Non più angelo
aprile 8, 2015 in Grammatica studentesca della fantasia, Racconti e poesie da Federica Barboni
TIPOLOGIA NARRATIVA
Cosa succederebbe se Beatrice, anziché condurre Dante attraverso i cieli del Paradiso, si innamorasse di Virgilio e scappasse con lui nel profondo Inferno?
Aveva scritto le Georgiche, aveva scritto le Bucoliche, aveva scritto l’Eneide. Era l’uomo di Didone, e dalla sua penna era fioccato “exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor”, dalla sua penna il mantra che fin da bambina ripetevo, da sola e a voce bassa, ogni volta che Dante voltava lo sguardo. Lei è folle dell’amore per un uomo, ma l’uomo è timorato degli dei, e io stavo vivendo la stessa condanna. Ma come può un uomo donare il suo amore a chi si è donato a un dio? E come può quell’uomo donarsi a colui che non ammette desiderio, o peccato o bramosia?
Il fiorentino era austero e dal passo pesante, trascinava dietro di sé la toga, come se fosse stata un groviglio di catene, con uno scatto voltava in alto lo sguardo a ogni sussurro, come un gatto, e cercava la sua luce, tutto ciò per cui viveva.
Non c’è amore nei cieli, io lo sapevo. Né rancore né rabbia né odio, non esiste colpevole nell’azzurro, non c’è traccia di dubbio o di tristezza. Non c’è passione nei cieli, non c’è dolceamaro; ma io amavo quei versi.
La morte di Didone era stata la sua estasi. Io pensavo a Saffo, pensavo a Catone; io pensavo a Cleopatra e dentro di me non potevo fare a meno di sentire una voce gridare: Beatrice, salvati, scendi all’Inferno! La tua purezza sta nella sua fiamma, e se dovrai bruciare, brucerai per lui.
Davanti a noi le porte del Paradiso erano sbarrate, e io pensai che non avrei mai più rivisto quei cancelli aperti per me. Vidi Dante sorridere per un attimo, e capii che non sarebbe mai bastato essere un angelo per lui, se per lui non potevo essere Dio. Si voltò e mi guardò, quell’espressione soddisfatta stampata sulla faccia: «Mi hai aspettato e io sono tornato da te. Questo viaggio è ancora lungo, Beatrice, ma tra non molto se tu potrai ancora avere pazienza staremo insieme. Se non in vita ci ameremo in morte, nella luce che al di là di quella porta è eterna. Vieni, guidami tu, che sei più leggera dell’aria, attraverso le porte del Paradiso».
Sentivo lo sguardo di Virgilio pugnalarmi le spalle, alla metà esatta delle scapole, e scendere come un brivido freddo squarciando la pelle, fino a mostrare l’intera spina dorsale. Fu terrore. Rimasi in silenzio, come aspettando che il sangue si fermasse, che il taglio si rimarginasse da solo, ma non fu così. Stavo morendo di una morte molto peggiore di quella che mi aveva ucciso in vita.
Il fiorentino tese una mano nella mia direzione: «Beatrice, la tua luce risplende, i tuoi occhi illumineranno la strada. Mostrami la via, vieni». Feci un passo indietro, mentre Virgilio ne faceva uno avanti, e in attimo fu così vicino che potei stringere il suo polso portando il braccio dietro la schiena: una richiesta d’aiuto, una stretta decisa, la necessità di una conferma.
Vedendo quello che stava accadendo, Dante aggrottò la fronte e, nonostante sembrasse confuso e spazientito, nonostante cercasse di dissimulare la rabbia e di rilassare i muscoli in una smorfia, io ero certa che avesse capito. «Sei sicura?» mi sussurrò il poeta all’orecchio. «Sì». Allora, Virgilio si voltò, trascinandomi con lui attraverso la presa che ci univa, e si avviò a ritroso per la strada fino a quel momento percorsa.
Il fiorentino urlò, e cosa disse se avesse voluto spiegare non lo capii: sembrò muto alle mie orecchie, e io sorrisi, perché dopotutto era divertente pensare che per un motivo o per l’altro avevo alla fine davvero meritato l’Inferno. Il sorriso si trasformò in risata, mentre il passo diveniva concitato e si alzava il suono delle risa; per un istante sembrò che il cuore, fermo nel petto, riprendesse a galoppare.
Correndo come pazzi, furiosi animali che avevano spezzato le briglie, ci guardavamo finalmente senza impedimenti, mentre la mia voce non mi era mai sembrata tanto alta e il resto intorno tanto silenzioso. Volsi lo sguardo indietro, solo per un istante, la novella Euridice che definitivamente perde la salvezza eterna, e Dante era lì: il cancello chiuso, l’espressione stravolta, i pugni chiusi in un’orribile tensione. Prese l’alloro poetico che lo incoronava e lo scaraventò a terra. Ricordo dall’eternità quel verde intenso farsi appassito, la corona distruggersi come un’esplosione, le foglie nell’aria e il contrasto del suo volto con la serenità che ricercava, quasi raggiunta e quasi perduta, all’istante, in quel momento. Per noi non sarebbe più esistita salita.
Oggi sono qui, e lui è sempre con me. Virgilio mi dedica i suoi straordinari versi. Ora ho i capelli color del carbone, gli occhi neri, perennemente in midriasi, del mio tanto celebrato carattere angelico non è rimasto niente, ma ora mi preferisco. Fa un po’ caldo, lo ammetto, ma non c’è da preoccuparsi. L’Inferno non è poi tanto male con la giusta compagnia, e io l’ho trovata, e non è stato tardi: nell’Inferno, oltre alla pena, anche l’amore infatti è eterno.