“Sberleffi di campanile” di Giancarlo Schizzerotto
giugno 20, 2015 in Recensioni da Laura Giuffredi
Ma non è una cosa seria! Anzi, sì, pure troppo.
“Lo scherno come elemento costitutivo dell’identità nazionale italiana” è la tesi costruita dal corposo e ampiamente documentato saggio di Giancarlo Schizzerotto (scomparso nel 2012), Sberleffi di campanile – Per una storia culturale dello scherno come elemento dell’identità nazionale dal Medioevo ai nostri giorni, Firenze, Olschki.
Le fonti a cui l’autore attinge, dal Medioevo dantesco ai giorni di Bruno Vespa, lo confermano: “il patriottismo municipale degli italiani è fonte di diffidenze e inimicizie” (Stendhal) e rivela in ogni angolo della Penisola il carattere dell’ ”italiano medio”: asociale, fazioso, sostanzialmente fascista. E i nemici da sbeffeggiare ed umiliare, oltre che sopprimere, se non ci sono si costruiscono: ebrei, massoni, democratici, bolscevichi, e chi più ne ha più ne metta.
Se almeno la propensione allo scherno, che l’autore ampiamente dimostra, avesse fatto dell’ italiano un popolo di umoristi, pazienza: ma in realtà l’italica progenie appare del tutto priva di senso dell’umorismo, appunto, propendendo al più per una facile e crassa comicità, che si compiace di infierire sulla dignità dell’altro, che sia pisano o fiorentino poco cambia (Fabio Cusin).
Del resto aveva già capito tutto, impietosamente lucido, Giacomo Leopardi, nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824). Cinici oltre ogni misura, gli italiani eccellono nell’arte di perseguitarsi scambievolmente: “(…) in Italia la principale e più necessaria dote di chi vuol conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti…”
E non è, ci viene chiarito, una questione di “barbarie medievale”: neanche l’Età dei Lumi saprà redimerci e ci manterremo saldi nel nostro esercizio di delegittimazione altrui, ripulsa, livore, malafede, infine odio.
“Italiani brava gente”? Per nulla: anche le Guerre mondiali ce lo ricordano drammaticamente, come ci ha chiarito efficacemente Angelo Del Boca in un suo illuminante studio di qualche anno fa . E da lì, ai nostri giorni, tra malafede e malaffare, il passo sembra davvero breve.
Per la verità lo Schizzerotto ci vuole riconoscere anche qualche innata virtù: una “mollezza” che può nutrire la tolleranza, o addirittura il pacifismo; un proverbiale spirito di sopportazione verso il potere, una certa temperanza e generosità di fondo.
Ma tali pregi passano in secondo piano nel nostro carattere nazionale, surclassati dai difetti su cui il libro ampiamente si sofferma.
Certo geniale la “guerra batteriologica” medievale a colpi di carogne putrefatte, gettate con le catapulte nel campo nemico; e spudorata l’esibizione ai nemici, con un gesto di profondo disprezzo, della “natura” di donnine inferocite e compiacenti.
Più eloquente ancora, nel 1449 a Firenze, l’onta per cui l’ingresso della casa dell’ambasciatore milanese Sforza fu sommerso da quintali di letame.
La materia si articola in capitoli dai titoli intriganti:
“Giochi sportivi tradizionali ma violenti e pericolosi”, “Specchi, polizze, lance spezzate e barilotti”, o ancora “Scherno, pene infamanti, massacri efferatezze ed altri orrori”, ma anche “Esibizioni di nudità, tifoseria sportive e torte in faccia”, e non col garbo di Buster Keaton.
Non resta dunque che disilludersi circa la possibilità di una «storia condivisa» nel nostro paese.
La già citata opera di Leopardi vede un’Italia divisa, «cinica» e «nichilistica», che evoca la visione di un mondo che «diverrà un serraglio di disperati. E forse anche un deserto».
E il sorriso, che pure lo Schizzerotto ci ha sollecitato, si deforma in una smorfia amara.