Antonio Stagnoli ci ha comunicato il linguaggio del silenzio
ottobre 30, 2015 in Album fotografici, Arte e mostre da Pino Mongiello
Il pittore, nato a Bagolino nel 1922, è morto il 26 ottobre scorso all’età di 93 anni
Antonio Stagnoli è stato per me un compagno di viaggio. La nostra conoscenza, divenuta poi amicizia, risale agli anni Settanta. Oggi per lui il viaggio terreno si è interrotto. Il mio prosegue con un grande vuoto: la sua assenza non è di poco conto. Eppure non posso dire di sentirmi solo o di sentirmi orfano. Ho assistito negli ultimi anni, fin negli ultimi giorni, al suo irreversibile declino. Ogni volta che mi vedeva gli brillavano gli occhi e mi chiedeva “Come stai?”, mentre io avrei dovuto chiederglielo per primo. Ecco, la sua serenità di fondo, la sua saggezza antica mi faranno sempre compagnia.
Nel Duemila, con il suo pieno consenso, ho pubblicato un libro che ha per titolo Antonio Stagnoli – Dizionario di un artista. In quelle pagine ho raggruppato gli appunti e le annotazioni riguardanti i pensieri di Antonio, che ho raccolto nel corso di un viaggio fatto insieme per l’Italia: dalla Toscana alle Marche, dal Lazio alla Puglia. In quella mia scrittura ho cercato di far riflettere il mondo immaginato, spesso vissuto, di un uomo e di un artista irripetibile che fa parte integrante, come accennavo, della mia esperienza personale. Da quel libro voglio qui riportare alcuni frammenti: piccola testimonianza di un legame reciproco che, senza troppe parole, sapeva farci comunicare i più segreti sentimenti.
“Antonio parla attraverso gli occhi e con i movimenti del viso, o con le mani, meglio con il tatto. Il suo viso, ma direi il suo corpo, è espressivo, anzi comunicativo, indifeso, libero e schietto. Persino certe sue riserve gliele leggi con chiarezza stampate sul volto perché non sa fingere. Non ha bisogno di troppe parole per dire ciò che pensa. Più che le frasi dette parlano i suoi segni lasciati su un pezzo di carta: lì trovi il suo mondo”.
“L’etica è la voce della coscienza – dichiara spontaneamente Antonio. Quella voce sa indicare i giusti comportamenti da assumere di fronte ad ogni situazione, basta che la si ascolti. Io sono attratto dal dolore degli uomini. Ma la sofferenza che rappresento non è mai urlo o disperazione: è pacata, invece, quasi rassegnata e forse anche rasserenata perché accettata. Non racconto mai la sofferenza con rabbia. Voglio solo far capire quanta dignità c’è in chi sa affrontare il proprio difficile destino”.
“Ho scrutato Antonio mentre contemplava la vasta distesa del mare in una giornata luminosa ma non tersa, nella quale non è possibile distinguere all’orizzonte la linea di demarcazione tra il mare e il cielo. Non capiva come i mondi, dell’acqua e dell’aria, potessero essere perfettamente uniti e indifferentemente simili. La luce nebulosa e ovattata lo stordiva tanto quanto lo intricava il ruminare delle onde. L’infinito gli sfugge, non riesce a rinchiuderlo su un foglio. Per lui, così acuto nel cogliere il dettaglio, nel farlo vivere quasi di vita propria, vastità e incommensurabilità degli spazi non risultano descrivibili. Non è, comunque, la contemplazione dell’infinitamente grande che possa suggerirgli una qualche idea del divino… Il Dio di Antonio è un’altra cosa. Appartiene a una dimensione diversa, più domestica e di tradizione familiare. Ha a che fare non con gli spazi ma con gli uomini”.