Il segreto del tasso [4]
giugno 6, 2016 in Letteratura da Silvano Danesi
Lars Laurinn fiutava l’aria che entrava fredda e frizzante nelle sue narici.
La notte era stata ricca di presagi. Il nobile etrusco inspirava lentamente, lasciando che nel suo corpo con l’aria entrasse la vita del giorno ancora giovane.
Nel cielo terso del mattino, punteggiato da nubi leggere che il vento in quota faceva correre alte, oltre la cima dei monti, due cornacchie, gracchiando, volteggiavano in cerchio.
La Montagna di ferro segnava ad est il confine di un mondo che al turnot, addestrato da lunghi anni d’esercizio alla percezione delle realtà sottili e dei segreti più intimi della natura, destava sensazioni inquietanti.
L’etrusco era arrivato a Bar Ailt, lungo la via dei crinali. Lars Laurinn soggiornava da qualche tempo sul lago che gli Etruschi avevano colonizzato e con il quale mantenevano intensi traffici attraverso il fiume che lo collegava a Nantua. La sua occupazione ufficiale era il commercio, ma la sua missione era di intrattenere rapporti con i Celti che si erano insediati a Nord, sull’arco alpino, per studiarne usi e costumi e soprattutto per capirne lo spirito e per conoscere le grandi doti sapienziali dei druidi, di cui molto si favoleggiava e ben poco si sapeva.
Bar Ailt era un luogo particolarmente adatto al suo intento.
La coltivazione delle miniere di rame aveva da tempo resa nota la località in Etruria e Oltralpe. Bar Ailt, inoltre, era posta nei pressi della via dei commerci che servivano a scambiare lo stagno della Cornovaglia con i prodotti delle terre italiche.
L’intenso scambio aveva mischiato le lingue e le abilità nell’arte e nella manifattura e avevano nel tempo fatto intendere che la sapienzialità, riposta nei boschi e nella mente dei druidi, mai scritta e passata di bocca in bocca con i metri della poesia, era simile a quella che i turnot imparavano durante il duro periodo della loro educazione. Lars Laurinn voleva saperne di più e Bar Ailt, anche da questo punto di vista, si presentava come una terra singolare. Sul suo colle più esposto verso la valle, ottimo anche per la difesa dagli intrusi, era possibile, con l’ausilio dei traguardi naturali, costituiti dall’arco delle montagne, visibile a 360 gradi, studiare i movimenti della volta celeste. Sul colle era stato costruito, con pietre sapientemente posate, un osservatorio astronomico, accanto al quale era stato posto un altare circolare, ricavato da una strana pietra nera e spugnosa che, a dispetto delle apparenze, rifletteva la luce come uno specchio.
A est del colle e ad esso collegata da una via sacra, c’era una triplice cinta di pietre: un luogo di energie, particolarmente adatto alla guarigione.
Bar Ailt, sempre esposto al sole, era da tempo considerato un luogo di salute. Lungo la via, che correva quasi parallela ad un torrente di fondo valle, una fonte sacra era luogo di riti e di pellegrinaggi. Tra il colle e la triplice cinta, nella zona più pianeggiante e terrazzata, si ergevano un piccolo villaggio e le dimore di una comunità druidica. Era con quei druidi e con le sacerdotesse che Lars Laurinn aveva intenzione di intrattenersi, per scambiare conoscenze ed approfondire il cammino verso la sapienza. A spingerlo nell’impresa era stato anche l’eco, giunto sino al lago dove dimorava, del prossimo arrivo a Bar Ailt di un druida di alto rango proveniente dal Nord, dove il mare ogni giorno si ritirava per lasciare spazio alla terra e per riconquistare i suoi domini di lì a poche ore. Da quelle terre, con i minerali, gli oggetti d’artigianato finemente cesellati nei nobili metalli, il vasellame decorato con i tradizionali colori nero e rosso, disposti su linee orizzontali, erano giunte notizie e leggende di grandi e sconosciuti poteri e l’etrusco sperava di accostarsi ad essi nella sua qualità, tenuta nascosta, di iniziato e di sacerdote.
