Sherlock & Elementare (5) – Breve storia d’incompletezza e masochismo in 4 atti

febbraio 8, 2016 in Racconti e poesie da Claudio Ianni Lucio

Sherlock & Elementare 5Atto I – Tag Team, Team-up

Fuori piove. Hyde ascolta il rumore delle gocce schiantarsi dove vento e gravità decidono di farle impattare. Buon per loro che non percepiscono quello che gli capita, constata Hyde, rammaricandosene però l’istante successivo per aver perso l’opportunità di un pensiero sadico e gratuito.

Hyde sa che, finché non uscirà dalla porta, la pioggia rimarrà soltanto un rumore incapace d’inzuppargli i vestiti. Forse non piove nemmeno, in fin dei conti, conclude.

pioggiaIl rumore della pioggia (che poi è anche tutta la pioggia di cui Hyde può usufruire) non è abbastanza forte da coprire gli squilli del telefono, ormai insistenti, persistenti. Non che lui voglia rispondere, proprio no, ma non è in grado di sopportare ulteriormente gli acuti richiami dell’apparecchio.

HYDE: “Pronto!?”

LEOPOLD BLOOM: “No. Scusi, per cosa?”

HYDE: “Ti mostro io per cosa! … Pronto?!”

LEOPOLD BLOOM: “… Ah, sì. Ehm, salve, parla Leopold”.

HYDE: “Leopold? Quale Leopold?”

LEOPOLD BLOOM: “Bloom, Leopold Bloom”.

HYDE: “Eh. Tanto piacere, ma io che posso farci?”

LEOPOLD BLOOM: “No, è che… Parlo con Mr. Hyde?”

HYDE: “Sfortunatamente, sì”.

LEOPOLD BLOOM: “Macché sfortunatamente, ho telefonato apposta”.

HYDE: “Non intendevo per te, infatti”.

LEOPOLD BLOOM: “Meno male, dicevo io… Può ricordarmi il suo nome?”

HYDE: “Ma che problemi hai? Sono Hyde, no? L’hai appena detto tu, idiota”.

LEOPOLD BLOOM: “Certo, Hyde. E poi?”

HYDE: “E poi che?”

LEOPOLD BLOOM: “Il resto del nome”.

HYDE: “Non c’è nessun resto del nome, Bloom. A quelli come me basta una sola parola per essere qualcuno. Non mi serve nessun nome davanti a Hyde, perché io sono un vincente, capisci? Pensa se mi chiamassi come te: Leopold Hyde. Senti quanto fa schifo, quanto suona male? Anche le checche mi sputerebbero addosso per la strada, se il mio nome fosse Leopold Hyde. Lìììopòld… ma che razza di nome ti hanno dato? Ti rendi conto che Leopold Bloom potrebbe chiamarsi una crema per le emorroidi? Ci hai mai pensato? Eh, Leopold?”.

LEOPOLD BLOOM: “Beh, la crema per le emorroidi è utile. Io la uso spesso, non mi pare una cosa cattiva”.

HYDE: “Mi sarei stupito del contrario. Insomma, che diavolo vuoi?”

LEOPOLD BLOOM: “Vorrei divertirmi un po’. Cibo, birra e whisky, donnacce, cose così… è libero?”

HYDE: “Paghi tu?”

LEOPOLD BLOOM: “Sì”.

HYDE: “Tutto?”

LEOPOLD BLOOM: “Tutto”.

HYDE: “Non te la caverai con poco”.

LEOPOLD BLOOM: “Lo so”.

HYDE: “Ci vediamo alle dieci”.

LEOPOLD BLOOM: “Sì, ma sarà per le dieci di domani. Abito a Dublino”.

HYDE: “Sarà meglio per te che siano le dieci di oggi, o ti strofinerò sulle mie emorroidi fino a levarmele del tutto, Leopold Bloom di Dublino”.

LEOPOLD BLOOM: “L’indirizzo?”

HYDE: “Almeno le mutande ti riesce di infilartele da solo?”

Click

Pronto? Signor Hyde? È ancora lì?

Signor Hyde?

