Giancarlo Cavallo: un tributo in poesia

agosto 26, 2020 in Racconti e poesie, Recensioni da Gaetano Barbarisi

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26 – Tribute to the Twenty-six Dead Women. Reading

Giovedì 27 agosto 2020, alle ore 21.00, in replica giovedì 3 settembre, nel cortile-giardino di Casa della poesia, è in programma la lettura partecipata del poemetto 26 – tribute to the twenty-six dead women di Giancarlo Cavallo. L’opera, in corso di pubblicazione nella collana fatamorgana della Multimedia Edizioni, è dedicata alle 26 donne morte nel Mediterraneo e sbarcate a Salerno il 5 novembre 2017 e con esse a tutte le vittime della tragedia immane dell’immigrazione. Alcune persone del pubblico saranno invitate a leggere i testi che compongono il poemetto, in una partecipazione empatica e sentita di condivisione.

26.Tribute to the Twenty-Six Dead Women di Giancarlo Cavallo è un poemetto in versi, composto in memoria di una tra le più crude tragedie migratorie di cui il Mediterraneo è stato testimone negli ultimi anni. Evento particolarmente toccante per la giovanissima età delle vittime, 26 ragazze nigeriane tra i 14 e i 18 anni, alcune con un bambino in grembo.

Era il 5 novembre del 2017, quando la nave spagnola Cantabria approdò nel porto commerciale di Salerno, ponendo in salvo 436 migranti e consegnando, con loro, le salme delle 26 ragazze, annegate due giorni prima a largo delle coste libiche, dopo il naufragio di un gommone sul quale viaggiavano alla volta delle coste italiane. Al cimitero di Salerno si tenne una cerimonia interreligiosa durante la quale fu posta una rosa bianca su ogni bara, una rosa e una azzurra sui feretri delle donne incinte. Di due soltanto si conoscono i nomi, Shaka Marian e Osara Osato, che nella trasposizione lirica ritornano in alcuni dei passaggi più toccanti del poemetto di Cavallo. Dice l’autore: “Se una voce nel cuore della notte, tra veglia e sonno, ti ordina di scrivere, non puoi fare altro che obbedirle. Così, quasi di getto, sono nate le prime due parti e poi, in una specie di trance, sono arrivate le altre. A me non è rimasto che il montaggio e il lavoro di lima. Mi sono anche chiesto se fosse giusto che io, maschio, bianco, agiato, parlassi per loro, donne, nere, spinte dal bisogno ad affrontare un viaggio che comportava un rischio mortale. Ma credo che siano state loro, dopo due anni, quando il silenzio stava per richiudersi, come quel mare fatale, per sempre su di loro, ad avermelo chiesto. Quindi ho scritto per loro, che parlano per tutti noi, chiedendoci di restare umani”.

