Il folle cuore di un editore-tipografo, troppo grande per avere fortuna
maggio 20, 2017 in Approfondimenti, Letteratura, Recensioni da Mario Baldoli
Spesso si scrive di libri, ma dietro ai libri ci sono editori, tipografi e officine, e ancora, preziosissima e costosa, la carta su cui stampare. Giusto fermarsi quindi su un geniale editore-tipografo, nato a Portogruaro, bresciano per scelta, attivo e laborioso tipografo, che nel periodo di cinque lustri ha pubblicato più milioni di volumi nelle cinque tipografie da lui erette in Brescia, Padova, Alvisopoli, Portogruaro e Milano, scrisse nel 1818 la rivista “La farfalla” introducendo l’ampio catalogo di Niccolò Bettoni, editore e stampatore, con una cura per l’aspetto tipografico “che reggeva il confronto con le stampe di Bodoni”. Così lo introduce Marco Callegari nel recentissimo L’industria del libro a Venezia durate la Restaurazione (1815-1848), ed. Olschki.
Nato nel 1770, studi in seminario, impiegato negli ultimi anni della Repubblica di Venezia, Bettoni raggiunge la carica di amministratore della provincia di Udine, da cui si dimette quando Napoleone cede all’Austria la Repubblica di Venezia e il Friuli col trattato di Campoformio (1797). Quel trattato che segnò la vita di Foscolo di cui Bettoni stampò, proprio a Brescia, I sepolcri (1807) e L’esperimento di traduzione dell’Iliade di Omero.
A Brescia divenne direttore della Tipografia Dipartimentale del Mella, “all’epoca languente e dotata di attrezzature antiquate”. In tre anni Bettoni ne triplicò i capitali, ammodernò l’officina e aumentò la produzione tipografica utilizzandola per la stampa di edizioni, a proprie spese, di opere di Alfieri, Foscolo e Monti. Inebriato da questi successi, Bettoni acquistò l’intera stamperia al prezzo folle di 69.000 lire (che si fece prestare) e con la spesa di 1.000 lire d’affitto all’anno. Diventò lo stampatore di tutta la modulistica dei comuni del Dipartimento, i quali però non lo pagarono, piegati dalla pressione fiscale dovuta alle tasse seguenti le guerre napoleoniche. Arrivò ad avere crediti per 60.000 lire, mai restituiti. Qui comincia la sua lotta con i debiti che lo perseguitarono per il resto della vita.
Ciò non cambia il suo valore e la stima che c’era intorno a lui. Entrò nella cerchia degli intellettuali bresciani, il “Cenacolo Tosio”, con i fratelli Ugoni, Basiletti, Corniani, e Cesare Arici. Sposò la nobile bresciana Maddalena Bellegrandi (1810).
Uomo vulcanico, perennemente inquieto, si lanciò nell’apertura di una nuova tipografia a Padova vivamente eccitato dal numero maggiore di que’ professori (Padova era il più importante centro universitario del Nord), e della stessa Prefettura che gli affidò tutte le sue stampe. Fondò il giornale “Il telefono del Brenta” associandosi al quale (quindi anticipando i soldi) si sarebbe ricevuta l’intera opera dell’Alfieri. Fu una grande idea. Ne vendette 1.000 copie, mostrando che il successo di ogni libro era dovuto alla sua immediata pubblicazione. Sentendosi forte, aprì una terza tipografia che dovette chiudere per le gravi perdite.
Anche per i crediti inesigibili era ormai a un passo dal fallimento. Si voltò allora al mercato milanese, il più importante in Italia e iniziò con un altro editore la pubblicazione delle Vite e ritratti di illustri italiani. Ma di nuovo ci fu un creditore che non pagava, era l’editore Sonzogno, nel frattempo fallito.
Tornati gli austriaci, gli furono annullati i debiti accumulati col Regno d’Italia, ebbe un po’ di respiro e in quello stesso anno, il 1818, aprì una grande stamperia a Milano diventando il protagonista del mercato librario della Restaurazione. Ma ormai la battaglia coi debiti era persa, aveva speso l’eredità del fratello e venduto i beni della moglie, le sue tipografie erano ipotecate. Fuggì sotto falso nome in Francia.
Seguendo il folle sogno della sua vita, riprese a stampare, questa volta un giornale. Di nuovo perseguitato dai creditori, morì a Parigi nel 1842. Vale la pena ricordare che anche l’amico Foscolo, fuggito a Londra, si occupò inizialmente di editoria e giornalismo e finì poi in prigione per debiti, anche lui per spese sconsiderate, e costretto a vivere, per un certo tempo, sotto falso nome. Forse vale anche per Bettoni, nelle giuste proporzioni, il sonetto foscoliano del 1803:
Di vizi ricco e di virtù do lode
Alla ragion, ma corro ove al cor piace:
Morte sol mi darà fama e riposo.
La carta, dicevo. Veniva tutta dalle cartiere di Toscolano, ora restaurate per quanto possibile, mentre una di esse è ancora in funzione.
Il peso di Bettoni nell’editoria italiana è tale che se ne occupò lo storico Marino Berengo in Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Einaudi 1980. Marco Callegari, pur mettendo al centro del suo libro Venezia e Padova, ha seguito la straordinaria dinamica della vita di Bettoni, parlando spesso anche dei rapporti che aveva con la politica, i governanti di turno, gli appoggi che ebbe e la sfortuna che lo perseguitò. Un altro capitolo di quell’uomo che “correva dove piace al cuore”.