“Ore 15:17 – Attacco al treno” di Clint Eastwood
aprile 1, 2018 in Cinema, Recensioni da Marco Castelli
Ore 15:17 – Attacco al treno è un film difficile da inquadrare, una produzione che si muove – con flashback e flashforward – tra la narrazione di una vacanza ed il documentario, tra il romanzo di formazione ed il film d’azione.
Questa eterogeneità narrativa è però, più che il frutto di una sperimentazione cinematografica, il risultato di un lungometraggio che sembra esser stato girato solo per permettere a Clint Eastwood di ripetere le sue tesi sull’eroe americano di oggi: uomo comune, religioso, magari con desiderio di riscatto, che compiendo il suo dovere (militare) salva vite umane dal “nemico”.
L’intero film è infatti più teso retrospettivamente a dimostrare questa teoria piuttosto che a raccontare una tragedia evitata, e può quindi anche chiudersi con la mera riproposizione delle immagini originali delle celebrazioni del successo, senza che, ormai scolpiti i personaggi, sia necessario per il regista aggiungere nient’altro.
È però proprio questa “formula magica” dell’eroe che rende troppo scontata la pellicola. Se infatti in American Sniper un modello uguale, allo stesso modo religioso, allo stesso modo militare, aveva potuto essere anzitutto un uomo capace di emozionare, ciò era dovuto al suo essere messo in dubbio, al suo essere un personaggio che vive le difficoltà del presente davanti alle quali sembra non essere all’altezza, al suo essere una persona che fa percepire un travaglio interiore che è più profondo delle memorie delle azioni belliche.
I tre amici in vacanza non riescono invece a riportare questo dramma e sembrano un po’ dei supereroi Marvel in borghese, capitati per caso (o per una missione divina) nella campagna francese.
Inoltre, nonostante ciò che sembra voler essere proposto sia un clash of civilization tra il mondo occidentale e quello orientale, mondi guidati da diverse fedi verso un simile fanatismo (e le scene in Afghanistan ne sono un esempio), ciò che resta allo spettatore europeo è probabilmente lo sguardo che il cineasta americano getta sull’Europa. Nel “grand tour” (o meglio «european trip») dei tre protagonisti c’è infatti un compendio di tutte le banalità che gli americani possono pensare sul “vecchio mondo”, tra una Roma dove «c’è tanta roba vecchia» e una Parigi che «non è niente di speciale». Un parco giochi dai toni stinti nel quale cercare le radici, da difendere anche se non si capisce molto quali. In tutto ciò la conclusione con le parole di Hollande non può che far sorridere: il Presidente che, probabilmente in modo incompleto ed inefficace, aveva comunque voluto dare dopo i vari episodi di terrorismo che hanno colpito il suo Paese l’idea di una comunità fondata sul valore dell’educazione e sulla laicità, sbiadisce in un film muscolarmente stelle e strisce nel quale i protagonisti fin da piccoli giocano sognando di fare la guerra, che considerano un gioco ed «una cosa speciale». Oltre allo scopo agiografico è quindi difficile capire quale il senso di questo “ritratto dell’eroe da giovane” che mette in risalto l’unica cosa che forse accomuna i tre americani, il terrorista del treno e, perché no, gli autori delle stragi alla Sandy Hook Elementary School o della Columbine High School.