto in una scrittura garbata, a voce bassa quasi fosse un pallido gioco. Gozzano snervato e frivolo? Invece, come scrisse Borgese “un piccolo Leopardi” e Amalia Guglielminetti, fra le tante che ebbero una relazione con lui: “un pessimista senza tristezza”. Giorgio Manganelli, dopo aver giudicato la sua lettura oscura, irrequieta, instabile, conclude: la sua semplicità è complessa; Edoardo Sanguineti lo chiama “un rivoluzionario dall’ironia feroce”.
Ma non c’è solo la poetica: il mondo di Gozzano è un piemontesismo legato alla Francia e al dialetto locale:
La bèla Madamin la volo maridé
Al Duca de Sassonia i so la volo dé.
La canzone popolare si allunga in una storia bella in superficie, crudele sottobanco.
I racconti sono in prima persona, uno inizia: Ho composto molto prima di Gabriele D’annunzio un Mistero di san Sebastiano, ma per capire di che mistero si tratta bisogna entrare nella vita di Gozzano, uno scioperato (anche nel racconto), regolarmente bocciato a scuola, saldo componente de “l’allegra brigata”. Forse pentito?
Quello del ricordo che fugge, l’odore delle vecchie case fatiscenti, di cose solide di pessimo gusto, di donne e uomini che precipitano dal piedestallo alla solitudine, alla miseria chiedono una spiegazione cominciando da ciò che non è.
Gozzano non cede alle bellone perverse dell’erotismo dannunziano. Né al Pascoli funebre e ai decadenti francesi.
Gozzano ci parla invece della Signorina Felicita:
Sei quasi brutta, priva di lusinga
Nelle tue vesti quasi campagnole,
ma i bei capelli di color del sole,
attorti in minutissime trecciuole,
ti fanno un tipo di beltà fiamminga…
E rivedo la tua bocca vermiglia
Così larga nel ridere e nel bere,
e il volto quadro, senza sopracciglia…
Poi gli occhi fermi di un azzurro di stoviglia.
Ma la sua fuga nel passato, oltre che sarcastica, è una scelta intima. Cosa c’è dietro il suo insistito piemontesismo e la nostalgia del passato?
Credo ci sia un giudizio politico: lo scetticismo (o il fastidio?) per un’Italia quasi brutta, priva di lusinga, così larga nel ridere e nel bere.
Non è un caso nemmeno che nei suoi racconti (alcuni ambientati in luoghi esotici) non ci sia nemmeno un bacio, piuttosto un equivoco, un’Italia volgarotta verso la quale c’è un innamoramento incompiuto.
Gli fanno compagnia un ligure piemontizzato Edmondo De Amicis, l’autore del best seller mondiale Cuore (1886), che passava le vacanze a Pinerolo a Villa Graziosa, strana analogia con la Villa Amarena di Gozzano, ambedue pubblicati da Treves. Lo accompagna il toscano Carlo Collodi, autore dell’altro best seller mondiale Le avventure di Pinocchio (1883). Libri dai quali emerge in allegoria l’Italia nel suo incerto e doloroso farsi.