La scelta del poeta di assecondare quella voce è innanzitutto un gesto di grande valore etico e civile, un atto di condivisione e di memoria collettiva che, tuttavia, si manifesta nel linguaggio poetico, raffinato e colto, che il poeta ha maturato nel corso degli anni. Il poemetto si snoda lungo due assi paralleli che generano diverse sezioni testuali e si avvicendano in modo che l’uno diventi eco dell’altro, in un andamento che sin dall’inizio annuncia una possibile destinazione scenica, o almeno recitativa, che esplicitamente ne ha ispirato la costruzione. Del resto la poesia nasce e si sviluppa innanzitutto nella sua dimensione orale, la sua trascrizione è un approdo successivo, a posteriori, che si dà come una partitura musicale cui l’esecuzione darà vera vita o, appunto, come un canovaccio da mettere in scena. Sul primo asse, introdotto dal prologo, sono disposti cinque frammenti in prosa e cinque intermezzi, il cui materiale testuale è estratto dalla vasta rassegna stampa apparsa sul tragico evento, e trattato poeticamente alla stregua di un coro. I brani sono elaborati con la tecnica del cut up, cara al Dadaismo, poi ripresa da alcuni scrittori americani degli anni Sessanta come William Burroughs. Consiste nel tagliare un testo, mischiarne i vari frammenti e ricomporli così da ottenere un testo sostanzialmente nuovo. La strategia compositiva qui adoperata non è aleatoria, ma avviene con addizioni e sottrazioni in una tessitura ragionata e musicale della ripetizione, con il fine di amplificarne il senso e rimarcarne l’estraniazione che si riceve dalla nuova collocazione. In qualche modo è ciò che avviene nella decontestualizzazione dell’objet trouvè o nelle tecniche visive del pop. L’effetto finale è straordinario perché rende queste sequenze, apparentemente laterali, un unico bordone di fondo, alla stregua di un basso continuo su cui insiste la melodia, o l’improvvisazione di altre voci. A tratti fa da contrappunto alla voce principale perché ne insegue o ne anticipa il ritmo incessante, talvolta martellante e, naturalmente, il contenuto, che ora è solenne e raccolto come in un’orazione funebre, ora crudelmente vacuo, inconsistente e falso, come spesso finiscono per essere le nostre coscienze e il linguaggio dell’informazione, ripetitivo e caduco, destinato a spegnersi in poche ore.

12 poesie indissolubilmente legate l’una all’altra alternano i frammenti e gli intermezzi in cut up. Costituiscono il cuore pulsante dell’opera sin dalle prime composte: Ordino, che definisce l’orizzonte della narrazione, poi Rosario, ventisei preghiere per ognuna delle giovani donne e che di ognuna descrive i tratti comuni a tutte, i loro sogni, le attese, le miserie subite e i doni ricevuti. La voce narrante, quella di una delle ragazze o uno dei bambini che non ha mai visto la luce, si leva come un canto poeticissimo e struggente sopra la terra e il mare, sopra le storie di ognuna di loro e di ognuno di noi, trascinati emozionalmente dentro la loro sorte, da spettatori accidentali ad attori attenti e forse più consapevoli. La cifra poetica è quella che Giancarlo Cavallo ha trovato dentro di sé da tempo, una parola lucida ed emozionale, densa di rimandi e allusioni, in una sintesi estetica che è il risultato, da un lato, di un intenso lavoro di ricerca, dall’altro della capacità, non comune, di ascoltare il flusso interiore che ne è alla base. Il verso è breve e sincopato, si compie in modo armonico alla stregua di un’improvvisazione jazz, ma fende lo spazio con immagini distinte, a tutto tondo e perfettamente intellegibili, nonostante la luce onirica che a tratti avvolge la scena, come in Ho Fatto un Sogno: (…) e l’acqua a poco a poco/ inondava tutto il giardino/ e cominciava a salire/ a salire finché io/ ho iniziato a nuotare/ nuotavo e dormivo/ nuotavo e dormivo/ e continuavo a nuotare/ e non volevo svegliarmi più/ mai più nevermore/ mai più. Il ritmo è dato dall’uso sapiente delle figure di ripetizione, in prevalenza assonanze e allitterazioni, false rime e anafore, in un gioco di alternanze e inquadrature giustapposte, care ai poeti modernisti inglesi come Eliot e Auden. Leggiamo in Eppure (Black & White): Eppure le mie ossa sono bianche/ e bianchi risplendevano i miei denti/ bianco latte usciva dai miei seni/ bianca è la vecchiaia tra i capelli/ per quelle che la vedono arrivare/ bianca era la schiuma di quel mare/ bianche le nuvole ferme all’orizzonte/ bianco il mio occhio orbato della vita. La tensione progressivamente si stempera in Farfalle, un canto dolce ed etereo, dove la vita si trasforma in nuova vita, diventa parte del tutto. L’opera, infine, si chiude in Corale, invocazione laica levata agli elementi della natura, il mare, il vento, la sabbia del deserto, un appello alla voce dell’uomo affinché non taccia quel dolore, ne sia parte, lo trasformi.

