Chi non mangia sta meglio, finalmente!
dicembre 16, 2016 in Approfondimenti da Mario Baldoli
Quando i Paesi ricchi hanno il raffreddore, quelli poveri hanno la polmonite, è una riga di un vecchio libro (1965) del geografo francese Jacques Lacoste Geografia del sottosviluppo.
Ora che i Paesi ricchi hanno una brutta polmonite che ha comunicato la sua febbre a tutta la Terra, succede che i Paesi poveri stanno meglio di prima. Lo dicono le statistiche di vari enti, uffici, agenzie internazionali: i poveri emigrano perché gli piace visitare il mondo.
Fra parentesi: quando leggo qualche documento sui temi fame, ambiente, migrazioni, guerre, una cosa deprimente è la quantità di sigle esistenti per ogni disgrazia del mondo. Così tanti per combinare così poco. Quando queste sigle (forse costituite da persone) dichiarano che i Paesi poveri (cioè sottosviluppati, come li chiamava chiaro Lacoste) stanno meglio, i loro numeri si fondano sempre sul Prodotto interno lordo (Pil).
Su quanto sia sbagliato e immorale questo misuratore, “Gruppo 2009” ha già scritto in passato.
Robert Kennedy lo condannò nel 1968: Il Pil comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana, la televisione che valorizza la violenza, la produzione di napalm, missili, testate nucleari, guerre. Il Pil non tiene conto della salute, della qualità dell’istruzione, delle vacanze.
Si può continuare: il Pil misura solo le transazioni in denaro, quindi non quelle familiari e il volontariato. Cresce col riciclaggio, le catastrofi naturali, i costi ospedalieri, i funerali, i divorzi quando seguiti dalle parcelle dell’avvocato. Non tiene conto di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta.
Sarkozy, quando era presidente, nominò una commissione guidata da Fitoussi, Stiglitz (ambedue Nobel) e Amartya Sen per creare un nuovo indicatore. Ne nacque un rapporto finito nel nulla per volontà dei grandi Paesi. Ovvio che se si misurasse la qualità della vita, i grandi Paesi si troverebbero vicinial fondo, dato che come scuole, salute, vacanze, sicurezza sono altamente stitici.
Così molti studi suambiente, fame, guerre, migrazioni, temi fra loro connessi, sonouna delusione.
Perlopiù raccontano la storia detta sopra: migliorano costantemente la Cina e l’India, i Paesi del Sud Est asiatico, tanto che consumano più carne.
La carne è un indicatore perché per produrre una bistecca occorrono tempo, pascoli, acqua, ecc. Ancora meglio se la bistecca è ricca di ormoni, così se ne possono mangiare due. Mentre i poveri preferiscono il miglio che è più sano, se non fosse che consumano solo quello.
Che ci sia qualche inquinamento in Cina, India, Bangladesh, che la vita, soprattutto per i bambini, sia corta, che ci sia sfruttamento totale dell’ambiente e delle persone, migrazioni e morti non interessa il Pil, il quale cresce anche col biocarburante, cioè il grano che si trasforma in benzina invece che in cibo, come negli Stati Uniti e in Brasile.
Ciò che fanno le agenzie internazionali più sensibili è una fotografia dell’esistente: la crescita demografica, la mancanza d’acqua, l’urbanizzazione, le infrastrutture carenti, lo sfruttamento di persone e risorse, le guerre, la mancanza di scuole, di salute. La negazione di un futuro.
Altre si affidano ai miracoli: auspicano Alleanze globali, Ogm, inversione di tendenza della gente. Chi è contento perché i cinesi mangiano più carne e chi lo vede come una catastrofe, chi denuncia lo spreco e chi l’impossibilità di trasferire il cibo, previsioni di guerra per l’acqua: a monte un Paese la ferma, magari con dighe, e asseta chi è a valle, Si può godere persino L’avvento del digital food di Annalisa Conte, vicedirettore di Politiche e Programmi al World Food Programme, in “Aspenia” n.69, 2015, rivistadell’Aspen Institute Italia. Le sigle – dicevo – non mancano.
Intelligente ed esaustivo, per quanto si può essere su un simile argomento, è il libro di MartìnCaparròs, La fame, Einaudi 2015, p.720, che va comunque intrecciato con Naomi Klein, Una rivoluzione ci salverà, Rizzoli 2015, p.730, (bellissimo, prevalentemente sull’Ambiente); con J. Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza, Einaudi 2013, p.474 e Luciano Gallino, Il colpo di Stato di banche e governi, Einaudi2013, p.350(ambedue soprattutto sulla finanza internazionale e le ripercussioni sociali). Trascurabile il super reclamizzato Thomas Pinketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani 2014, p.950.
Mail libro più importante del 2016,libro di cui G9 scriverà tra poco, è YanisVaroufakis, I poveri sono destinati a soffrire?La nave di Teseo 2016, p.560: una grande sintesi dell’economia dal dopoguerra, delle manovre del capitalismo e della distruzione dei poveri.
Torno a Fame di Caparròs. L’autore attraverso numerose storie di vita e raccolte di dati esplora povertà e ambiente in Asia, Africa, America latina. Incontra Médecins sans frontières, medici che sanno di essere un cerotto sulle ferite, ma che restano dove non si mangia. Scrive che Bombay, la più avanzata città indiana, ha il maggior numero di baracche al mondo, racconta di una donna che deve smontare all’alba la sua baracca perché dà fastidio ai vicini e rimontarla di sera. O parla della vita dei poveri nel Bangladesh, il secondo esportatore al mondo di tessuti e col maggior numero di denutriti in percentuale.
La povertà ha il fetore di marcio e di merda, la corsa di mattina per arrivare presto nelle discariche, la perdita della terra pubblica su cui si lavora, svenduta dallo stato alle multinazionali.
La legge del mercato è “privatizzare”, distruggere i diritti, cioè rendere i poveri sempre più poveri. Infatti ciò che il mercato tocca genera catastrofi. Oscar Wilde aveva intuito il futuro: Ricorrere alla proprietà privata per alleviare i terribili mali che derivano dall’istituzione della proprietà privata medesima è un atto, oltre che ingiusto, profondamente immorale.
Oggi sono la denutrizione e la cattiva nutrizione più che la fame ad uccidere.Si muore un po’ alla volta, in tempi diversi, isolatamente, senza trovare la forza per cambiare.
Secondo Caparròs, i ricchi, stati o privati che siano, di solito mandano aiuti prima che la tragedia della fame esploda. Li mandano perché temono rivolte contro il dominio delle loro economie e delle loro multinazionali.
I poveri hanno trovato nella religione la rassegnazione necessaria a patire il male: Dio ha voluto così. Perché? Io non lo so.
Terribili le pagine su Maria Teresa di Calcutta, il suo moritorio dove si insegna l’accettazione della morte, i suoi guadagni impiegati nel fondare conventi invece di un ospedale. Carrapòs parla dei semi delle multinazionali, Monsanto in testa, che aumentano la produzione, ma devono essere ripiantati ogni anno e richiedono anticrittogamici costosi. Cosìla multinazionale affama. Intanto la speculazione mira alla previsione di mercato e si sente innocente fra grafici ed equazioni che nascondono la realtà. I capitoli del suo libro sono seguiti, come in un teatro, da “voci” che fanno la stessa domanda: Come cazzo facciamo a vivere sapendo che succedono queste cose? Alla surreale risposta del capitolo successivo, le “voci” insistono: Come cazzo riusciamo a vivere sapendo? E ancora: Come cazzo riusciamo?