Razzismo e criminalità
novembre 17, 2019 in Approfondimenti da Isabella Merzagora
Alcuni soci della Società Italiana di Criminologia, fra cui io come Presidente, hanno fondato circa un anno fa il gruppo Human Criminology inteso ad impegnarsi nella difesa dei diritti umani, tema che è già stato oggetto di recenti pubblicazioni scientifiche.
A dimostrazione dell’interesse nostro e di altri nostri colleghi, l’ultimo convegno nazionale della Società svoltosi una settimana orsono si è aperto con una sessione intitolata Diritti Umani a rischio.
Riferendoci alla costituzione della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, lo stesso gruppo ha inviato una lettera alla Senatrice Segre per manifestare la propria disponibilità a fornire ogni genere di contributo, essenzialmente di tipo scientifico, per il contrasto degli hate speeches e di ogni forma di discriminazione.
Non so se il ruolo dell’intellettuale abbia ancora un ruolo importante –sempre che lo abbia mai avuto-, anche se è certo che l’attuale discredito nei confronti degli “esperti” ha la stessa matrice di altre forme di colpevole irrazionalità.
Già in epoca di Weimar si denunciava la “malvagia pratica dei vaccini”[1] la quale diede poi luogo durante il nazismo alla Nuova Medicina Germanica, anch’essa intesa alla promozione delle teorie antivacciniste, e della “astromedicina”.
Quando taluni programmi televisivi mettono a confronto “un” esperto a favore dei vaccini e “un” antivaccinista, non stanno operando in modo ugualitario, perché dietro all’esperto c’è un’intera comunità scientifica. Un bambino colpito da morbillo perché non è stato vaccinato non è democrazia. La mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza ironizzava Isaac Asimov, e in generale se “uno vale uno”, a parte che allora nessuno vale più niente, ognuno può mettere il becco in qualsiasi argomento, e se non ne ha alcuna preparazione, che importa?
Feyerbend proponeva “metodi decisionali democratici” anche nell’accettazione o nel ripudio delle idee scientifiche, e addirittura “il voto di tutte le persone interessate” per decidere “la verità di convinzioni di base come la teoria dell’evoluzione o la teoria quantistica”[2]. Invece, con le parole di un illustre virologo: “La velocità della luce non si decide per alzata di mano […] Una palla di ferro gettata in mare andrebbe invariabilmente a fondo, anche se un referendum popolare stabilisse che il peso specifico del ferro è inferiore a quello dell’acqua. […] non avendo neppure l’idea della complessità delle cose e immaginandole semplicissime. Quando incontrano qualcuno che svela la loro profonda ignoranza, lo apostrofano come superbo, borioso, non rispettoso delle opinioni altrui, questo in una stupefacente rappresentazione mentale in cui chi studia una materia con anni di sacrificio è arrogante, mentre chi pensa di poterla capire dopo un quarto d’ora su Google è invece un esempio di umiltà”[3].
Tutto questo sarebbe già preoccupante se non fosse che, in epoca fascista e nazista, anche gli scienziati non hanno fatto bella figura.
Il Manifesto degli Scienziati Razzisti pubblicato nel 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali in Italia, aveva come primi firmatari 10 scienziati, la maggior parte professori universitari, a cui si accodarono entusiasticamente altri, per un totale di 1.800 fra scienziati, intellettuali, politici, giornalisti.
Fra le affermazioni più curiose contenute nel Manifesto: “La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa […]. Esiste ormai una pura ‘razza italiana’” (si ha il dubbio che si parli di bovini).
Come si sa, fra i frutti velenosi di queste idee ci furono le leggi razziali che inibirono agli ebrei una serie di attività, fra cui fra cui l’insegnamento e la pubblicazione di scritti. Si valuta che furono estromessi 173 insegnanti di scuola media superiore (e 5.600 studenti), 102 professori ordinari dell’università; vi fu l’ordine di espungere dai manuali i brani di autori ebrei, le citazioni, i riferimenti a pensatori di razza ebraica.
Tornando al Manifesto degli Scienziati Razzisti, qualora fossero rimasti dubbi, esso prosegue: “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. […] L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”. A proposito, un sondaggio sulle opinioni dei nostri connazionali in materia di razzismo e antisemitismo realizzato da IPSOS nel 2017 ci informa che il 41% degli italiani reputa che gli immigrati stiano rovinando le nostre tradizioni e la nostra cultura, percentuale che sale al 60% quando l’opinione è che la recente migrazione proveniente dai paesi islamici stia diventando una minaccia per la civiltà occidentale[1].
Gli scienziati, dicevamo, non hanno fatto bella figura; e i medici?
I medici furono particolarmente importanti per un’ideologia basata sull’igiene razziale, al punto che Lifton parla dello stato nazista come di una biocrazia.
