70 anni fa: guerre, bombe, voglia di vivere
luglio 16, 2015 in Recensioni da Mario Baldoli
Tredici incursioni aeree su Brescia e provincia tra il 1944-1945: 782 morti, 828 feriti, 62 invalidi.
“Se attraversi l’inferno, fallo a testa alta” diceva Churchill. Una buona idea per chi le bombe poteva riceverle da un momento all’altro senza poterci far niente. Gli avvisi dell’antiaerea di solito in ritardo, pericolosi i rifugi. L’unico realmente sicuro era la galleria sotto il Castello (ospitava fino a 20.000 persone), non ancora conclusa. Gli altri erano scavi o cantine che diventavano una trappola quando erano colpiti.
Scritto come un racconto dalla giornalista Maria Paola Pasini, rigoroso (è la pubblicazione di una parte della sua tesi di dottorato) e meticolosamente documentato attraverso fonti anche americane, il saggio Brescia 1945, ed.Grafo, mostra subito l’assoluta inadeguatezza della città di fronte ai bombardamenti, la rassegnazione dei cittadini alla tragica fatalità intesa come una necessaria espiazione.
Il diario di Ester Vanni racconta la notte del bombardamento del 13 luglio 1944: Con la nonna in camicia e il bimbo di pochi mesi, andiamo il più velocemente possibile nella cantina del palazzo. Abitavamo nei pressi della stazione. Non era un rifugio sicuro, ma non c’era altro nelle vicinanze. Per quanto possibile, ci avviciniamo tutti alle pareti: famiglia su famiglia, abbracciati (…) Nell’udire il boato poco lontano tiravamo un sospiro di sollievo. Non pensavamo neanche un momento a quei disgraziati colpiti dalla bomba che ci aveva evitato.
Quasi lirico, lo scrittore Renzo Bresciani così ricordava i bombardamenti: Si contavano i morti e i buchi nelle case. Brescia apriva voragini nere nel prato rosso dei suoi tetti (…) e la gente scavava con il picco e la pala e sceglieva i mattoni e le pietre buone sui mucchi che ostruivano le strade.
Eppure, tra sciacalli e borsa nera, maschere antigas non funzionanti, rifugi allagati, liti tra vigili, polizia e militari, la città è liberata, il 26 aprile il Comitato di Liberazione nazionale si insedia nella Poliambulanza.
Scrive la partigiana Camilla Cantoni Marca: Scendeva la sera, una sera scura, pioveva (…) per la città si vedono passare i camion con le bandiere tricolore, i nostri ragazzi passano fieri col mitra puntato. Nei loro occhi brilla la gioia della vittoria. La città è ormai nelle loro mani.
Brescia ha molti libri sul fascismo, la guerra, la Resistenza, vari sulla ricostruzione, considerata perlopiù nei primi cinque-dieci anni, ben poco sul momento della transizione, in particolare sui bombardamenti, il 1945, quasi per metà diviso tra guerra e primi passi nella democrazia, fra tragedia e felicità o, almeno, voglia di vivere.
Ora Brescia 1945 va a colmare quel vuoto, attraversa la cesura di quell’anno.
Il 27 aprile esce il primo numero del “Giornale di Brescia” diretto da Lorenzo Foresti, col famoso titolo Brescia è libera. Lo stesso giorno arrivano gli Alleati che il 29 insediano il loro governo che dura fine alla fine dell’anno. Vi si alternano tre ufficiali che agiscono con fermezza e umanità, tengono conto delle richieste del Cln, del problema della viabilità in una città coperta di macerie, delle fabbriche che devono modificare la produzione, dei rimpatriati, della disoccupazione. Non bastasse, il I maggio 10.000 soldati tedeschi, perfettamente armati, si consegnano prigionieri.
Toccante la descrizione della città fatta dal primo sindaco, il socialista Guglielmo Ghislandi alla fine della guerra: Brescia, mutilata, straziata dalle bombe nemiche e “alleate”, ci accoglie in certi punti quasi irriconoscibile: vie dense di macerie, talvolta ammucchiate all’altezza dei primi piani e anche più su; edifici civili ed ecclesiastici di antica e nobilissima arte, abbattuti, sbrecciati, taluni addirittura completamente distrutti; niente illuminazione per le vie; niente tram, niente gas, poca acqua; e gente che ci chiede pane e alloggio e lavoro.
Per togliere i 20.000 metri cubi di macerie sono requisiti carretti, cavalli e carrettieri; i camion Usa aiutano. L’Azienda dei Servizi Municipalizzati affronta gli altri problemi: acqua potabile, illuminazione, gas, canali, fognature, mentre cominciano a girare i filobus.
Ma già era esplosa la voglia di vivere. La sera dell’8 maggio la città si riempie di suoni e colori, la prima Notte bianca della sua storia.
Scrive il Giornale di Brescia: Il popolo ha gridato il suo giubilo. In ottobre viene rimossa la statua del Bigio da piazza Vittoria. A fine 1945 funzionano 10 cinematografi, il teatro Grande e il Sociale, oltre ad altri minori. Si diffondono le balere, si canta, si balla lo swing e il boogie-woogie.
Si canta La vie en rose di Edith Piaf:
Quando mi prende fra le sue braccia
Mi parla a bassa voce
Io vedo la vita tutta in rosa (…)
I dispiaceri, i dolori si cancellano
Felice, felice da morire.
E quando lo scorgo lontano
Allora io sento in me, il cuore che batte
Felice, felice da impazzire.
Naturalmente molte difficoltà restavano: Dotato di un profondissimo senso di giustizia sociale, Ghislandi dice subito che i sacrifici sarebbero gravati su chi aveva guadagnato sulle forniture di guerra e altre attività del genere, non su chi dalla guerra avuto lacrime e sangue. Una commissione garantisce equità nella distribuzione degli alloggi, sono vietate le raccomandazioni.
Per il primo Natale dopo la guerra, il Comitato di Liberazione Nazionale lancia l’iniziativa Natale dei poveri: si raccolgono in una città stremata quasi 2 milioni di lire per pacchi -dono e i poveri possono portare ai luoghi di smistamento una bottiglia vuota che verrà riempita di vino.
Le opere d’arte erano state salvate dal soprintendente Guglielmo Pacchioni, a villa Fenaroli a Seniga e in altri depositi dove aveva nascosto le collezioni di Brera e le opere che Mussolini voleva portare in Germania.
Il 30 maggio del 1946 avveniva in Duomo vecchio la prima grande mostra dei tesori di Brescia: 280 opere dal 1200 al 1800, organizzata con lo sforzo comune delle istituzioni, della Chiesa e di molti privati. La città aveva un cuore grande.