GLI “ATTI” DI LUCA: SAPERE TEOLOGICO ED ERUDIZIONE GRECO-ROMANA
settembre 22, 2019 in Approfondimenti da Pino Mongiello
Luca, autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli, è al centro di un serrato approfondimento condotto da Daniel Marguerat (Lo storico di Dio, Claudiana, pp. 420, Torino, 2019), esegeta e biblista, per ventiquattro anni docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Losanna. Per me, che non sono né teologo né biblista ma semplicemente un cercatore di senso per i miei quesiti su Dio, le pagine di questo libro si sono rivelate non solo utili ma anche avvincenti. Marguerat è uno specialista di Luca e del primo cristianesimo perché ne ha fatto oggetto dei suoi approfondimenti in altre sue opere. Questo libro, peraltro, mentre include capitoli già pubblicati tra il 2002 e il 2017, dà spazio anche ad interventi inediti, e il tutto è stato rivisto e amalgamato secondo una lettura coerente, con il supporto di una bibliografia aggiornata.
La domanda di fondo nei confronti di Luca, che accompagna l’intero saggio, è questa: “È possibile essere, allo stesso tempo, uno storico e un teologo”? Si tratta di una domanda dirimente perché, in effetti, Luca è il primo e unico autore che racconti la comunità cristiana nel suo sorgere e nel suo primo operare, e lo fa con gli strumenti collaudati degli storici di formazione greco-romana. Più propriamente – dice Marguerat – Luca parla della diffusione del Vangelo perché gli sta a cuore il crescere della Parola; sarà Eusebio di Cesarea, invece, il primo storico della Chiesa. L’autore degli Atti è sicuramente persona colta, è medico, quindi uomo di scienza; è l’unico tra gli evangelisti in grado di dissertare con scioltezza su tematiche di cultura greca e su cose afferenti il pensiero ebraico. Conosce molto bene la storia imperiale, gli itinerari geografici, le rotte marine e il linguaggio del mare. Lui stesso è un evangelista viaggiatore. Il suo raccontare si basa solo su cose di cui egli ha avuto esperienza diretta: lo dice lui stesso, dedicando il suo Vangelo a Teofilo, quando spiega il metodo da lui applicato nella stesura della sua opera. In che cosa si discosta Luca dalle regole greco-romane per una corretta storiografia? Nella individuazione del soggetto del suo racconto, in ciò tradendo la propria affiliazione alla cultura ebraica. Luca, infatti, narra le vicende di un “popolo” dal basso; inoltre non nasconde fin da subito la sua adesione alla Parola. La “storia” da lui raccontata è il “tempo che appartiene a Dio”. In altre parole, “è Dio che guida la storia”.
Il suo racconto delle origini cristiane non può non richiamare le origini della Creazione, come è scritta in Genesi. Ci si può chiedere se davvero Luca racconti sempre la realtà, o piuttosto non la idealizzi. A questo proposito, ci soccorre un quadro comparativo con situazioni e contesti non cristiani, così che possiamo riflettere meglio su asserzioni che potrebbero apparire eccessive. Come dare, per esempio, attendibilità alla “comunione dei beni” praticata dai primi cristiani? Si tratta di capire se la cosa sia realmente accaduta o se, invece, sottenda un’esortazione ai credenti perché rendano produttiva la propria fede in Cristo. In ugual modo ci si può chiedere se anche Platone, per la sua Repubblica ideale, ritenesse davvero di dover realizzare la stessa cosa. E così andrebbe verificata se sia veritiera l’asserzione di Strabone in merito a tale pratica presso il popolo degli Sciti. E in Palestina come si comportavano gli Esseni, stando agli scritti ritrovati a Qumran? È indubbio, comunque, che Luca sia sensibile alla dimensione sociale ed economica della fede.
Gli Atti ci presentano anche delle figure illuminanti: prima fra tutte, Paolo, l’apostolo delle genti, la cui presenza viene via via crescendo per quantità e qualità di racconto. Ne vien fuori un personaggio a tutto tondo, coraggioso, pronto a sostenere per il Cristo che egli annuncia anche il rifiuto di chi dovrebbe essergli più vicino. Non è difficile trovare nelle pagine degli Atti la storia di questo rifiuto e leggere, in parallelo, come un simile atteggiamento avesse colpito lo stesso Gesù. É emblematica la citazione di Isaia (6, 9-10) sull’indurimento del popolo, riportata nel testo degli Atti ( 28, 26-27).
Sempre in tema di parallelismi, non può sfuggire l’accostamento “Paolo – Socrate”, entrambi legati al dovere di coerenza nel testimoniare la verità, proprio ad Atene, dove si trova l’élite intellettuale che non sa e non vuole confrontarsi col Vangelo. Entrambi svolgono un insegnamento itinerante; entrambi sono accusati di annunciare divinità straniere; nei loro confronti sorge il sospetto che il loro insegnamento sia pericoloso. Marguerat dice che il discorso di Paolo “di Atti, 17, dà l’impressione di essere un dialogo socratico incompiuto”.
Mi rendo conto che le questioni sollevate in questo libro sono talmente numerose e tutte rilevanti che quanto è stato qui proposto non ne dà affatto giustizia. È impossibile proseguire per citazioni. Voglio solo concludere con il quesito che l’autore si pone a proposito di una assenza. Negli Atti di Luca non è narrata la morte di Paolo, del quale era stato allievo e compagno di viaggio e di evangelizzazione, e nemmeno c’è quella di Pietro. C’è quella di Stefano, che costituisce peraltro un forte pilastro nella costruzione del libro. Ma la morte di Paolo non c’è. Su tale assenza si fanno ipotesi, non ci sono certezze. Si può forse pensare che Luca non abbia voluto mettere il dito in una piaga, se si ricorre al lamento che Paolo aveva scritto nella seconda lettera a Timoteo (II Tim. 4,16): “Nella mia prima difesa nessuno ho trovato al mio fianco, ma tutti mi hanno abbandonato. Ciò non venga imputato”! O forse è da credere a Luca quando afferma, nel prologo al suo Vangelo, che egli racconta solo cose che ha potuto vedere. E alla morte di Paolo, vien da pensare, non era presente.