L’inquieto amore tra Firenze e Istanbul nel Rinascimento
dicembre 4, 2015 in Approfondimenti, Recensioni da Mario Baldoli
Leonardo e Michelangelo si innamorano dell’Oriente: ne hanno abbastanza di un’Italia di guerre e guerricciole, di mecenati iracondi e taccagni. Sognano di lavorare a Istanbul, la capitale di un impero, dove l’arte italiana è apprezzata e il gusto non manca ai regnanti.
I sultani Selim I e Bayazid I li invitano a costruire un ponte sul Bosforo, da Pera a Costantinopoli, per sostituire quello esistente fatto su barche. Leonardo prende le misure e disegna un ponte ad arcata unica, ponte che non realizza come molti suoi lavori. Nel frattempo descrive un viaggio immaginario in oriente che lo porta attraverso il Caspio fino a Istanbul.
Michelangelo sta per andarci dopo l’ennesima lite con papa Giulio II. Lo vediamo invitato dagli ambasciatori turchi (è il primo personaggio a destra) e dipinto col turbante.
Le Goff e Braudel l’avevano intuito: il Rinascimento non è un evento storico , è un movimento, e il Mediterraneo è per eccellenza la civiltà del movimento . Di questo movimento il fulcro è l’Italia, la cerniera di tre culture: la cristiana-latina, quella greco-bizantina e quella islamica, mentre Costantinopoli, conquistata dai Turchi, diventa ancor più la Seconda Roma, e si apre a una cultura imperiale e sincretica.
Il nostro Rinascimento si confronta con altri popoli e civiltà. Parafrasando Settis, come il classico non si rifà solo all’antico, così il Rinascimento non si rifà solo al classico, ma si muove con gioia, disinvoltura e ansia di scoperta verso Oriente, scambiando merci, imparando e insegnando, pronto a ibridizzarsi con quelle civiltà e popoli. E la cultura islamica è molto varia e anch’essa curiosa.
Rapporti e scambi, non scontro di civiltà, come sosteneva la ricerca fino agli anni Cinquanta.
Il volume Incontro di civiltà nel Mediterraneo. L’impero ottomano e l’Italia del Rinascimento. Storia, arte e architettura, ed.Olschki curato da Alireza Naser Eslami, apre la prospettiva ad un settore di ricerca ricco di suggestioni: una storia del Mediterraneo fatta non solo di guerra, ma soprattutto di incontri e scambi.
Dapprima la storia, di cui scrive Giovanni Ricci: tutti i principi d’Europa chiedono aiuto ai Turchi nelle loro guerre, persino il papa e i principi luterani. Nel 1460 papa Pio II medita di conferire a Maometto il Conquistatore il titolo imperiale in cambio della conversione al cristianesimo; papa Alessandro VI chiede aiuto a Behezid II contro lo strapotere della Francia di Carlo VIII; Federico II d’Asburgo e Leonardo di Gorizia favoriscono le incursioni turche in Friuli per colpire il potere veneziano; Boccolino Guzzoni signore di Osimo offre la propria città al sultano Behezid II come base per invadere l’Italia. Ludovico il Moro e il re di Napoli Federico d’Aragona si propongono come vassalli a Behezid per difendersi dalla Francia. E via di questo passo. Saggiamente gli ottomani intervengono il meno possibile negli affari europei preferendo solo allargare i loro confini.
Franco Cardini ripercorre l’autunno delle Crociate tra 1683 e 1718, superando l’insegnamento scolastico che ne individua sette (o otto). Ricorda l’assedio di Vienna del 1683. Insomma le guerre continuavano sotto la croce e la mezzaluna, ma anche gli scambi.
Dalla macro alla microstoria.
Gabriella Airaldi mostra come i genovesi, abbiano ottimi rapporti con gli ottomani.. Un geografo ispanico scriveva già alla metà del XII secolo: Si dice che discendano da Arabi convertiti al cristianesimo. Sono bruni, con occhi neri e nasi aquilini. Sono mercanti per mare dalla Siria alla Spagna. Un altro, dopo aver tessuto le lodi della città, scrive che sono ricchi mercanti si cimentano in cose facili e difficili. Possiedono una flotta formidabile, sono esperti in faccende di guerra e nell’arte di governo.
A Istanbul popolano il quartiere di Galata, dando forte impulso all’economia della città.
Ha scritto Braudel riferendosi al periodo tra Cinquecento e Seicento, “Genova è la città divorante il mondo”, l’oro della Spagna si fonde con la sagacia dei Doria, è “il secolo dei Genovesi”. Alla battaglia di Lepanto (1571) i genovesi partecipano con solo tre galee, preferendo mantenere i loro buoni rapporti con i sultani. Una carta di Genova con istruzioni sul suo porto (sempre meglio diffidare, anche dei genovesi) si trova al Topkapi. Nemici storici sono diventati invece i veneziani cui gli ottomani sottraggono un po’ alla volta le isole del Mediterraneo.
