L’umanesimo anarchico di Albert Camus
novembre 15, 2023 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Nel 1960 moriva in un incidente d’auto Albert Camus, lo scrittore e drammaturgo francese più significativo e problematico del secondo Novecento, premio Nobel nel 1957 “per aver saputo esprimere i problemi che oggi si impongono alla coscienza umana”.
Tra i rottami dell’auto, la figlia aveva trovato un romanzo ancora in via di ordine e sistemazione, ne ha ricomposto pagine e frammenti. Gallimard l’ha pubblicato nel 1994 col titolo Il primo uomo, arrivato ora alla seconda ristampa, trad. Ettore Capriolo, Bompiani editore.
E’ un’autobiografia in terza persona, un romanzo di formazione e insieme un giudizio politico. Nell’interpretazione di Sarra Ghira, docente universitaria e caporedattore di “Orient XXI” che ne scrive criticamente nel saggio Questione algerina. Sfatare il mito di Camus, l’opera è nella sua struttura, una tragedia di forte potenza simbolica,
Come per tutti i grandi scrittori, l’interpretazione della vita e dell’opera di Camus resta contraddittoria. Filosoficamente esistenzialista sono Il mito di Sisifo (1942): la vita non ha senso, e indagatore dell’assurdo Lo straniero (1941): il distacco tra l’uomo e la natura.
Dalle sue opere trassero film Luchino Visconti e Gianni Amelio. Camus è uomo di sinistra: è uno dei capi della Resistenza contro i nazisti, condanna, con Einstein, l’uso della bomba atomica, ma lucidamente condanna anche il comunismo sovietico schierandosi contro la repressione nella Germania Est (1953), anticipando la critica al totalitarismo, critica che arricchisce con elementi umanistici e anarchici in La peste (1947) e nel dramma I giusti (1949).
Gli rispose l’amico Sartre (le loro opere spesso si scontrano) con Le mani sporche (1948) e Le parole (1964) sostenendo la necessità di lavorare con il partito comunista, in contrapposizione all’imperialismo americano dominante e prevedendo che senza partito comunista “la classe operaia sarebbe andata in fumo”. Sartre restò legato al marxismo e al comunismo anche quando Kruscev denunciò le crudeltà di Stalin, avvicinandosi poi a Fidel Castro, e infine a Mao e partecipando al Sessantotto.
Ma la rottura definitiva dell’amicizia con Camus si era consumata già negli anni Cinquanta al tempo della lotta per l’indipendenza dell’Algeria.
In quegli anni Camus si scontrò con gli intellettuali della sinistra francese che lo accusarono anche di essere reazionario quando comparve il saggio L’uomo in rivolta (1951): un uomo in rivolta è un uomo che dice no, ma se rifiuta non rinuncia.
Il dibattito della sinistra in Francia era allora furente e continuo.
Io credo che i giudizi critici su Camus siano validi solo spezzando in frammenti il suo pensiero con un’operazione ideologica.
L’elemento da cui partire per capirlo (non ha bisogno di giustificazioni) è la sua nascita in Algeria da una famiglia lì emigrata come tante da tutta Europa per fuggire Hitler, la guerra e la miseria (ciò non richiama, pur in tempi diversi, l’infanzia di Ungaretti?).
Il padre, richiamato in Francia a combattere nella Grande guerra, muore in una battaglia sulla Marna quando lui ha un anno. La nonna diventa il capofamiglia, autoritaria, severa, analfabeta. La famiglia è poverissima: una vita che amavamo per un istinto animale, sapendo già per esperienza che partorisce regolarmente disgrazie senza nemmeno aver dato segno di esserne gravida.
I francesi d’Algeria muoiono falciati dalle epidemie, dal clima, dal lavoro, dalle bande armate, dai ladri di bestiame. Dei morti dice la nonna: Così non scorreggerà più, lei sa bene che di loro non resta nulla.
Scrive Camus: La povertà è come la morte (…) La memoria dei poveri è sempre più denutrita di quella dei ricchi, hanno meno punti di riferimento sia nello spazio perché lasciano di rado il luogo in cui vivono, sia nel tempo di una vita grigia e uniforme. Per i poveri restano solo le orme vaghe del cammino della morte. Il tempo è recuperabile solo dai ricchi.
Ragazzo, Camus, per intervento del maestro delle elementari presso la famiglia, ottiene di iscriversi al liceo, d’estate lavora, infine la Resistenza, il Maquis, di cui è uno dei capi. Quest’ultimo libro – si ricordi, non rivisto dall’autore – esplicita la sua visione del problema algerino e il suo punto d’arrivo filosofico.
Camus auspica, ormai fuori tempo, una soluzione senza guerra tra i due Paesi, la possibilità, ad esempio, di una federazione con la Francia. Non andò così: La guerra è una brutta nuvola, gravida di oscure minacce, non si poteva impedirle di invadere il cielo così come non si potevano impedire l’arrivo delle cavallette e gli uragani devastatori che si abbattevano sugli altopiani algerini.
Il Fronte di liberazione nazionale dell’Algeria combatté la Francia dal 1954 al 1962, avendo, secondo certe stime, un milione di morti. Su questa guerra si deve assolutamente vedere il film di Gillo Pontecorvo, La battaglia di Algeri.
Mentre gli intellettuali francesi si schierano a favore dell’indipendenza dell’Algeria, Camus osa una posizione contraria: i francesi d’Algeria sono poveri come gli arabi, non sono complici del sistema coloniale che opprime e sfrutta la popolazione locale. La realtà non corrisponde agli articoli scritti in una comoda redazione. La miseria è la patria comune dove tutte le strade convergono e convivono: reietti, mendicanti, emarginati, tutti quelli che non hanno avuto fortuna da nessuna parte. Sembra parlare di sé quando scrive: senza sostegni, su una riva felice e sotto la luce delle prime mattine del mondo, per affrontare poi da solo, senza ricordi e senza fede, il mondo degli uomini e del suo tempo, la propria storia orrenda ed esaltante. La luce, il sole, il mare sono l’amore che lo lega al passato algerino.
E’ evidente che Camus da esso non vuole distaccarsi, accetta piuttosto d’esser chiamato “reazionario”. La discussione si svolgeva sulla rivista di filosofia “Les temps modernes”.
Il suo amico Senac gli ricorda che è troppo attaccato a un’epoca superata e ha adottato un conservatorismo senza speranza: Lo vedi da solo che la corda si sta spezzando, eppure continui a tirare lo stesso. E’ ovunque l’età della decolonizzazione. Sartre lo incalza: ormai sei diventato un borghese benestante, non è il caso che continui a revocare un’antica povertà.
Questo suo ultimo libro mostra che se Camus “ha saputo esprimere i problemi che oggi si impongono alla coscienza umana”, li ha espressi al contrario, navigando dal presente al passato, con la potenza di un umanesimo anarchico di cui ancora oggi sentiamo la mancanza.
di Mario Baldoli