Matteo Pedrali: Il ‘900 tra sogno e realtà

ottobre 16, 2013 in Arte e mostre da Laura Giuffredi

Ricompare a Palazzolo  sull’Oglio (Palazzo Duranti MarzoliFondazione Ambrosetti, fino al 27 ottobre), in un’interessante esposizione a cento anni dalla nascita, il genio inquieto di Matteo Pedrali (Palazzolo s/O.1913 – 1980), che attraversò il “secolo breve”,  incarnandone molte contraddizioni, tra luci ed ombre.

La mostra palazzolese, curata da Davide Dotti, ha il merito principale di far riemergere dai meandri del collezionismo privato molti significativi lavori, per l’esattezza oltre 150 opere, di cui quasi la metà inedite.

Si delinea l’identità artistica di un maestro ispirato da una quantità eterogenea di spunti culturali, che vanno dalla scuola del Novecento Italiano (Carrà, Severini, De Chirico, Morandi), alla Nuova Oggettività, dal Realismo Magico alle Avanguardie europee, non sconfessando, tuttavia, la tradizione del primo Rinascimento italiano, da Paolo Uccello, a Masaccio, a Piero della Francesca. Gli esordi ufficiali coincidono con la decorazione, nel 1930, della sala del circolo culturale “Benito Mussolini” di Palazzolo (di cui rimane solo il cartone preparatorio di un’ “Automobile da corsa”, di ispirazione futurista).

Il ricercato eclettismo culturale di Pedrali piacque poi a Pietro Feroldi, massimo collezionista bresciano, che ne riconobbe il valore in occasione della Mostra Sindacale Bresciana del 1934, in cui il nostro presentò, tra l’altro, il realismo magico de “Il circo”.

1  Il circo 1934

Nel 1935 la svolta: una mostra personale a Palazzolo con ben 38 dipinti (la relativa brochure reperita ora dal Dotti permette di rivedere la datazione di alcuni dipinti).

Nello stesso anno Pedrali porta a termine la decorazione ad affresco, di gusto arcaico-primitivista, con “Episodi della vita di san Gerolamo Emiliani”, per la chiesa palazzolese di San Giovanni Evangelista: vi emergono chiari rimandi a Giotto, Masaccio, Piero della Francesca.

In questi anni Pedrali, come la sostanziale totalità degli artisti bresciani, aderisce al Sindacato Provinciale Fascista di Belle Arti e partecipa regolarmente all’esposizioni periodicamente da questo organizzate a livello locale, regionale e nazionale. Accanto a nomi come quelli dei pittori Cesare Monti e Virgilio Vecchia e dello scultore Angelo Rigetti, quello del Pedrali, se non riscosse a livello ufficiale il successo degli altri, seppe ritagliarsi una dignitosa nicchia personale nel panorama dei grandi del novecento italiano.

Particolarmente proficuo il decennio dalla metà degli anni Trenta (1936: un anno di studio a Roma) agli anni  della guerra (1942: ritorno alla natia Palazzolo, dove trova, tra l’altro, protezione evitando il fronte). Felici i contatti che seppe stabilire nell’urbe, ma ancor più decisiva fu la permanenza a Venezia (1937 – ’42): è la fase dominata dal fecondo sodalizio con il mecenate e mercante d’arte Carlo Cardazzo, (di cui il Dotti ha ritrovato il ritratto, decurtato rispetto al grande formato originario, purtroppo perduto, di cui però è stata rintracciata una stampa fotografica integrale)

Cardaro sostiene Pedrali e lo introduce nella cerchia di pittori del calibro di De Pisis, Vedova, Pizzinato, Santomaso. Questa stagione fruttò scorci della Serenissima,, un folgorante autoritratto su fondo color vinaccia, leziose nature morte, taluni ritratti (come quello di Cardazzo stesso, già citato).

4  Ritratto Carlo Cardazzo 1935Ma improvvisamente, nel 1942, l’avventura veneziana si interrompe e l’artista torna inspiegabilmente a Palazzolo, dove matura una profonda riflessione sul proprio percorso, consapevolmente rispecchiando la crisi e il  progressivo sgretolamento dei miti del

Novecento italiano, nei quali, a modo suo, si era fino a quel momento riconosciuto.

Quelli sono gli anni dell’affermarsi in Italia del movimento Corrente e dei suoi artisti–ribelli, quali Birolli, Guttuso, Cassinari, Sassu, Morlotti. La volontà è quella di sovvertire gli schemi consolidati con la forza di colori violenti e di una visionaria carica emotiva.

Su questa scia si apre così per Pedrali una nuova stagione, tra gli anni ’40 e ’50, generata da un’acuta crisi artistico-culturale che si esprime in visioni neosimboliste e quasi naif accostate a brani di un realismo pungente, nonchè a interpretazioni quasi post-impressioniste alla Van Gogh. Si tratta di paesaggi e tipi umani colti nella sua amata Palazzolo, tradotti in segni rapidi, liquidi e guizzanti. Ma il percorso del nostro non è lineare e oscilla verso approdi diversi, sempre più orientati ad una tormentata ricerca introspettiva (sottolineata anche dall’insistente produzione di autoritratti)

Una fase, questa, poi nuovamente mutata a partire dai primi anni Sessanta.

3  Paesaggio lacustre 1975

Le ultime opere interpretano infatti serene geometrie essenziali di paesaggi di matrice post-cubista, fino all’evanescenza quasi astratta delle opere degli anni Settanta.

Si può dire che le avventurose rotture, i dubbi, le cadute e riprese di questo artista, bene interpretano la tormentata, ma feconda cultura artistica italiana del ‘900, seppure inquadrata da un angolo di provincia.

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