“Di lontano conobbi il tremolar de la marina”
ottobre 24, 2020 in Letteratura, Recensioni da Viola Allegri
La Commedia di Dante, il Decameron di Boccaccio sono poemi acquorei, lo si comprende facilmente, semplicemente amando il mare.
Il pellegrino Dante è innanzitutto un marinaio che impara, navigando, a diventare “esperto” delle acque e dei loro pericoli. Forse è un diverso Ulisse.
E’ un’interpretazione della Commedia che credo sia nuova per la tradizione e per la scuola italiana. Infatti è sviluppata da Roberta Morosini, insegnante alla Wake Forest University (North Carolina), Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio, Viella ed.
Il suo saggio ha il fascino della curiosità che sentiamo quando si allargano i confini di sedimentate convinzioni, e il mare ci incalza tra le oscurità dell’Inferno e le luci del Paradiso.
Incontriamo le onde nella prima similitudine del I canto dell’Inferno: è lo scorcio di un naufrago che è appena sfuggito “con lena affannata” alla burrasca:
si volge a l’acqua perigliosa e guata.
Può essere che Manzoni lo sentisse ruotare nella mente.
Il I verso del Purgatorio è una brezza invitante:
Per correr migliori acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar si crudele.
Il Paradiso è infine l’approdo cui Dante arriva su un legno:
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar dell’essere…
In breve, il suo percorso è una rotta marina, è sempre una “traversata”.
La seconda novità è che l’autrice sceglie di non appoggiarsi a strumenti nautici, a favole mitologiche o bibliche, o a conoscenze esterne, ma ad un’analisi filologica del poema.
Conosciamo così che per Dante il Mediterraneo è “la maggior valle in che l’acqua si spande”, è lo spazio liquido contiguo all’oceano dove naufraga Ulisse che non aveva lo strumento per navigarlo.
Questo è il sentire di Dante che ben conosce le mappe del suo tempo, con in alto i disegni di Borea che soffia, a est Europa su Zeus-toro lanciato a Creta, a Ovest l’ignoto Oceano, a sud la piattezza del deserto e qua e là vari disegni tratti dalle letterature. Una cartografia fantasiosa che Dante sostituisce con realistica precisione. Delinea i confini tra Genova e Marsiglia, vede il fiume Magra tra Liguria e Toscana, l’Appennino, sa che Scilla e Cariddi non sono mostri, ma l’incontro ribollente di due mari.
Morosini chiarisce che ogni mappa rispecchia la nostra costruzione del mondo, infatti, posso aggiungere, non esiste una mappa perfetta: quella cilindrica di Mercatore, il primo grande cartografo, è una sfera circoscritta da un cilindro tangente all’equatore: comprime i paesi fra i tropici ed estende quelli a nord e a sud di essi così che l’Europa finisce grande come l’Africa (eurocentrismo per caso?); quella “politica” di Arno Peters, promossa dall’Onu per mostrare quanto maggiore è l’estensione dei Paesi compresi entro i tropici, presenta cospicui errori, notati da Simon Garfield, On the map, Profile Books, un libro che racconta di mappe oceaniche, di città, di isole, dalle origini a Google.
Dal suo mondo marino Dante invita a non seguirlo se temiamo il mare:
O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d’ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
Passa mezzo secolo e il mare torna protagonista con Boccaccio nelle Genealogie, nell’Amorosa Visione e nel Decameron. Boccaccio ha vissuto i primi anni a Napoli, quindi conosce l’onda, la luce, l’odore, il crosciare, il movimento dei mercanti, che infatti imparavano a memoria le sue novelle.
Identifica lo scrittore con un nocchiero su una barchetta spinta dal vento, la vita come una navigazione, uno spazio e un tempo da attraversare. Mezzo secolo però significa grandi cambiamenti e il mare di Boccaccio è del tutto realistico e umano: è teatro di azioni, passioni, ingiustizie, inganni, mercanti, pirati, donne rapite e vendute, schiavi. Il mare è lo spazio del lavoro e della scrittura, donne e uomini vi misurano la propria abilità a superarne le tempeste senza interventi divini, in lui godiamo la forza dell’onda e del vento che strepita.
Il suo perenne movimento ci mette a prova. Sul mare anche il mito è risibile: Europa in groppa a un toro significa per Boccaccio una nave con un toro per insegna, forse una polena.
Il mare annulla le misteriose foreste degli antichi cavalieri in cerca del Santo Graal e fermate per via da fanciulle in pericolo. Pampinea, la più “liquida” delle sette donne del Decameron, attira i tre giovani a lasciare Firenze appestata per un luogo dove potranno vedere i campi pieni di biade non altrimenti ondeggiare che il mare. E l’amata Fiammetta -dice – sale la mattina nella più eccelsa parte della mia casa, non altramente che li marinari, sopra la gabbia del loro legno saliti, speculano se scoglio o terra vicina scorgono.
Il Mediterraneo è il mare fra tre continenti, tante lingue, l’incontro e la cortesia, lo scontro e l’esclusione.
Si palesa anche il caso: Gostanza ama Martuccio Comito, la quale, udendo che morto era, per disperata sola si mette su una barca, la quale dal vento fu trasportata a Susa; ritruoval vivo in Tunisi, palesaglisi; e egli grande essendo col re per consigli dati, sposatala, ricco con lei in Lipari se ne torna. (V, 2, Emilia).
Diverso il mare di Petrarca, l’unico che ha effettivamente navigato. Dal mare Petrarca vede e identifica la terra, ma esso è per lui la metafora del conflitto interiore che lo accompagna nel suo Canzoniere, il Rerum vulgarium fragmenta.