Al principale Processo di Norimberga furono giudicate 24 persone considerate i più alti capi nazisti; non potevano aver fatto tutto da soli, tant’è che si resero necessari altri “processi secondari”, e fra questi il cosiddetto Processo ai medici contro 23 imputati (22 uomini e una donna), fra cui 20 medici, accusati di aver pianificato e realizzato l’uccisione sistematica della persone le cui vite erano “indegne di essere vissute” (unwertes Leben), cioè malati di mente e disabili, e di aver condotto esperimenti “scientifici” sugli internati nei campi di concentramento, ebrei e zingari in testa.
Il programma poi chiamato Aktion T4, dall’indirizzo della sede centrale del programma, il n. 4 della Tiegartenstrasse di Berlino, riguardò in un primo tempo lo sterminio dei bambini disabili.
Quindi si passò agli adulti, e le vittime adulte della sola prima fase del programma sono stimate da talune fonti in almeno 70.000; altri parlano di 94.000 pazienti affetti da disturbi mentali ammazzati, di cui 70.000 circa col gas e più di 20.000 morti per fame o uccisi attraverso la somministrazione di farmaci; altri ancora forniscono la cifra di 200.000 uccisi.
Alla base di molti (tutti?) i genocidi troviamo l’opinione che coloro che ci si accinge ad annientare siano una minaccia per la propria sopravvivenza, o, quantomeno, l’idea che le uccisioni di talune persone siano doverose. Questa convinzione serve non solo a tacitare la propria coscienza, ma addirittura a trasformare le atrocità commesse in azioni encomiabili.
I medici nazisti erano affetti da una sorta di presbiopia etica che li portava a vedere così lontano – il futuro radioso del Volk– da perdere di vista il bene del prossimo. Il dottor Arthur Guett spiega: “l’amore mal concepito per il prossimo deve sparire. E’ dovere supremo dello Stato […] garantire vita e mezzi di sussistenza solo alla parte in buona salute ed ereditariamente sana della popolazione, allo scopo di assicurare […] un popolo (Volk) ereditariamente sano e razzialmente puro per l’eternità” (niente meno). Joachim Mrugowsky, di fatto secondo in grado del settore medico delle SS, sostenne che slavi ed ebrei erano da considerarsi solo “vettori di malattie”, “parassiti”, “esseri nocivi”. Con suggestiva analogia gli armeni erano stati definiti dai turchi: “microbi tubercolotici”.
Orbene, chi, meglio dei medici, può liberarci dagli agenti del contagio? E non accadde solo per i nazisti.
Mehemed Resid, impegnato nel massacro degli Armeni, affermò: “Anche se sono un medico non posso ignorare la mia nazionalità. Vengo al mondo come Turco. La mia identità nazionale ha la precedenza su qualsiasi altra cosa. I traditori Armeni hanno trovato una nicchia nel seno della patria: sono pericolosi microbi. Il dovere di un dottore non è di distruggere questi microbi?”.
Se invece dello sterminio ci limitiamo alla sterilizzazione, in Svezia nel 1909 venne fondata la Società svedese per l’Igiene razziale, in cui una commissione era incaricata di classificare gli esseri umani in “tipo A” e “tipo B” per decidere chi poteva riprodursi e chi viceversa doveva essere sterilizzato; tra il 1935 e il 1996, anno in cui fu promulgata una legge che prevedeva il consenso dell’interessato, si calcola siano stati sterilizzati forzatamente circa 230.000 fra disabili, malati mentali, delinquenti, prostitute. In Danimarca la sterilizzazione coatta fu intrapresa nel 1929, ed ebbe 6.000 vittime; in Norvegia dal 1934, con 40.000 vittime; in Svizzera la sterilizzazione forzata restò in vigore dal 1928 al 1970. Negli Stati Uniti in venticinque Stati furono promulgate leggi che prevedevano la sterilizzazione obbligatoria dei “pazzi criminali” e di persone considerate geneticamente inferiori. D’altro canto Roosevelt, nel 1913, era stato chiaro, e con parole che ritroveremo molto somiglianti in Germania un paio di decenni dopo: “Un giorno comprenderemo che il dovere primario, il dovere ineludibile del buon cittadino, uomo o donna, è lasciare dietro di sé il proprio sangue nel mondo; e che non dobbiamo permettere il perdurare di cittadini di tipo sbagliato”.
Chiunque lo dica, e dovunque lo si dica, alla base c’è sempre la distinzione fra un “noi”, superiori e virtuosi, e un “gli altri”, inferiori e pericolosi.
Ecco, in una frase, l’essenza del razzismo, o appunto dello “altrismo”.
[1] E. Kurlander, I mostri di Hitler. La storia soprannaturale del Terzo Reich, Mondadori, Milano, 2018, p. 42.
[1] P. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano, 1979, p. 252.
(3) R. Burioni, La congiura dei somari. Perché la scienza non può essere democratica, Rizzoli, Milano, 2018.
[4] Scritto fornito da Cdec.