Atto II – Epitaffio

Molly mia moglie di solito è in camera mentre mi cambio le mutande e c’è sempre il momento in cui me le sto sfilando che mi si impigliano nell’alluce proprio lì quando alzo il piede che di solito è il destro e io che ho il punto debole nei piedi da quando sono nato anche se me ne sono accorto solo dopo che un tale me l’ha fatto notare in un pub giù a Duke Street che poi sarebbe su a Duke Street perché casa mia sta sotto in realtà cioè a sud solo mi vien da dire sotto e non sud oscillo e cado e mi ritrovo a terra col culo in aria incaprettato come un vitello dalle mie mutande allora va a finire che resto seduto sul pavimento e finisco di cambiarmi così col culo al freddo e io ho il culo flaccido quindi di freddo ne sento parecchio mentre Molly ride anche se non sempre a volte sbuffa e dice che faccio bene a cambiarmi le mutande seduto a terra perché sono più al sicuro così anche se intanto sento freddo alle chiappe e lei quando ride mi spiega che se sto lì non posso cadere più in basso di così invece quando sbuffa non dice niente va a stapparsi una birra e non mi parla finché non si è fumata almeno un paio di sigarette c’era stata una mattina forse proprio quella dopo la serata al Byrne’s Pub di quando ho scoperto di avere il punto debole nei piedi che mi sono svegliato ancora lì seduto a terra schiena contro il letto e culo al freddo con le mutande da togliere ancora alle ginocchia e Molly ha sorriso poi mi ha baciato in mezzo alla testa e ha sbadigliato con gli occhi lucidi del sonno che non volevi smettere di dormire ma hai dovuto per forza e mi ha chiesto se volevo prenderci anche la colazione lì seduto sul pavimento col culo al freddo e io le ho risposto che preferivo prenderla in cucina con lei e mi aveva già girato le spalle per andare a preparare il rognone non lo fa mai per colazione anche se è il mio piatto preferito però quella volta lì l’aveva fatto e mentre lo mangiavo con l’appetito del dopo sbornia su a Duke Street bevo sempre troppo quando ci vado Molly guardava fuori dalla finestra la mattina la rassicura vedere la gente che passa davanti a casa nostra intanto mi diceva di mettere su altra ciccia se proprio volevo dormire sul pavimento e io a volte osservo la sua mano toccare il vetro rispecchiarsi dall’altra parte in trasparenza e sotto ci sono i passanti che passeggiano sopra o sotto il braccio di Molly che a me sembra sopra però non lo capisco mai con certezza e io tra poco sarò una di quelle persone che passano sopra il suo braccio ma forse il suo braccio non sarà più lì perché il piatto vuoto del rognone non si leva dalla tavola da solo.

Atto III – Homo Homini Homo

HYDE: “Fede mia, agente, è stato quello sporco dublinese di Bloom ad accoppare quelle cinque battone a calci e rasoiate. Prima le ha ammazzate, e poi s’è sparato un colpo in testa. Stavo per pensarci io, ovviamente, a quello schizoide maniaco, ma quello era sbronzo fottuto. Sono rientrato che stava finendo di decapitare quella poveretta. Le ha strappato la testa, mi ha guardato quasi fosse un barbagianni e s’è ammazzato”.

barbagianni

AGENTE: “Anche tu puzzi parecchio d’alcol, e c’è più sangue su di te che su quel Bloom, questo come lo spieghi?”

HYDE: “Mi sono disinfettato le stigmate”.

Sipario (in caduta libera)

Atto IV – Veglia funebre, Canto (p, pp, f, ff)

I corpi delle cinque donne, nudi e martoriati, sono disposti su una densa broda di sangue, whisky e vetri rotti a comporre la scritta “FAGS!” (notevole l’accuratezza nell’utilizzare il cadavere decapitato per la realizzazione del punto esclamativo). I corpi di Leopold Bloom e dell’agente, anch’essi svestiti, sono posizionati poco più in basso della macabra scritta nella posizione Kamasutra della Girandola messa giù come l’avrebbe dipinta Dalí. Bloom ha la pistola in mano.

ELEMENTARE: “Non vedevo una cosa simile dai tempi di un’altra cosa simile, Sherlok. Devo confermare la morte di tutti e sette?”

S. HOLMES: “Devi solo stare zitto”.

ELEMENTARE: “Non c’è problema”.

S. HOLMES: “Non si direbbe”.

ELEMENTARE: “Non so più che dire”.

S. HOLMES: “E vorrei vedere. Siamo venuti fin qui per nulla, comunque”.

ELEMETARE: “Mh”.

S. HOLMES: “Non hai domande da fare?”

ELEMENTARE: “Mh”.

S. HOLMES: “Guarda che puoi parlare, ti ho fatto una domanda. Però sei stato bravo, tieni un confetto”.

ELEMENTARE: “Perché siamo venuti per nulla?”

S. HOLMES: “Restituiscimi il confetto, come al solito non hai capito. Comincio a credere, Elementare, che la tua incapacità d’imparare troppo poco si adegui alla mia capacità d’insegnare. Anzi, comincio a saperlo”.