E’ dal X secolo che i genovesi sono presenti a Istanbul, nota Aygul Agir, e Galata (così poi venne chiamata per la torre genovese) diventa addirittura una città fortificata. La zona stessa, collinosa, ricorda la loro città.
Veniamo all’arte.
Marco Spallanzani racconta gli scambi di doni e il collezionismo che a volte esplode tra ‘400 e 600, portando in Europa la moda delle “turcherie”: migliaia di maioliche italiane sono scambiate con ceramiche ottomane dal delicato azzurro di Iznik, e l’influsso reciproco nella produzione è continuo.
L’inventario del collezionista Salvati rivela proprietà di centinaia di oggetti di produzione turca.
Anna Contadini individua centinai di oggetti in cui si mescolano elementi italiani e ottomani, uso di velluti, tappeti, arabeschi, rilegature, piviali di velluto broccato ottomano.
Giovanni Curatola mostra come il tappeto, in particolare, diventa nella pittura italiana elemento di devozione, il luogo su cui posano Madonne, santi, personaggi illustri. Lo dipinge spesso Jacopo Bassano, ma anche Tiziano nella Deposizione dipinge Giuseppe di Arimatea con un caffettano ornato da un motivo turco.
Dal 500, scrive Luigi Zangheri, si diffonde la moda del giardino ottomano. In mezzo secolo arrivano in Europa più di 120 nuove specie e sottospecie vegetali: l’ippocastano, l’anemone, il giacinto, il gelsomino. In Olanda nasce la tulipomania: nel 1637 una cipolla di tulipano vale 10 volte il salario di un operaio specializzato. Arrivano da Firenze a Istanbul panni bellissimi con bei colori di moda, balestre, astuccetti di forbici, fiori d’oro,di penna, di seta, di zucchero. Montaigne scrive che gli ottomani sono “la prima razza del mondo per vanto guerriero”, gente che amava anche la natura, apprezzava alberi, fiori, giochi d’acqua. L’urbanizzazione dei rive del Bosforo porta a costruire giardini all’interno e con terrazzamenti dietro le case tenendo conto del paesaggio. Si ricordi Istanbul di Pamuk che denuncia la distruzione di queste case.
Secondo Aygul Agir, gli italiano sono presenti a Istanbul dal X secolo. I genovesi nel 1267 ottengono un’area poco popolata sulla riva nord del Corno d’Oro, nella zona di Galata, chiamata comunemente Pera che diviene col tempo una città fortificata. I genovesi attivano la vita commerciale di Istanbul.e vi costruiscono la famosa torre che subì modifiche concluse nel 1967.
Conclude il volume Alireza Naser Eslami con un intervento del tutto nuovo sull’architettura e l’arte e la loro interazione tra rinascimento italiano e impero ottomano.
Tutto inizia col modello bizantino di Santa Sofia, che i Turchi trasformarono in moschea, pur mantenendo l’antico nome. Santa Sofia divenne il modello delle moschee imperiali che vi aggiunsero i minareti e mantennero la divisione in due parti, quella coperta per la preghiera, con cupolette laterali, e quella destinata al cortile porticato. Emulazione, appropriazione, interazione culturale si notano nelle quattro chiese qui sotto
Gli scambi di doni tra Lorenzo il Magnifico e Mehemet II, la richiesta di quest’ultimo di artigiani fiorentini, portano Gentile Bellini a Istanbul dove crea la medaglia ritratto in bronzo di Mehemet.
Su un colle di Istanbul sorge la più importante opera del grande architetto Sinan: la moschea di Solimano. A Santa Sofia si ispira il progetto di Bramante per San Pietro, come appare nella medaglia di Caradosso. Ma anche nel progetto di Michelangelo si sente l’eco della moschea di Solimano.
Il tema della pianta centrale e quattro torri-minareti nell’architettura ottomana, moschea Us Serefli a Edirrne (1437-1447). Moschea di Solimano a Istanbul in un disegno inglese (1588), The Bridgeman Art Library.
L’ibridazione nell’architettura è fortissima. Persino nelle porte in bronzo di San Pietro il Filarete utilizza lettere arabe accanto a quelle latine e greche.
Due particolari delle porte bronzee di san Pietro a Roma del Filarete. Accanto alle lettere epigrafiche latine e greche sono utilizzate anche quelle arabe.
I rapporti tra Europa, in particolare l’Italia, e il mondo ottomano prendono con questi studi quel corpo e quella dimensione che aprono la nuova storia del Mediterraneo alla cultura, alla politica, all’arte, e tra i due mondi nasce un’auspicata visione universale del sapere.