Nei prossimi mesi sarà possibile ascoltare la lettura del testo dalla voce stessa dell’autore, accompagnato dal pubblico presente ai diversi reading che Casa della Poesia sta organizzando. La programmazione avrà inizio il 27 agosto 2020, in replica il 3 settembre, presso il cortile della stessa Casa della Poesia a Baronissi, in provincia di Salerno, poi si sposterà in altre città italiane. Per sfogliare il libro, illustrato, dovremo attendere il prossimo autunno, quando Multimedia Edizioni lo pubblicherà all’interno della collana Fatamorgana.

 

 

Giancarlo Cavallo. Cenni biografici

Ma alla fine la vera biografia dei poeti sono i loro versi, quello che lasciano all’occhio dei lettori e poco aggiunge sapere che Giancarlo Cavallo è nato nel 1955 a Salerno, che lì da sempre vive, che ha un unico amore e un unico figlio e che poco ha fatto in campo letterario: “Poema Robinson” (1982), “Lo stato dei luoghi” (1993), “Santa Maria de Alimundo” (1994), “Oltre le terre emerse” (1996), “Breviario dell’avventuriero” (2000), “Quadreria dell’Accademia e altre poesie” (Multimedia 2008); “La biblioteca in riva al mare” (2017, il saggio “Mappe dell’immaginario. Poesia visuale portoghese” (1987) ed anche alcuni racconti in antologie edite da Guida (NA) e da Laveglia (SA); la breve stagione della rivista “Percorsi. Laboratorio bimestrale” (di cui fu fondatore con Sergio Iagulli) e qualche collaborazione a riviste di poesia (tra l’altro alcune liriche sono apparse in traduzione spagnola sul numero 9 di “Sibila”, Siviglia 2002 e sul “Manual de instrucciones 3”, Madrid 2009) e di arti visive; un suo poema, Cantico delle terre perse, è inserito nell’antologia “SignorNò” (a cura di Marco Cinque e Phil Rushton, Roma 2010); alcune sue poesie sono presentate nel volume di Francesco Napoli “Poesia presente. In Italia dal 1975 al 2010”, Rimini 2011. Inoltre ha curato e tradotto in italiano i libri dello scrittore haitiano Paul Laraque “La sabbia dell’esilio” (Multimedia, Salerno 1994) e “André Breton ad Haiti” (1996), ha tradotto testi di Christiane Veschambre (in Rivista di Psicologia analitica, Milano 2004) ed ha partecipato agli Incontri Internazionali di Poesia di Napoli (1999), Amalfi (2000), Salerno (1997, 1998, 2000 e 2004) Baronissi (1996 e 2000), Sarajevo (2004 e 2008) e Eskişehir (2011), Desenzano del Garda (2019).

(http://www.casadellapoesia.org)

 

Da 26 – tribute to the twenty-six dead women

 

Ordino

Ordino alla mia bocca di parlare

ma le mani hanno già perso la presa

e il sale ha cancellato le parole

il vento del deserto innalza onde

che affondano la nave dei pensieri

quanto ho desiderato questo mare

quanto amaro ho inghiottito nel cammino

nutrendo di speranza il nuovo mondo.

 

Ordino alla mia bocca di parlare

ma nessuno può ascoltare il mio dolore

vita nella vita del mio ventre muta

in morte con la morte tra le onde

l’ultimo abbraccio è un sogno maledetto

ho pagato il mio obolo a un Caronte

che mi ha venduto morte a caro prezzo

e un cielo troppo azzurro e senza stelle.

 

Ordino alla mia bocca di parlare

ma la mia pelle brucia e si rifiuta

di trascinarsi ancora tra i relitti

più nera della notte è la mia vita

finita prima ancora di iniziare

insieme ad altre vite sciagurate

occhi sgranati su questo finale

scritte sull’acqua povere parole.

 

Triste e muto corallo la mia bocca

non ha saputo, no, non ha potuto…

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