ELEMENTARE: “Pensi sia una malattia?”

S. HOLMES: “So che lo è”.

ELEMENTARE: “Meno male che ho fatto medicina, allora”.

S. HOLMES: “Tu hai l’elementarite, non c’è una cura. L’unica cura esistente, mio caro Watson, è la somministrazione di forti dosi di Sherlock Holmes. Purtroppo sembri essere un portatore sano, e perciò immune al trattamento”.

ELEMENTARE: “Le tue parole mi riempiono d’orgoglio”.

S. HOLMES: “Vedi? Sei tutto un sintomo di te stesso”.

ELEMENTARE: “Quando faccio il bagno trovo sempre tutto nella norma, tranne quando entro nella vasca. Succede sempre che dell’acqua si riversa all’esterno. Io entro e lei esce. Non dovrebbe andare così, dovrebbe restare dentro, ce l’ho messa apposta, perché mi serviva dentro. Ho provato anche a rovesciare l’acqua, per vedere se rientrava appena mi fossi seduto in vasca, ma niente, ho dovuto passare lo straccio”.

S. HOLMES: “Era una strategia troppo raffinata perché funzionasse. Ti sei trovato a fronteggiare un nemico con capacità simili alle tue, solo che non l’hai sfidato con armi di cui disponi, che avrebbe potuto comprendere e subire, ma con mezzi appartenenti al mio arsenale. Perciò sei stato sconfitto, perché l’acqua è andata in confusione e non ha trovato una controffensiva migliore dell’inazione”.

ELEMENTARE: “Era meglio se non facevo nulla”.

S. HOLMES: “Tieni il confetto. Ti converrà mangiarlo subito, fidati. Dicevo, questo caso si risolve praticamente da solo. Ricordi il concetto secondo cui, dati un effetto e una sua probabile, se non quasi certa, causa, non c’è alcun modo di sapere, a priori, se la nostra spiegazione è di fatto l’unica spiegazione possibile?”

ELEMENTARE: “Ricordo di quella volta che mi ero preparato la Victoria Cake per il compleanno e al mattino non c’era più; tu avevi marmellata e crema sul mento, te li sei puliti solo dopo aver finito di vomitare tutta quella roba rossastra nella pattumiera. Ti avevo chiesto se per caso ne avessi assaggiata una fetta; rispondesti che non potevo esserne sicuro, che non avevo modo di stabilire, oltre ogni ragionevole dubbio, che la crema e la marmellata sul mento provenivano dalla torta. Dissi che solo uno stupido non avrebbe collegato le due cose, ma tu mi facesti subito notare che io sono stupido, discolpandoti”.

S. HOLMES: “No, non mi riferivo a quella volta. Lascia stare. Insomma, qui non ci troviamo di fronte a quella tipologia di caso. Qui ne abbiamo uno con la soluzione servita comodamente insieme al tè delle cinque. Tutto è esattamente come sembra: il dublinese col culo flaccido è il classico ometto insignificante che simula un viaggio d’affari per scappare dalla moglie, una donnicciola insignificante di nome Mindy, o Sally, o un qualsiasi nome terminante in ipsilon, ma non uno abbreviato, proprio pensato così, proprio pensato per diventare noioso alla svelta, per essere imparato e ricordato facilmente, una specie di richiamo per tordi. Un individuo del genere non può reggere cinque del mestiere e tutto quell’alcol. L’eccitazione deve avergli dato alla testa oltre ogni limite e, ormai sguaiato al punto da includere la pederastia alle attività della serata, deve aver raggiunto un livello a lui alieno, e perciò insopportabile, di euforia e méllofobia. Una simile disposizione d’animo l’ha sicuramente spinto a uccidere gli altri sei, complici della sua condotta folle, e a terminare poi la propria espiazione, confessando le immoralità commesse e sparandosi nello stesso atto con cui aveva appena raggiunto la rovina. Non c’è nient’altro da dire su questa carneficina, Elementare. Parla da sé”.

ELEMENTARE: “Potrebbero esserci anche altre spiegazioni possibili; peccato non sia uno di quei casi in cui ci sono un effetto, una probabile causa e tu che hai il mento sporco di crema e marmellata”.

S. HOLMES: “Se solo non avessi appena risolto un caso, mi verrebbe da piangere molto, e per molto tempo, al pensiero di aver sprecato mezza giornata di cocaina e violino dietro a un mistero privo di mistero. Torniamo a casa”.

ELEMENTARE: “Cos’è la méllofobia?”

S. HOLMES: “Dal greco μέλλον (méllon): futuro”.

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