Lars Laurin era giunto a Bar Ailt sul finire dell’estate per seguire, sin dal capodanno celtico a Samain e per un intero anno, lo svolgersi delle tradizioni locali, dei riti e delle festività.
Quel mattino non era un mattino qualsiasi. La notte aveva segnato l’inizio di Samain e il momento fatato nel quale i mondi comunicano, al di là dei limiti dello spazio e del tempo.
Durante la notte si era mangiato cinghiale, pane di segale e alla cervogia si era unito il vino italico, che l’etrusco aveva, secondo il suo costume, allungato con l’acqua e gli abitanti del luogo bevuto schietto. Nei campi i semi riposavano, pronti a rinascere al primo annuncio della primavera. La semina era avvenuta sotto i migliori auspici e per l’anno che iniziava si annunciava un ottimo raccolto.
L’idromele, bevanda riservata ai riti, aveva concluso la festa con un brindisi di ringraziamento alla divinità che era in ogni cosa e ogni cosa animava e agli uomini di questo e dell’altro mondo, che in quel momento erano particolarmente vicini, anzi, presenti. Si era brindato anche all’annunciato arrivo del druida del Nord e poi i fuochi erano stati spenti ovunque, come voleva la tradizione.
Nell’aria tersa era ancora forte l’odore dei falò, sotto le cui ceneri covava il fuoco. La gente stava uscendo dalle case del villaggio e giungeva alla spicciolata nel prato antistante i “cerchi di forza”; portava cimbali, corni, grandi ciotole di rame. La giornata si annunciava festosa.
Lars Laurinn godeva di quel momento magico che preludeva alla festa, carico di aspettative e di gioia di vivere, intriso, sin nell’aria che respirava, di un frizzicore prodotto dall’eccitazione della gente che si approssimava ai “cerchi di forza”, senza valicarne il confine, giacchè quell’area era sacra e le energie che in essa si muovevano non potevano essere intersecate dal corpo umano, se non in particolari momenti e per scopi ben precisi.
L’etrusco memorizzava ogni movimento, ogni particolare: i visi arrossati dal freddo pungente, le chiome delle fanciulle, raccolte a treccia, i canestri ripieni di pane, la carne, già tagliata in grossi pezzi, che presto sarebbe stata messa sul fuoco, non appena i druidi lo avessero riacceso, dando così inizio all’anno nuovo. I druidi erano vestiti di bianco e si stavano disponendo in fila, in basso e alla sinistra dei cerchi. Le sacerdotesse, vestite di un azzurro scuro intenso, con il capo coperto da uno scialle dello stesso colore, componevano una fila alla destra dei cerchi. La festa stava per iniziare. La legna per il fuoco era stata predisposta secondo la tradizione. Da quel fuoco, ritualmente acceso, ognuno dei presenti avrebbe portato a casa una fiamma, per accendere il proprio focolare. Il fuoco vecchio si era spento durante la notte. Il fuoco nuovo si apprestava a riscaldare il nuovo anno, infondendo calore e vigore agli uomini e agli animali, in attesa che la fiamma di un fuoco più grande, quello del sole, ritornasse alta nel cielo annunciando una nuova stagione di vita per la terra e l’abbondanza dei raccolti.
Fu in quel momento, mentre stava meditando sul susseguirsi perpetuo delle stagioni, sul rinnovarsi incessante della vita, in un tempo circolare che faceva pensare all’eternità, che Lars Laurinn ebbe la sensazione che la vista lo abbandonasse. Gli occhi, che fino ad un attimo prima avevano osservato i preparativi della festa e ne stavano assaporando l’inizio imminente, ora erano offuscati, come se una leggera nebbia si fosse alzata. In alto, “oltre i cerchi di forza” osservava formarsi, in quella nebbia, il profilo di una casa. Dei cani abbaiavano. Un cavallo, dalla bionda criniera e dall’aspetto giovane, correva attraverso i prati. La casa era strana, non molto diversa da quelle che aveva visto nei suoi viaggi, ma diversa: più solida, con dei bastoni di ferro messi a croce alle finestre. Dall’interno proveniva, di quando in quando, il muggito delle vacche che vi alloggiavano.
L’etrusco non credeva ai suoi occhi.