Calli, ponti e campi dell’anima: una nuova “esperienza” per Carlo Simoni
agosto 15, 2017 in Recensioni da Laura Giuffredi
Sapete perché, a Venezia, le piazze si chiamano “campi”? Perché “tanto tempo prima, quando non c’erano ancora palazzi, ma solo piccole case di legno, e l’acqua non era ancora stata imbrigliata nella rete di canali e rii ma circondava da ogni parte le isolette su cui quelle case sorgevano insinuandosi dovunque, gli abitanti coltivavano il grano nelle piccole radure al centro delle isole, dove erano certi che l’acqua salmastra non sarebbe arrivata”.
Una piccola rivelazione come questa giunge improvvisa e gradita a svegliare l’andamento un po’ sonnolento di questo racconto di Carlo Simoni, “L’esperienza” (Secondorizzonte, Liberedizioni, 2017).
Anche qui, come in altre sue narrazioni, l’autore indaga i pensieri più che le parole dei suoi personaggi, scavando nel loro intimo a voler scoprire il non detto ancora, l’inespresso, ma infine, per una serie di circostanze inedite, manifestato in un’epifania che quasi sfugge al controllo delle stesse protagoniste: due sorelle che, nel 1912, passano insieme, a Venezia, una giornata di riscoperta reciproca.
Simoni saprà assimilarle alle due figure femminili del dipinto di Vittore Carpaccio “Due dame veneziane”, che compaiono in copertina: lo sguardo fisso in avanti, distante dallo spettatore, sembrano guardarsi dentro più che guardarsi intorno. Come Chiara ed Emma: il pretesto di questo viaggio insieme, l’occasione un po’ forzata di condividere una giornata in laguna, fanno sì che ognuna delle due esprima l’esigenza di fare un bilancio, ma anche di tracciare un nuovo percorso per la propria vita.
L’impalcatura di sostegno viene dalla memoria, anche recente: vita famigliare, incontri, amori, aspirazioni. ”Ti ricordi che mi ero persa?[…] quando ho alzato gli occhi ho visto che la persona che tenevo per mano non era la mamma…”: dall’infanzia condivisa alla maturità distaccata, capace però ancora di generare nuova complicità.
“Si crede che non sia facile per le donne giungere alla concezione grande e libera delle cose e dei fatti; a volte invece nascono in loro di getto, e con singolare serenità, idee così azzardate quali un uomo non saprebbe concepire”: Chiara legge nell’ Henry James del “Carteggio Aspern”, queste parole, ma Simoni sembra farle sue, come dimostra la scelta, per il suo racconto, di due donne (non è la prima volta), che sanno mettersi in gioco con onestà e determinazione, Emma per far chiarezza nei propri sentimenti, Chiara per riannodare i fili del suo talento artistico.
Certo, la cornice, una “città di parata” come Venezia, aiuta.
Ma sullo sfondo, a far da contrappunto, e ad aprire ulteriori finestre sulla complessità dell’animo umano, ci sono anche altri scenari ed altri dipinti, quella pinacoteca che l’autore evidentemente porta archiviata dentro di sé ed alla quale attinge in un dialogo confidenziale: come quello con le due dame affacciate alla torretta nella scena di Febbraio al Castello del Buonconsiglio, a Trento: “… rivolge lo sguardo, triste e pensoso, al di sopra dei cavalieri che si scontrano nel torneo”.
Chiara ricorda quanto amò quel ciclo di affreschi e racconta poi altri fatti, anche semplici e banali: “Già, Chiara ha raccontato una storia: lei alla sorella. Ma non è solo che questa è una storia insolita. È che si rende conto che nel raccontarla, nel non tenerla per sé, nel far conto che a un altro potesse interessare, è lì che è diventata una storia, una storia che adesso restava anche a lei che l’aveva raccontata”.
Si può credere che Simoni condivida questa sensibilità, esprimendo il proprio gusto della narrazione, per sé stesso prima che per i suoi lettori. Pensieri in libertà si tracciano sul taccuino della protagonista, così come in quello dell’autore: del resto, si legge verso la fine, i luoghi, per quanto eccezionali, non parlano se non hai niente da dire; la trama aperta, irrisolta, anche nel racconto nuovo, avviato, nel finale, dalla protagonista, suggerisce le potenzialità espressive di chi sempre si interroga.